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Pietro Secchia

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Pietro Secchia

Pietro Secchia (1903 – 1973), politico e antifascista italiano.

Citazioni di Pietro Secchia

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  • Dietro alla bandiera della Resistenza marciano oggi nuove possenti forze, giovani generazioni che aspirano a conquistare il loro avvenire. Portiamo avanti, portiamo al successo le bandiere della Resistenza.[1]
  • Il grande capitale non domina solo con le banche, i monopoli, il potere finanziario, il tribunale e la polizia, ma con i mezzi quasi illimitati della sua propaganda e della corruzione ideologica.[2]
  • L'amore dei comunisti per la patria si esprime nelle grandi lotte che essi alla testa dei lavoratori italiani hanno combattuto per conquistare il diritto di vivere da uomini, per conquistare un maggior benessere per tutti gli italiani. Il nostro patriottismo è fatto sì di amore per il nostro luogo di nascita e per la nostra lingua, ma consiste soprattutto nella profonda devozione e nella fedeltà al popolo lavoratore che crea le ricchezze della nazione. [...] Il nostro patriottismo lo dimostriamo quando lottiamo perché tutti gli italiani possano trovare lavoro in patria e non siano costretti a emigrare e andare in cerca di un boccone di pane all'estero. Dimostriamo il nostro patriottismo quando operiamo e lottiamo per la rinascita delle province italiane, per eliminare le miserie più nere, le ingiustizie più vergognose. È patriottica la lotta che noi conduciamo per dare all'Italia un governo di pace che garantisca l'inviolabilità delle libertà democratiche, l'indipendenza del paese.[3]
  • L'antisovietismo e l'anticomunismo sono stati i mezzi più efficaci impiegati da Hitler e da Mussolini per ingannare i loro avversari, ubriacare l'opinione pubblica e creare una psicosi di guerra.[4]
  • La pace di Brest-Litovsk, firmata dai bolscevichi dopo una lotta accanita di Lenin e di Stalin contro coloro che non la volevano firmare, salvò l'Unione Sovietica in pericolo. Il prevalere del punto di vista degli oppositori avrebbe significato la sconfitta della repubblica dei Soviet.[5]
  • La stampa è un potente strumento di cui si serve la classe dominante per mantenere la sua dittatura.[2]
  • Ma voi non siete patrioti, voi non amate l'Italia, dicono i nostri avversari. [...] Ma i fatti che cosa dimostrarono? I fatti dimostrarono che i traditori della patria furono i nostri calunniatori, furono i circoli dirigenti della grande borghesia, furono coloro che barattarono l'Italia, che la vendettero allo straniero, che la consegnarono al tedesco invasore, furono coloro che ridussero il nostro paese in un ammasso di rovine e di miserie. Toccò a noi allora, toccò ai comunisti prendere le armi e lottare per cacciare lo straniero, combattere per salvare quel poco che si poteva ancora salvare della nostra Patria, combattere per cacciare l'invasore tedesco e abbattere la tirannia fascista. Noi abbiamo dimostrato con i fatti di amare la patria. Certo il nostro patriottismo non ha nulla a che fare con il nazionalismo borghese. [...] Il nostro patriottismo non offende, non ferisce, non aggredisce nessuno perché il nostro patriottismo non è odio per gli altri popoli ma consiste nella volontà di vivere in pace e in amicizia con tutti i paesi.[3]
  • No, non vi è rottura tra lo spirito di partito, tra lo spirito del partito della classe operaia, che è classe nazionale, e lo spirito nazionale. Non vi è rottura tra lo spirito di partito dei lavoratori che sono la grande maggioranza, la parte produttiva e più attiva della nazione, e l'interesse nazionale. Non vi è rottura tra coscienza di partito e coscienza nazionale, poiché la coscienza, lo spirito di partito, si nutrono dei valori e delle lotte sostenute dalla classe nazionale per eccellenza, dal proletariato, poiché la coscienza, lo spirito di partito, l'attaccamento al partito consistono nell'aver a cuore tutti i bisogni, tutte le sofferenze, le necessità del popolo, consistono nel lottare per soddisfare questi bisogni, queste necessità, nel lottare per risolvere tutti quei problemi che sono nell'interesse del presente e dell'avvenire della nazione.[3]
  • Non è vero che la guerra sia connaturata con la società umana. La guerra è insita nella società capitalistica, è l'imperialismo che genera inevitabilmente le guerre, ma questa inevitabilità delle guerre può essere anch'essa eliminata distruggendo l'imperialismo.[5]
  • Quando avviene di essere battuti, noi comunisti non abbiamo altro da fare che riprendere la lotta per andare avanti.[6]
  • Sappiamo che la nostra lotta non è facile, sarà ancora lunga e dura perché il grande capitale è deciso a tradire la patria ed a commettere tutti i delitti pur di salvare i suoi privilegi; ma sappiamo pure che la strada indicataci da Stalin è quella giusta e che per questa strada sapremo conquistare la vittoria.[5]
  • Si falsifica la storia della guerra di liberazione nazionale; si vuol far dimenticare che classe operaia, i lavoratori sono stati la forza motrice e decisiva della resistenza e della guerra partigiana; che i partiti comunisti sono stati alla testa di quella lotta, l'hanno diretta e organizzata, hanno inviato al combattimento contro lo straniero, per la libertà della patria, le loro forze migliori; si tenta di insinuare, con l'orchestrazione di insistenti campagne, che la guerra di liberazione e stata condotta in Francia dai gaullisti e in Italia dai conservatori borghesi, dai "democristiani" e si presentano i comunisti come delinquenti che hanno cercato di approfittare della lotta per scopi criminali.[4]
  • Sono convinto che se le mie posizioni fossero state seguite, noi non ci troveremmo nelle condizioni di oggi. Non dico che si sarebbe potuto fare la rivoluzione. Ma certo si poteva fare molto di più, mantenendo il carattere rivoluzionario al partito, per sostenere, difendere e portare avanti certe posizioni che avevamo conquistate.[7]
  • Stalin è morto ma la sua opera vive immortale. Il suo insegnamento guiderà sempre, quale bandiera invincibile, i comunisti di tutto il mondo. Ovunque vive un partito comunista, Stalin vive.[5]
  • Stalin è stato la guida, la stella orientatrice per tutti gli uomini che consacrano le loro energie, il loro tempo, le loro preoccupazioni a questo bene immenso, inestimabile: la pace e l'amicizia tra i popoli.[5]

