Vai al contenuto

Wilfred Patrick Thesiger

Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.
(Reindirizzamento da Wilfred Thesiger)
Wilfred Thesiger in Africa, 1934

Sir Wilfred Patrick Thesiger (1910 – 2003), esploratore e scrittore britannico nato in Etiopia.

Sabbie arabe Viaggio nell'Arabia deserta

[modifica]

Citazioni

[modifica]
  • [Sui Beduini] Quando mi trovavo tra loro essi non avevano alcuna idea dell'essistenza di un mondo che non fosse il proprio. Non erano dei selvaggi ignoranti; al contrario, essi erano gli eredi diretti di un'antichissima civiltà, che trovavano nel contesto della loro società la libertà personale e l'autodisciplina cui aspiravano. Adesso vengono spinti fuori dal deserto, verso le città, dove quelle qualità che una volta assicuravano il primato non sono più sufficienti. Forze altrettanto incontrollabili della siccità da cui venivano spesso decimati nel passato hanno distrutto l'economia della loro vita. Adesso non è la morte, ma la degradazione che li minaccia. (p. 10)
  • I Bedu sono le tribù di allevatori di cammelli del deserto arabico. In inglese essi di solito vengono chiamati Beduin, un doppio plurale che essi raramente usano. Io preferisco Bedu e ho fatto uso di questa parola per tutto il corso del libro. In generale essi parlano di se stessi come al Arab, e nel fare riferimento a essi io ho usato indistintamente Bedu e Arabo. In arabo Bedu è plurale e Bedui è singolare, ma, per semplificare, ho usato Bedu sia per il singolare che per il plurale. (pp. 10-11)
  • Il deserto dancalo si trova tra l'Altopiano Etiopico e il Mar Rosso, a nord della linea ferroviaria che collegava Addis Abeba con Gibuti, sulla costa. Era una terra sinistra e dalla sinistra reputazione. Da qualche parte in quella regione, verso la fine del secolo scorso, erano state sterminate le spedizioni di Munzinger, di Giulietti e di Bianchi. (p. 24)
  • I Dancali sono un popolo nomade simile ai Somali. Possiedono cammelli, pecore, capre e bestiame, e le tribù più ricche hanno qualche cavallo che tengono per razziare. Nominalmente sono musulmani. Tra essi la posizione di un uomo dipendeva in grandissima misura dalla sua reputazione come guerriero, che veniva giudicato dal numero di uomini che aveva ucciso e mutilato. Non c'era bisogno che l'altro uomo fosse stato ucciso in uno scontro leale; tutto ciò di cui c'era bisogno per stabilire una reputazione era collezionare il necessario numero di genitali tagliati. (p. 24)
  • I Dancali sono divisi in due gruppi, gli Assaaimara e gli Adaaimara. Gli Assaaimara, che sono di gran lunga i più forti, abitano Bahdu e Aussa, e tutte le tribù che avevamo attraversato erano terrorizzate dai guerrieri Bahdu. Gli Adaaimara ci avevano avvertiti che non avremmo avuto alcuma speranza di sfuggire al massacro se fossimo entrati nel Bahdu, che è protetto a sud da un passo tra una bassa scarpata e una palude. (p. 25)
  • Due giorni dopo mi arrampicai su una collina e gettai uno sguardo panoramico su Aussa. Era strano pensare che fino a cinquant'anni prima gran parte dell'Africa era stata inesplorata. Ma da allora viaggiatori, missionari, commercianti e amministratori erano penetrati quasi dappertutto. Questo era uno degli ultimi angoli che rimanevano sconosciuti. Sotto di me vi era una pianura quadrata che si stendeva per circa quarantacinque chilometri. Era racchiusa da ogni lato da scure montagne brulle. (p. 28)
  • [Sul Sultanato di Aussa] A est un ininterrotto precipizio cadeva nelle acque del lago Adobada, che aveva una lunghezza di venticinque chilometri. La metà settentrionale della pianura era coperta da una fitta foresta, ma vi erano vaste radure dove riuscivo a vedere pecore, capre e bestiame. Più a sud vi era una grande palude e specchi di acqua aperta, e al di là di questo una fila di vulcani. (pp. 28-29)
  • Seguimmo il fiume, attraverso la foresta, al di là dei laghi e delle paludi, fino all'estremità di Aussa. Era un paese affascinante e io mi ci sarei volentieri trattenuto per settimane, ma il nostro accompagnatore ci spingeva a proseguire. Avevo ricevuto il permesso dal sultano di attraversare quellla terra, ma non di sostarvi. (p. 29)
  • L'Awash costeggiava i vulcani di Jira e rientrava nel deserto, e là terminava nel lago di sale di Abhebad. Il fiume aveva fatto una lunga strada a partire dalle pianure di Akaki per terminare in quel mondo morto, ed era per vedere questo che io avevo fatto tanta strada: circa cinquecento chilometri quadrati di acqua amara, su cui galleggiavano come sangue stantio delle alghe rosse. (p. 29)
  • Infine, vedemmo, sfuocato come una nube ai bordi del deserto, l'incerto profilo di Emi Koussi, il cratere alla vetta del Tibesti. Man mano che ci avvicinavamo esso venne a dominare il nostro mondo, di un profondo blu all'alba e nero contro il calare del sole. Lo scalammo con difficoltà e ci trovammo infine sull'orlo del cratere, milleduecento metri sopra il livello del mare. Sotto di noi sul fondo del cratere vi era il foro, una grande voragine della profondità di circa di cento metri. (p. 35)
