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Vincenzo D'Amico

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Vincenzo D'Amico (1973)

Vincenzo D'Amico (1954 – 2023), calciatore, allenatore di calcio e dirigente sportivo italiano.

Citazioni di Vincenzo D'Amico

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  • A giocare a pallone siamo rimasti in due al mondo: io e quel negretto [riferendosi a Pelé].[1]
  • [Su Giorgio Chinaglia] Apparentemente era un burbero, invece alla fine era un buono, di un tenero incredibile. [...] Giorgio ha fatto parte della mia vita calcistica, e un po' di quella privata. Con lui ci siamo presi tantissime soddisfazioni. Ho esordito nella Lazio, perchè dovevo far segnare Chinaglia, il mio compito era quello e Maestrelli me lo disse esplicitamente. Così, come prendevo palla, per prima cosa pensavo a Chinaglia. A Giorgio devo anche il mio primo gol in Serie A, quando lui mi servì con colpo di tacco contro il Bologna. Tanti pensano che io abbia avuto problemi con lui [una volta a San Siro per rimproverarlo Chinaglia diede un calcio nel sedere a D'Amico, ndr], ma non era così. Un paio di volte, nell'anno dopo lo scudetto, lui mi chiese di accompagnarlo, andammo a casa sua e poi a passeggio a villa Pamphili. Attraversava un momento particolare in privato, voleva isolarsi e mi chiese di andare con lui in ritiro dal venerdì. Gli altri arrivavano tutti il sabato.[2]
  • Io non volevo fare il calciatore. Io volevo fare il calciatore della Lazio.[3]
  • [Su Miroslav Klose] Quando non prende la porta, quella è una notizia.[4]

Dall'intervista in Vincenzo D'Amico - La mia vita con la Lazio, ‎Lazialità Forever / Editime, 2017; ripubblicato in lazialita.com, 1º luglio 2023.