Da La più grande eredità di Stalin: il Partito Comunista

Rinascita. Rassegna di politica e di cultura italiana, n. 2, febbraio 1953, pp. 71-75.

  • Stalin è il gigante della costruzione del socialismo, l'uomo della vittoria, l'uomo della pace, della liberazione sociale e nazionale perché è l'uomo del partito di tipo nuovo, del partito della classe operaia. (p. 71)
  • Uno dei più grandi meriti di Stalin è stato quello di avere elaborato, sviluppato, arricchito la teoria, la politica e i principi organizzativi del partito del proletariato quali erano stati scoperti ed indicati da Marx, da Engels e da Lenin. (p. 71)
  • Il partito comunista dell'Unione Sovietica si è forgiato nelle tempeste delle lotte rivoluzionarie. Non si è sviluppato in un periodo pacifico, è passato attraverso duri anni di reazione, guerre e rivoluzioni.
    La sua ricca esperienza, le sue tradizioni, i suoi principi ideologici organizzativi e tattici hanno un inestimabile valore per i partiti comunisti di tutti i paesi. (p. 71)
  • Nel nome di Stalin sempre si è vinto, nel nome di Stalin tutte le vittorie saranno nostre. (p. 75)

Dal discorso al Senato del 13 marzo 1953

CMLXIII seduta, senato.it.