  • I deserti d'Arabia coprono una superficie di più di un milione e mezzo di chilometri quadrati, e il deserto meridionale occupa quasi la metà dell'area totale. […] Gran parte di esso è una landa desolata di sabbia, così enorme e desolato che perfino gli Arabi lo chiamano il Rub al Khali, ovvero la Zona Vuota. (p. 38)
  • Due giorni dopo cavalcammo sui nostri cammelli attraverso la pianura pietrosa di Jarbib; passammo accanto ad alcune coltivazioni e prosegummo verso Jabal Qarra, che sta a un'altezza di circa settecento metri ed è fiancheggiata su entrambi i lati da montagne molto più alte che circondano il mare. Una qualche peculiarità nella forma di queste montagne attira le nubi dei monsoni, di modo che la pioggia si concentra sui pendii peridionali di Jabal Qarra, che sono di conseguenza coperti di foschia e di pioggia per tutta la durata dell'estate e che adesso erano resi scuri dalle giungle riccamente fronzute dopo i monsoni. (p. 45)
  • Non dubitarono mai della mia inferiorità. Essi erano musulmani e Bedu, e io non ero né l'uno né l'altro. Essi non avevano mai sentito parlare degli Inglesi, poiché tutti gli europei erano conosciuti da loro come i cristiani, o più probabilmente come gli infedeli, e la nazionalità per loro non aveva alcun significato. (p. 49)
  • Io li interrogai sul Rub al Khali, o Zona Vuota, la meta delle mie aspirazioni. Nessuno ne aveva sentito parlare. «Di che parla? Che cosa vuole?» «Solo Dio lo sa. Non riesco a capire quello che dice.» Alla fine Sultan esclamò: «Oh! lui vuole dire le Sabbie», e io mi resi conto che questo era il loro nome per il grande deserto dell'Arabia meridionale. (p. 50)
  • Non ho mai visto un Bedu colpire o maltrattare un cammello. I bisogni del cammello vengono sempre per primi. Non è solo perché l'esistenza del Bedu dipende dal benessere dei suoi animali, ma anche perché egli nutre per loro un vero affetto. Spesso ho osservato i miei compagni vezzeggiarli e baciarli mentre mormoravano loro paroline tenere. (p. 82)
  • Assieme ci aggirammo per il Tihama, la calda pianura costiera che si estende tra il Mar Rosso e le montagne, passando per villaggi di casupole di canne e di argilla che facevano pensare all'Africa. La gente di quei posti era di una bellezza fuori del comune, e di modi piacevolmente disinvolti e informali. (p. 73)
  • Attorno a noi vi erano le tombe dei morti d'altri tempi: tumuli raggrupppati assieme in luoghi alti. [...] Su alcuni di essi erano state erette delle lastre di roccia, quali le avevo viste erette dai Dancali sui tumuli funerari simili per spaventare le iene e impedire che diseppellissero i cadaveri. (p. 87)
  • [In riferimento al deserto Rub' al-Khali] Bertram Thomas provò che questo deserto non era inattraversabile come si riteneva una volta. Il suo obiettivo era stato di attraversarlo, e naturalmente lo aveva fatto per la via più facile, dove le dune erano piccole e i pozzi, ben noti alle guide rashid, erano frequenti. Oggi questo percorso non presenterebbe alcuna reale difficoltà, perché il viaggiatore saprebbe che cosa lo aspetta. Ma sapevoc he sminuire l'impresa di Thomas dicendo che il suo percorso si rivelò facile sarebbe altrettanto ingiustificabile che sminuire la priam scalata di una grande montagna, perché era stata fatta lungo la parete più facile. (p. 118)
  • Rimanemmo là lietamente a conversare, ed egli mi spiegò i nomi delle piante che crescono nelle Sabbie. Il tribolo era lo zahra; l'eliotropio che cresceva sulla sabbia dura degli avvallamenti era il rimram; e il carice infiocchettato era il qassis. Il cespuglio sotto il quale sedevamo, i cui fragili rami che crescevano in ogni direzione erano allietati da soffici palle gialle, era l'abal, ed era un cibo ottimo per un cammello assetato. Mi disse i nomi di altre piante e arbusti: harm, il cespuglio di sale di un verde brillante; birkan, ailqi, sadam, e diversi altri. Li conosceva tutti. (pp. 127-128)
  • [Su Shibam] Costruita sui bordi del letto asciutto di un fiume, sopra una piccola elevazione al centro della valle, aveva una popolazione di circa settemila abitanti. Il paese è circondato da un alto muro, che però le case tutte addossate fanno sembrare piccolo, innalzandosi dentro di esse fino a sette od otto piani. Ogni volta che mi trovavo nei vicoli silenziosi tra le pareti a picco di queste case mi sembrava di stare in fondo a un pozzo. (pp. 208-209)
  • Laila era stata una delle roccheforti degli Akhwan, una confraternita religiosa militante, dedicata all'unificazione e alla purificazione dell'Islam. (p. 244)
  • Scott era andato al Polo Sud al fine di poter stare per qualche minuto in un particolare e quasi inaccessibile punto della superficie terrestre. Lui e i suoi compagni dovevano morire sulla via del ritorno, ma anche mentre morivano non dubitò mai che non fosse valsa la pena del viaggio. (p. 274)