  • [...] in quei due anni straordinari tutti sono stati all'altezza però, nessuno me ne voglia, se ci fosse solo un premio da dare ad uno di quella squadra lo darei senza pensarci a Mario Frustalupi. Da fuori non sembrava ma era un burlone di prima classe, divertente, ti prendeva in giro con classe, mai una parola fuori posto. Arrivò da una grande come l'Inter, nella quale aveva vinto uno scudetto e fatto una finale di Coppa Campioni. In una Lazio che era appena tornata in Serie A si mise subito al servizio della squadra senza puzza sotto il naso. Fu ceduto perché lo considerarono finito. Andò al Cesena e la portò in Coppa Uefa, anni dopo portò la Pistoiese per la prima e unica volta in Serie A.
  • Guai a chi mi tocca Maestrelli, per me è stato come un secondo padre, ma non gli ho mai perdonato il fatto che nella prima in casa contro il Cesena con lo scudetto sul petto la mia maglia era sulle spalle di Badiani. Fui l'unico di quelli che lo aveva vinto a non scendere in campo con i titolari. Ho provato dolore fisico, è stata una cattiveria gratuita. Non hai idea di quanto mi abbia ferito quella cosa. [«So che anni dopo ti è successo di nuovo perché ero presente e ti ho visto con gli occhi lucidi...»] Ti riferisci alla festa del centenario? Mamma mia, che tristezza. Ero con mio figlio in tribuna quando iniziarono ad aprire le gigantografie dei calciatori in Tevere e in Curva Nord, a un certo punto mio figlio mi fa: "Papà, perché tu non ci sei?". Non ho saputo rispondergli, mi sono sentito una "merdaccia". Pensavo e penso che avrei meritato di esserci anch'io. Forse non sono bastate le 345 partite giocate nella Lazio, le cinque operazioni che ho subito per onorare al meglio la maglia biancoceleste, la volta che ho salvato dalla Serie B la mia squadra, o la volta che l'ho salvata dalla C, o quando l'ho salvata dal fallimento convincendo i miei compagni a non mettere in mora la società per avere lo svincolo, o aver firmato in bianco pur di giocare ancora nella mia Lazio e altre cose che non voglio raccontare. Perché io no! Non riesco a spiegarmi perché io no.
  • [«È vero che stavi per andare alla Roma?»] Mai nella vita! Ero appena tornato da Torino. Un amico che lavorava nella Roma mi chiamò per dirmi che mi stava cercando Dino Viola, il presidente giallorosso dell'epoca. Lo chiamai per educazione e per curiosità, mi disse che Liedholm e Falcao gli stavano rompendo le scatole da due anni perché mi volevano con loro e mi chiese se, nel caso la Lazio fosse stata d'accordo, io avrei accettato il trasferimento in giallorosso. Lo ringraziai per l'interessamento ma gli spiegai che ero tornato da Torino per giocare nella mia Lazio della quale mi sentivo una bandiera. Ci salutammo cordialmente. Mentre ero in ritiro a Sarentino, su Il Tempo uscì un'intervista di Viola nella quale diceva: "Alla Roma vorrebbero venire i migliori giocatori italiani e non. Si figuri che questa estate si era offerto anche una bandiera come D'Amico". Fino a quel giorno ho sempre pensato che fosse un galantuomo, mi fece cambiare idea.
  • [«Quanto ti dava fastidio quando dicevano che eri su di chili?»] All'inizio non me ne fregava niente perché non era vero, poi iniziai ad incazzarmi perché ero stufo di queste fregnacce. Il mio peso forma era 73 chili, in tutti gli anni che sono stato alla Lazio il peso massimo raggiunto è stato di 74 chili. Qualcuno scrisse che ero ingrassato perché mi piaceva mangiare come un disgraziato e da quel momento hanno iniziato a rompermi le scatole su questa storia. Soprattutto quando iniziava il ritiro, scrivevano sempre "D'Amico è tornato dalle vacanze con qualche chilo di troppo". Una cavolata pazzesca [...]. L'anno che andai a Torino, tornato dalle vacanze, passai le visite mediche. Pesavo 76 chili. Giocai un ottimo campionato, arrivai alla nazionale maggiore e nessuno mi ha mai rotto le palle. Quando tornai alla Lazio chiesi a Walter Gallone del Messaggero se mi faceva la cortesia di scrivere che ero sotto peso. Walter fu carino e restò al gioco. Uscito l'articolo da quel momento, giuro su Dio, tutti mi vedevano più secco e se giocavo una partita mediocre arrivavano puntuali le critiche al rovescio: "Per forza che ha giocato male, è troppo secco non si regge in piedi".
  • [Su Luís Vinício] Era molto passionale, quando serviva ci faceva mettere in circolo e tutti abbracciati dovevamo dire: "Chi si ritira dalla lotta è un gran fjo de 'na...". Se alla fine del primo tempo stavamo perdendo, nello spogliatoio iniziava a digrignare i denti e a urlare facendo la bava dalla bocca, nel vero senso della parola, non sto scherzando. Quando perdevamo una partita aveva un modo tutto suo di vendicarsi: nella leggendaria doppia seduta del mercoledì ci faceva – scusa l'espressione – "cacare sangue". Pur essendo una persona con una sensibilità rara, quando si incazzava non ti dovevi avvicinare, ti staccava il collo. Però persona corretta e leale.
  • [Su Franco Cordova] L'unico vero ottavo Re di Roma, altro che Falcao.
  • [«Mi spieghi come ha fatto il tuo compagno di squadra Garella a vincere due scudetti?»] Impossibile, anzi inspiegabile. Ti giuro su quello che ho di più caro che durante la settimana era un fenomeno, poi la domenica ne combinava una a partita. A Tor di Quinto, finito l'allenamento, Vinicio metteva dodici palloni a un paio di metri dalla linea dell'area di rigore simulando altrettante punizioni. Con Claudio facemmo una scommessa: se avesse preso meno di quattro gol avrebbe vinto lui. Dopo un po' abbiamo smesso altrimenti ci toglieva anche le mutande. Le parava tutte! E a tirare quelle punizioni, oltre al sottoscritto, c'era gente come Giordano, Clerici, Cordova e Totò Lopez.

Note

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  1. Citato in Gian Luca Diamanti, L'ultima incompiuta di Vincenzo D'Amico, sodaliziolazio.com, 29 dicembre 2012.
  2. Da un intervento a Goal di notte, T9, 2012; citato in Calcio, morte Chinaglia; D'Amico: in apparenza burbero, era un buono, repubblica.it.
  3. Citato in Marco Gaetani, Vincenzo D'Amico, bandiera silenziosa, ultimouomo.com, 4 luglio 2023.
  4. Dall'intervista di Alberto Abbate al Corriere dello Sport - Stadio; citato in Parla D'Amico, la bandiera di sempre: "Grande Ledesma, Mauri e Candreva da applausi", lenovae.it, 28 novembre 2012.

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