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Mohammad Mossadeq

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Mohammad Mossadeq

Mohammad Mossadeq (1882 – 1967), politico iraniano.

Citazioni di Mohammad Mossadeq

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1951

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  • Il mio partito, il fronte nazionale, ha sempre difeso la democrazia ed i diritti delle classi lavoratrici. Il giorno è vicino in cui il petrolio in Iran verrà restituito al popolo iraniano e gli permetterà di vivere nella tranquillità. (dal discorso dopo l'assunzione della carica di primo ministro, 30 aprile 1951)[1]
  • Io so che la presidenza del Consiglio mi costerà la vita poiché la mia salute non mi permette di sopportare un tale fardello. Ma per assicurare il trionfo dei nostri diritti nella questione del petrolio io non esiterò a sacrificarmi. (dal discorso dopo l'assunzione della carica di primo ministro, 30 aprile 1951)[1]
  • Non gridate morte agli inglesi! Preghiamo invece Iddio onnipotente perché li illumini! (appello ai suoi sostenitori, 27 settembre 1951)[2]

1952

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  • Nonostante le sue difficoltà economiche e finanziarie, la nazione persiana non si piegherà in nessun caso a condizioni inique, suscettibili di pregiudicare la sua indipendenza politica ed economica, o addirittura, Dio ne scampi e liberi, l'onore nazionale e il prestigio della Persia. (da una conferenza stampa il 7 agosto 1952)[3]
  • Il mio governo ha cercato di fare ogni sforzo per risolvere la vertenza ma, sfortunatamente, il governo inglese ha finora impedito che venisse raggiunto un accordo e, violando i principi internazionali, ha sottoposto l'Iran ad una tremenda pressione economica ed ha seguito la tattica di farci perdere tempo per impedirci di attuare una nuova politica economica e di imboccare la strada che avrebbe portato il popolo iraniano alla salvezza e alla libertà. (messaggio radiofonico annunciando la rottura di relazioni con il Regno Unito, 16 ottobre 1952)[4]
  • Le relazioni diplomatiche tra due popoli sono utili solamente quando tendono a salvaguardare l'amicizia dei due popoli stessi, altrimenti esse servono solamente a far rispettare i diritti di una sola parte. In tal caso è necessario interromperle per porre fine a tali provocazioni e minacce. (messaggio radiofonico annunciando la rottura di relazioni con il Regno Unito, 16 ottobre 1952)[4]