Citazioni su Wilfred Thesiger

[modifica]
  • A Eton, e prima ncora a St. Aubiyn's, Thesiger era stato uno studente infelice. Figlio di diplomatici, primo inglese a nascere a Addis Abeba, dove il padre era ministro plenipotenziario, nipote di lord Frederic Chelmsford, allora viceré dell'India, aveva passato la sua infanzia come il piccolo principe, cui nulla è negato, di un mondo del «barbarico splendore». Ignorava cosa fosse il cricket o il football, ma sapeva tutto di caccia grossa, non conosceva la composizione dei ministeri inglesi, ma aveva visto la sanguinosa lotta per la successione al trono di Menelik, con i vinti trascinati in catene, al suono dei tamburi, l'armata vittoriosa di Ras Tafari con le insegne di guerra, i colori, le spoglie del nemico ucciso...
  • All'Abissinia Thesiger dedicherà la sua prima spedizione geografica, alla scoperta di uno degli ultimi misteri africani, l'ubicazione della foce del fiume Awash, nel territorio dei Dancali: spedizione lunga, pericolosa e coronata da successo. Ha solo ventitré anni.
  • Thesiger è la quintessenza di tutto ciò che è britannico, ma ha passato il suo tempo a fuggire i connazionali: ha combattuto con e per gli abissini, viaggiato con i beduini, vissuto con i samburu e i turkana.

Bibliografia

[modifica]
  • Wilfred Thesiger, Sabbie arabe Viaggio nell'Arabia deserta, Mondadori, Milano, 1991. ISBN 88-04-35015-6

Altri progetti

[modifica]