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Silvestro Centofanti

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Silvestro Centofanti

Silvestro Centofanti (1794 – 1880), filosofo, letterato e politico italiano.

Citazioni di Silvestro Centofanti[modifica]

  • [Parlando di Giuseppe Giusti] Chi avesse voluto fargli un brutto tiro avrebbe dovuto pregarlo a leggere o a recitare qualche sua poesia; scappava via come un fulmine, o quando non poteva scappare, allora si rifiutava con una ostinazione quasi rabbiosa; e tutto ciò perché non sapeva leggere le cose sue. Per lui non c'erano né flessioni, né punti, né virgole, né ammirativi, né interrogativi; tirava giù come se fosse tutto liscio. Dei difettucci ne aveva, povero Beppe! Per esempio era avaro al massimo grado, e più volte io e Gino Capponi ne lo riprendemmo amichevolmente. S'immagini; spingeva tant'oltre la spilorceria, che quando doveva per un giorno andare da Pescia a Firenze e non aveva voglia d'invitarsi da Gino o da me, per non spendere del trattore si portava seco quattro o cinque uova sode, e del prosciutto del Casentino.[1]

Del diritto di nazionalità[modifica]

Incipit[modifica]

Nella questione della nazionalità (parola che l'Italia farà registrare nel vocabolario della Crusca) io veggo da molto tempo anche quella del futuro ordine vero di tutto il mondo cristiano. Lasciando a quelli che verranno dopo di noi la cura di risolverla praticamente ed intera, dobbiamo, quanto è da noi, con gli argomenti della scienza e con la forza morale della opinione agevolare alla sua soluzione effettuale quella della nazionalità italica. Imperocché i moti di questo nostro risorgimento procedono dalle necessità, e avranno conclusione suprema nell'effetto di un riordinamento generale di tutte le nazioni cristiane. La profonda ragione delle cose, e quasi direi l'immenso spirito che agita queste nazioni si compartisce via via in ogni pensante ed operoso cittadino secondo la capacità sua ed il luogo ch'egli occupa nel gran campo aperto alla cooperazione universale: ciascuno aspira ad un termine che creda essere il migliore, e fa tutto quello che può per raggiungerlo: ma tutti saranno portati da una sapienza comune e da una virtù superiore, a quel termine provveduto, ove nella grandezza della risorta Italia riapparirà la gloria dell'antica, che maturava la pienezza da' tempi allo stabilimento del cristianesimo. Da questa ardua vedetta io mi stò contemplando la magnifica evoluzione degli umani destini: qui affilo e brandisco la mia arma della parola per combattere le forze assurde che fanno contro alla causa de' popoli ed ai decreti della Provvidenza.

Citazioni[modifica]

  • [...] se una nazione civile sottopone al suo impero un altra nazione civile, ciascuna di esse conserva spiccata, risentita, sostanzialmente inalterabile la sua forma nazionale, e solamente la soggiogata perde la sua autonomia e la sua individualità politica, miseramente separate da quella forma. I Greci non diventarono mai Romani: gl'Italiani non diventeranno Tedeschi mai. Romani furono fatti e si fecero i Galli, gl'Ispani, altri popoli barbari, ma sotto le forme di questa nazionalità artificiale ritenendo sempre gli elementi della loro nazionalità naturale. (p. 17)
  • [...] se le cose umane procedessero per la retta strada, autonomia e nazionalità sarebbero giuridicamente l'una dall'altra inseparabili [...]. (p. 24)
  • L'uomo deve tutto se stesso alla società perché in essa sola egli può adempiere il suo destino, e perché fra l'individuo e la società, chi guardi l'ordine positivo cioè necessario delle cose, non ci può mai essere inconciliabilità di ragioni, contradizione, nocevolezza; mali che intervengono fra i consociati, vale a dire ne' modi di esercitare la socievolezza, cioè per colpa dell'individuo. La società naturale presupponendo necessariamente l'uomo, deve anche accettarlo con tutte le sue facoltà e disposizioni buone; le quali, come sono il principio di tutti i diritti individuali, così sono quello di tutti i sociali interessi: e quest'interessi dovendo anch'essere misurati con que' diritti, ognun vede che società e consociati hanno necessaria reciprocità di valori e che nella giusta misura di essi si avvera la comune sodisfazione. (p. 32)

Citazioni su Silvestro Centofanti[modifica]

  • Come i suoi amici Gino Capponi e Niccolò Tommaseo, il Centofanti era cieco per caduta di cateratte, sicché quando qualche volta egli, alzandosi improvviso, urtava in una sedia o in altro, io di scatto accorrevo a sorreggerlo sclamando sempre qualche parola di vivo rincrescimento per la sua infermità e per la mia inavvertenza a prevenirlo.
    «Dica quello che vuole, rispondeva scherzando, ma non le passi pel capo di dirmi che mi darebbe i suoi occhi. Non ci crederei. Al più al più, dica che me ne darebbe uno; così saremmo contenti tutti e due. (Leopoldo Barboni)
  • Era un ometto asciutto, dritto impettito, con due piccole fedine candide e ravviate sempre, modestissimo nel vestire, con occhi, anco durante l'infermità dell'annebbiamento, lampeggianti; fronte aperta, maniere squisite, parola calda, movimenti vivacissimi. Sorrise un giorno, ch'io gli diceva:
    «Le stanno a pennello le parole del Byron: Lo vedevi appena, ch'ei ti piacea di colpo...
    «Sì, sì, mi rispose pronto, ma dice anche: o ti spiacea! (Leopoldo Barboni)

Note[modifica]

  1. Citato in Leopoldo Barboni, Fra matti e savi. (Ricordi intimi e divagamenti), Tipografia di Raff. Giusti, Livorno, 1898, pp. 37-38.

Bibliografia[modifica]

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