1953

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Mossadeq poco prima del suo processo, 8 novembre 1953
  • Protesto in primo luogo contro l'incompetenza del procuratore, che è un analfabeta! [...] Io ho approvato una legge, in virtù della quale nessun illetterato può svolgere il compito di pubblico accusatore. (dichiarazione durante il suo processo, 9 novembre 1953)[5]
  • Io sono ancora il primo ministro legale! Io non sono pazzo! (dichiarazione durante il suo processo, 9 novembre 1953)[5]
  • Io spero che la Corte non farà nulla, che possa essere interpretato dagli stranieri in modo da significare che questa Corte è una mercenaria dello straniero. (dichiarazione durante il suo processo, 9 novembre 1953)[5]
  • Voi dovreste uscire di qui e combattere contro gli stranieri, non contro un debole vecchio come me. (dichiarazione durante il suo processo, 9 novembre 1953)[5]
  • Non intendo presentare alcun appello contro una condanna a morte e non accetterò nessun perdono, anche se lo Scià deciderà di accordarmelo. Il perdono è per i traditori ed io sono invece la vittima di un intervento straniero. (dichiarazione durante il suo processo, 9 novembre 1953)[6]
  • Gli inglesi non volevano spogliarmi dei miei averi. Volevano uccidermi. Non è una novità per la Persia il soggiacere all'influenza inglese. È una realtà che dura da duecento anni. (dichiarazione durante il suo processo, 9 novembre 1953)[6]
  • Date ordine di tagliarmi la testa, se volete, ma io voglio e devo difendermi da solo. (dichiarazione durante il suo processo, 10 novembre 1953)[7]
  • Vengo accusato di molti crimini, ma ne ho compiuto uno solo: ho rifiutato di accondiscendere ai desideri degli stranieri. Ho impedito le loro avide mani si impadronissero delle risorse naturali della Persia. (dichiarazione durante il suo processo, 11 novembre 1953)[8]
  • Il Paese è nelle mani degli affaristi, ma il suo avvenire è nelle mani dei giovani. (dichiarazione durante il suo processo, 11 novembre 1953)[8]
  • Sono un iraniano che ha lottato per tutta la sua vita contro il colonialismo. Avevo reso al mio Paese il suo prestigio presso il mondo, ma gli stranieri non vogliono che il nostro popolo si svegli. Essi vogliono poter disporre a loro compiacimento dello Scià, designarlo, metterlo da parte secondo i loro desideri. Il Paese deve proteggere gli uomini di Stato che lo difendono, questo è il solo modo di difendere la propria libertà. (dichiarazione durante il suo processo, 12 novembre 1953)[9]
  • Il processo che si sta facendo qui, contro di me, è stato paragonato e lo si può paragonare, in un certo senso, a qello che fu fatto in Francia, dieci anni fa, contro il maresciallo Petain, un uomo coraggioso, un soldato che aveva servito per oltre mezzo secolo il suo Paese, un uomo politico che era riuscito ad evitare al suo popolo molti guai durante il periodo difficile della occupazione straniera. Vecchi entrambi, Petain ed io, entrambi chiamati a rispondere di ciò che abbiamo fatto davanti a giudici. Ma vi è, tra me e Petain, una differenza sostanziale. Il maresciallo Petain aveva collaborato col nemico e sotto questa imputazione fu condannato a 95 anni; io, invece, perché vengo processato? Perché volevo combattere contro i nemici della Persia. Ed oggi è per volontà dello straniero che io mi trovo qui. (dichiarazione durante il suo processo, 13 novembre 1953)[10]
  • Non ho mai avuto intenzione di vivere a palazzo reale, non ho mai avuto intenzione di cambiare il regime politico della Persia. Perché aspirare a diventare presidente? Nei Paesi di democrazia parlamentare sono i primi ministri che fanno la maggior parte del lavoro, non i presidenti. Del resto le elezioni presidenziali non sarebbero in Persia né utili né pratiche. Inoltre nessuno nel mondo è favorevole a installare sul trono una nuova dinastia. (dichiarazione durante il suo processo, 30 novembre 1953)[11]
  • Lo Scià ha il diritto di nominare i primi ministri ma non di licenziarli. (dichiarazione durante il suo processo, 30 novembre 1953)[11]
  • Verso mezzogiorno decidemmo di lasciare la casa. La mia cara moglie mi si avvicinò e mi disse: "Marito mio caro, dobbiamo andare". Io le risposi: "Vai tu, io sono anche deciso a dedere i miei figli senza padre, ma non voglio che restino senza madre". Le dissi ancora: "Salvatevi. Qualunque sia il mio destino, lasciate che si avveri. Dimenticate i miei torti". (raccontando gli eventi prima della sua fuga nel 19 agosto 1953, durante il suo processo, 1 dicembre 1953)[12]

Attribuite

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  • Un paese non va da nessuna parte all'ombra di un dittatore.[13]

