Luigi Tansillo: differenze tra le versioni

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''I Due Pellegrini''
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'''Luigi Tansillo''' (1510 – 1568), poeta italiano.
'''Luigi Tansillo''' (1510 – 1568), poeta italiano.


*''Amor m'impenna l'ale, e tanto in alto | Le spiega l'animoso mio pensiero, | Che d' ora in ora sormontando, spero | Alle porte del ciel far nuovo assalto. | Temo qualor più guardo il vol tropp'alto, | Ond'ei mi sgrida e mi promette altero | Che se del nobil corso io cado e pero, | L'onor fia eterno, se mortale il salto. (da ''I Due Pellegrini'')

*''Che fòra il veder [[Napoli]] coi fonti, | così nel sommo suo come nel basso! | Altro saria, ch'aver | marchesi e conti!'' (da ''Il podere'')
*''Che fòra il veder [[Napoli]] coi fonti, | così nel sommo suo come nel basso! | Altro saria, ch'aver | marchesi e conti!'' (da ''Il podere'', citato in [[Luigi Settembrini]], ''Lezioni di letteratura italiana'', vol. 2, Stabilimento Tipografico Ghio, Napoli 1868)
*Gonvien che sia del ceppó chi è del ramo. (citato da [[Scipione Maffei]] in prefazione a ''Teatro del signor marchese Scipione Maffei'', Alberto Tumermani Librajo, 1730)
*Gonvien che sia del ceppó chi è del ramo. (citato da [[Scipione Maffei]] in prefazione a ''Teatro del signor marchese Scipione Maffei'', Alberto Tumermani Librajo, 1730)
*''I ricchi, qualor vonno, | e con la vigilanza e con la borza, | ogni aspro scoglio fertile far ponno. | Onde tastar bisogna oltre la scorza | il terren ch'a veder voi sete addutto; | che sia | buon per natura e non per forza: | e quando anco sia tal, che per far frutto | non richieda molto oro, opra e fatica; | e questa parte grava a par del tutto''. (da ''Il podere'')
*''I ricchi, qualor vonno, | e con la vigilanza e con la borza, | ogni aspro scoglio fertile far ponno. | Onde tastar bisogna oltre la scorza | il terren ch'a veder voi sete addutto; | che sia | buon per natura e non per forza: | e quando anco sia tal, che per far frutto | non richieda molto oro, opra e fatica; | e questa parte grava a par del tutto''. (da ''Il podere'')

Versione delle 01:00, 18 ago 2010

Luigi Tansillo (1510 – 1568), poeta italiano.

  • Amor m'impenna l'ale, e tanto in alto | Le spiega l'animoso mio pensiero, | Che d' ora in ora sormontando, spero | Alle porte del ciel far nuovo assalto. | Temo qualor più guardo il vol tropp'alto, | Ond'ei mi sgrida e mi promette altero | Che se del nobil corso io cado e pero, | L'onor fia eterno, se mortale il salto. (da I Due Pellegrini)
  • Che fòra il veder Napoli coi fonti, | così nel sommo suo come nel basso! | Altro saria, ch'aver | marchesi e conti! (da Il podere, citato in Luigi Settembrini, Lezioni di letteratura italiana, vol. 2, Stabilimento Tipografico Ghio, Napoli 1868)
  • Gonvien che sia del ceppó chi è del ramo. (citato da Scipione Maffei in prefazione a Teatro del signor marchese Scipione Maffei, Alberto Tumermani Librajo, 1730)
  • I ricchi, qualor vonno, | e con la vigilanza e con la borza, | ogni aspro scoglio fertile far ponno. | Onde tastar bisogna oltre la scorza | il terren ch'a veder voi sete addutto; | che sia | buon per natura e non per forza: | e quando anco sia tal, che per far frutto | non richieda molto oro, opra e fatica; | e questa parte grava a par del tutto. (da Il podere)
  • Ogni uom tre luoghi di fuggir si studi, | che son dannosi e disagiati et egri: | l'Acerra e Fuoragrotta e le Paludi. | Per quella polve e quegli orror sì negri, | s'io avessi ver' Cuma il mio podere, | io starei a non irvi gli anni integri. | Oltre ai danni ch'egli han da le galere, | i cui spirti dannati, a suon di ferro, | a sradicar le selve vanno a schiere; | svellon gli arbusti, non che l'orno e 'l cerro. | Sto talor nel balcon, sento le torme: | per non vedergli, o mi fo indietro, o 'l serro. (da Il podere)
  • Chi lascia il sentier vecchio, e il novo piglia, | (Dice il proverbio) se talor ritrova | Quel ch'ei non cerca non è maraviglia. (da Poesie edite ed inedite di Luigi Tansillo, Editore Domenico Morano, Napoli)
  • Non è vostro, ma mio, credo, il difetto; | Che quando in prosa la mercé chiedea, | Non seppi esprimer bene il mio concetto. | S'io non seppi narrar quel ch'io volea, | A cui toccava il fatto, in che manera | Né voi né altri intender mi potea? (da Poesie edite ed inedite di Luigi Tansillo, p. VIII, Editore Domenico Morano, Napoli)
  • Quante ceneri e polvi giaccion, forse, | per queste glebe seminate e sparse, | ch'eran donne leggiadre; ed, al fin corse, | fûr da la terra sfatte e dal foco arse; | e la lor fama qualche tempo corse | e in molte ragion vaga sì sparse; | ch'or, da le zappe vòlte e da aratri, | da figlie d'uom son fatte d'erbe matri! (da Quante ceneri e polvi...; citato in I capolavori della poesia italiana, a cura di Guido Davico Bonino, CDE, 1972)
  • Quanto io ami Venosa; e quanto mentono coloro, che hanno detto talvolta, ch'io neghi lei patria mia, ed altre cose più maligne, e massimamente ora di fresco, per rubare e diminuire il premio e la lode, che merito ed attendo di questo servizio. (da una lettera al Magistrato di Venosa, citato in Francesco Fiorentino, Poesie edite ed inedite di Luigi Tansillo, Editore Domenico Morano, Napoli )

Citazioni su Luigi Tansillo

  • Il Tansillo, vissuto da fanciullo a corte, aveva conservato il pudore; cosa difficile sempre, difficilissima e quasi impossibile in quell'età di poeti cortigiani e scrocconi. Ed è bello il vedere il nostro poeta resistere alle tentazioni, ed ai suggerimenti di quello Pietro Bacci, che i contemporanei non si vergognarono di chiamare il divino; e di scusarsi quasi del non sapersi acconciare alla turpe usanza della scrocconeria. (Francesco Fiorentino)

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