Citazioni su Mohammad Mossadeq

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  • Credo che Mossadeq sia stato un uomo della Rivoluzione costituzionale, che credeva nel costituzionalismo, che pensava che lo Scià dovesse regnare e non comandare. Voleva nuovi rapporti a livello nazionale e vide che, in realtà, definire nuovi rapporti con il Regno Unito lo avrebbe aiutato a questo proposito.
    Ma penso che alla fine si sia spinto troppo oltre, in quanto sentiva di poter dividere e allontanare i britannici dagli americani. (Ali Ansari)
  • Il vecchio capo nazionalista, confinato nella sua proprietà a cinquanta chilometri da Teheran, alleva gatti e coltiva fiori con la passione disinteressata di chi ritiene di aver concluso la propria giornata politica attiva e si dedica a svaghi genialmente superflui. A giornalisti che erano andati alla sua porta per parlargli, fece rispondere che essendo morto non poteva ricevere nessuno. Resta vivo, però, nella memoria di tutti il ricordo del suo colpo di audacia che per taluni conserva ancora un certo fascino tentatore. (Vittorio Gorresio)
  • Mossadeq fece ridere e piangere le folle. Confermava i loro pregiudizi e le loro superstizioni e lusingava le loro vanità – erano, nella maggior parte dei casi, tutto ciò che gli rimaneva. Lo amavano, ma lui le amava? Nessuno potrebbe saperlo con sicurezza. (Amir Taheri)
  • Mossadeq si era fidato dell'appoggio sovietico ed aveva cercato sostegno presso i comunisti del Paese; lo Scià ha tolto di mezzo i comunisti e vorrebbe potersi fidare dell'appoggio occidentale. (Vittorio Gorresio)
  • Penso che Mossadeq sia stato un nazionalista, un patriota che fece però alcuni gravi errori, secondo il mio punto di vista. Non fece nessuno sforzo per comprendere a fondo l'economia del petrolio, non riuscì mai a comprendere quanto l'economia iraniana fosse in crisi; fu riluttante a raggiungere qualsiasi compromesso, preferì rimanere l'eroe del nazionalismo iraniano, evidentemente questo fu il suo piano. Inoltre, ritengo che abbia intrapreso azioni che indebolirono la sua popolarità, indicendo un referendum che non era nella Costituzione, ignorando i consigli ricevuti. Azioni di questo tipo lo indebolirono, e quando perse il supporto del clero diventò molto vulnerabile. Sono convinto che il suo grande contributo sia stato lo sforzo per nazionalizzare il petrolio iraniano e affrontare la Gran Bretagna, che aveva trattato male l'Iran, ma il suo grande errore fu quello di non riconoscere il reale potere che aveva e di volere ottenere tutto ciò che voleva, a costo di sfidare chiunque. Invece venne destituito e credo che in un certo senso da allora il Paese non si sia mai più ripreso. (Abbas Milani)
  • Sotto Mossadegh, emotivo e antioccidentale, l'Iran piombò nel caos e la produzione di petrolio praticamente cessò. I piani di sviluppo economico subirono una paralisi e la riforma fondiaria, iniziata dallo scià, cominciò a stagnare. (Richard Nixon)
  • Né il denaro della Cia né il coraggio di Zahedi né il fervore del mullah Bebahani avrebbero potuto provocare la caduta di Mossadeq e della sua politica se lo scià fosse stato impopolare.
  • Più persiano di tutti i persiani, ha un notevole temperamento teatrale e secondo le circostanze passa brillantemente dalla tragedia alla commedia: singhiozza evocande le sventure del paese e subito scherza e si adira, passa filmineamente dal riso all'imprecazione, dal deliquio alla strizzata d'occhio, vive quasi sempre in pigiama e riceve gli ambasciatori a letto.
  • Uomo brillante, integro, disinteressato, nazionalista sfegatato, è appoggiato dal clero e dal popolo. Lo scià segretamente stima questo aristocratico che, come lui, desidera la grandezza dell'Iran.
  • Eisenhower lo sospetta di comunismo, sebbene Mossadeq sia un patriota indipendente e anticomunista.
  • I rapporti tra Mossadeq e gli scià Pahlavi (padre e figlio) non sono mai stati buoni. Mossadeq ha una formazione di stampo francese: liberale e democratico, crede in istituzioni quali parlamento e libertà di stampa e deplora lo stato di dipendenza in cui versa la sua patria.
  • Tutte le sue speranze sono svanite, i calcoli si sono rivelati errati. Ha cacciato gli inglesi dai campi petroliferi sostenendo che ogni paese ha diritto di disporre le proprie ricchezze, ma dimenticando che la forza ha sempre la meglio sul diritto. L'Occidente ha decretato il blocco dell'Iran e il boicottaggio del petrolio iraniano, facendone un frutto proibito per tutti i mercati. Mossadeq contava che gli americani lo sostenessero e lo aiutassero nel conflitto contro gli inglesi. Ma gli americani non gli hanno teso la mano.
  • Aveva cominciato con l'affermare, e la cosa in se stessa era esatta, che l'Iran aveva sopportato troppo a lungo l'influsso e la dominazione delle potenze straniere. Da un'osservazione del genere era saltato alla conclusione che la cosa migliore per l'Iran era di non accordare concessioni a nessuna potenza e di non accettare favori da nessuno. A prima vista il contenuto negativistico della sua posizione richiamava l'isolazionismo politico prevalso per un verto periodo in alcuni stati dell'America prima della seconda guerra mondiale. Ma il negativismo di Mossadeq superava anche tale precedente, abbracciando nella sua estensione la politica estera e quella interna del paese.
  • Che cosa mancava a Mossadeq per essere un vero statista? Per prima cosa era di una ignoranza sbalorditiva. Benché avesse studiato all'estero, ignorava praticamente tutto sugli altri paesi del mondo. Di economia capiva meno che niente. Io non sono un economista di professione, eppure so qualcosa sui fatti e sui princìpi più comuni dell'economia nazionale e internazionale. Come scià ho avuto modo di trattare con un'infinità di funzionari d'ogni genere e di diversa formazione politica, ma in tutta franchezza devo dire che raramente ho trovato qualcuno che, essendo in una posizione di responsabilità, eguagliasse l'ignoranza da lui mostrata dei princìpi più elementari della produzione, del commercio e degli altri fattori economici.
  • Erano occorsi circa trenta mesi per far apparire Mossadegh agli occhi di tutti gli iraniani l'incarnazione stessa dell'apprendista stregone, incapace di controllare e dominare le forze distruttrici da lui stesso scatenate.
  • Il potere rivela la misura dell'uomo. Alcuni ingigantiscono di fronte alla sfida morale della potenza di cui dispongono, altri invece si perdono. Alla luce dei fatti, Mossadeq si rivelò un uomo assai meschino.
  • In apparenza egli non si legò mai ai comunisti, ma in realtà il suo potere era fondato sul loro appoggio e lui stesso non era altro che un loro strumento.
  • Le contraddizioni di quel rètore – contraddizioni perpetue – fra parola e azione, i suoi improvvisi e imprevedibili salti di umore – dall'esaltazione alla depressione – il suo passare da certezze violentemente espresse in discorsi isterici a lacrime, singhiozzi, malattie «diplomatiche», commedie macabre: «Io muoio... eccetera», ne fanno un politico difficile da giudicare. Alcuni lo hanno paragonato a Robespierre, altri a un personaggio della commedia dell'arte.
  • Mossadeq non sosteneva la non-violenza come sistema di vita: non era Gandhi. Bisognava infatti tener presente che bande di malviventi controllate da lui o da suoi sostenitori scorrazzarono per molti mesi nella capitale, aggredendo persone innocenti e terrorizzando la cittadinanza. Fra l'altro va considerato il fatto che i seguaci di Gandhi, dopo l'indipendenza dell'India, non hanno mai interpretato la dottrina della non-violenza come un principio morale che giustifichi l'irresponsabilità in fatto di sicurezza interna.
  • Poiché sua madre era una discendente dei Khadjar, forse odiava la nostra dinastia.
  • Probabilmente, mi è stato prospettato, Mossadeq era soltanto un romantico il quale pensava di poter far retrocedere nel tempo la Persia.
  • Se non condividevo l'entusiasmo di alcuni parlamentari per il leader del Fronte nazionale, era perché avevo osservato in passato alcune curiose contraddizioni tra i propositi di Mossadegh e le sue azioni. Ufficialmente era il difensore del sentimento nazionalistico anticolonialistico, il campione del patriottismo più intransigente, dichiarava che non bisognava accordare alle potenze straniere concessioni o vantaggi di sorta. Chiamava la sua dottrina la dottrina dell'«equilibrio negativo» e il suo più grande difetto era proprio quello di essere completamente negativo.
  • Chi è Mossadek? Alle nuove generazioni, il suo nome non dice nulla. Ma chi ha vissuto (da protagonista, da spettatore, da cronista partecipe e partigiano) gli albori dei movimenti di liberazione, non può aver dimenticato il vegliardo temerario che osò sfidare, quasi da solo, quasi per primo, la poderosa struttura imperialistica, aggredendone uno dei pilastri: le società petrolifere.
  • Figlio di un ministro delle finanze di Persia, i Kajar, e di una principessa imperiale, aveva nelle vene un sangue «molto più blù» di quello di Reza Pahlavi, figlio di un ufficiale di cavalleria analfabeta e usurpatore.
  • Questo era l'uomo che il movimento nazionalista impose come primo ministro ad uno scià pieno di paura e di collera: un vecchio aristocratico liberale, dalla salute malferma, abile negli intrighi di palazzo, ma anche coraggioso nel difendere le sue idee, oratore eloquente, trascinatore di folle, grande «mattatore» della politica, capace di dirigere una battaglia di strada dal suo letto, in pigiama a strisce, fra una crisi di depressione e uno svenimento: un affascinante miscuglio di tradizioni consunte e di sogni rivoluzionari, un ponte insicuro, precario, lanciato fra passato e futuro.

Note

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  1. a b Citato in Mossadeq nominato primo ministro persiano, La Stampa, 1 maggio 1951.
  2. Citato in Mossadeq parla alla folla di Teheran, La Stampa, 27 settembre 1951.
  3. Citato in Mossadeq ribadisce il rifiuto alle proposte Truman-Churchill, L'Unità, 8 agosto 1952.
  4. a b Citato in Mossadeq annuncia la rottura delle relazioni con l'Inghilterra, L'Unità, 17 ottobre 1952.
  5. a b c d Citato in Mossadeq singhiozzando attacca a fondo la Corte, La Stampa, 9 novembre 1953.
  6. a b Citato in Energica accusa di Mossadeq contro lo Scià e gli inglesi, L'Unità, 10 novembre 1953.
  7. Citato in Mossadeq prende a pugni il suo avvocato difensore, La Stampa, 11 novembre 1953.
  8. a b Citato in Furente attacco di Mossadeq contro i suoi giudici e lo Scià, La Stampa, 12 novembre 1953.
  9. Citato in La condanna a morte richiesta per Mossadeq mentre Teheran manifesta contro il processo, L'Unità, 13 novembre, 1953.
  10. Citato in Mossadeq respinge il paragone con Pétain, La Stampa, 14 novembre 1953.
  11. a b Citato in Mossadeq si difende tra sfuriate e incidenti, La Stampa, 1 dicembre 1953.
  12. Citato in Mossadeq sfida il P.G. ad un incontro di lotta, La Stampa, 2 dicembre 1953.
  13. Citato in Robert Fisk, Cronache mediorientali. Il grande inviato di guerra inglese racconta cent'anni di invasioni, tragedie e tradimenti, Il Saggiatore, 2011, p. 133.

Voci correlate

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Altri progetti

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