  • [...] lo scopo, il fine della legge [31 marzo 1953, n. 148] apertamente, sfacciatamente confessato, è quello di impedire che il Partito comunista e che il Partito socialista, che i partiti dei lavoratori e la loro ideologia, possano essere rappresentati al Parlamento italiano. Dico «possano essere rappresentati» perché, se questi argomenti del Ministro dell'interno [Mario Scelba] e del Governo sono accettati per buoni oggi, allo scopo di ridurre la rappresentanza parlamentare dei lavoratori per mezzo della legge truffa, non vedo perché domani, con gli stessi argomenti, con la stessa tesi, non si potrà sostenere che è meglio che questa rappresentanza sia esclusa del tutto. (p. 39567)
  • [Rivolgendosi ai parlamentari della Democrazia Cristiana] I metodi che voi impiegate per affermare il vostro totalitarismo sono senza dubbio per molti altri aspetti molto diversi da quelli fascisti. Voi non mandate in giro, ad esempio, delle squadre di manganellatori in camicia nera, però mandate la Celere a caricare gli scioperanti, i manifestanti ed i manganelli della Celere non sono certo di legno più dolce di quelli fascisti. La repressione viene organizzata dagli organi dello Stato che voi chiamate democratico. I metodi sono diversi, ma i risultati ai quali volete arrivare sono identici a quelli fascisti. (p. 39580)
  • [...] il movimento operaio italiano non ha mai rotto la legalità democratica, non ha mai minacciato e calpestato le democrazia e la libertà. Questo l'hanno fatto i governi della grande borghesia e del grande capitale. Voi dite che temete che noi lo facciamo in avvenire, ma questo è un processo alle intenzioni. Ma i governi dei grandi capitalisti lo hanno fatto in passato e non una volta soltanto: nel secolo scorso e nel nostro ai tempi dei fasci siciliani, nel 1898, nel 1915, nel 1922, nel 1923 e nel 1926. In tutte queste occasioni è stato calpestato lo statuto costituzionale. Lo violate voi anche oggi. Sempre la grande borghesia e le caste privilegiate hanno dato prova di essere disposte a calpestare qualsiasi libertà costituzionale, pur di impedire l'avanzata della classe lavoratrice. (p. 39584 sg.)

Aldo dice: 26x1

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  • L'insurrezione del Nord [Italia] merita di essere conosciuta e studiata, specialmente dai giovani poiché essa fu non soltanto la battaglia decisiva e culminante della Resistenza, ma la spinta rivoluzionaria sostanziale del processo di sviluppo sociale realizzatosi in Italia dal 25 aprile 1945 in poi. Essa impresse un forte carattere democratico alla lotta per cacciare la monarchia, per dare all'Italia una Costituzione, per ricostruire e rinnovare il Paese. Di qui la sua grande importanza politica, militare e morale. (p. 6)
  • L'insurrezione di Napoli esigerebbe anzi uno studio particolare poiché è uno dei rari esempi di un grande moto di popolo "spontaneo" conclusosi vittoriosamente. Forse una delle migliori dimostrazioni di quanto sia errato credere che l'insurrezione sia oggi resa impossibile dalle armi moderne. (pp. 7-8)
  • Quello di Napoli è un caso più unico che raro di una insurrezione di popolo scoppiata e condotta senza uno studio preliminare, un piano militare, senza una preparazione organizzata ed è la prova di quanto sia difficile per un nemico, che pur dispone di grandi mezzi, aver ragione di una città di oltre un milione di abitanti in rivolta. (p. 8)
  • Quando si parla di insurrezione "spontanea" di Napoli, occorre dare alla parola un significato relativo. Spontanea in quanto non vi fu un'accurata preparazione, un piano concreto, degli obbiettivi precisi da parte degli insorti e neppure una direzione coordinatrice ed un comando unico. Ma la rivolta non piovve dal cielo improvvisa come un temporale d'estate, si sviluppò su di un terreno che era stato preparato durante vent'anni. Napoli era una delle città italiane dove l'antifascismo aveva dimostrato la sua vitalità sia nell'ambiente intellettuale che in quello della classe operaia. (p. 12)
  • L'insurrezione anche quando ha carattere largamente nazionale e patriottico, non è mai un'operazione puramente militare, ma è in primo luogo una possente lotta delle masse popolari e perciò stesso un movimento rivoluzionario; le classi conservatrici non possono non averne paura. (p. 21)
  • È vero che tanto i rappresentanti del Partito liberale, quanto quelli della DC, in seno ai CLN accettavano l'orientamento insurrezionale ed avevano approvato la dichiarazione che sconfessava i tentativi di iniziare trattative per arrivare a patti, a compromessi con i comandi tedeschi e fascisti, ma questi tentativi c'erano stati se non ufficialmente da parte di questi partiti, senza dubbio da parte delle autorità ecclesiastiche e di personalità che con quei due partiti avevano particolari rapporti. Certo è che i giornali della DC e del Partito liberale non svolgevano alcuna azione di propaganda e di incitamento per l'insurrezione, pubblicavano invece lunghi articoli già volti ai problemi della produzione, della ricostruzione, ai problemi del domani, mentre il paese era ancora impegnato nella lotta armata e tutte le energie dovevano essere mobilitate per la battaglia decisiva. (p. 52)
  • Le forze conservatrici temevano l'insurrezione popolare, esse avrebbero voluto un passaggio pacifico, burocratico, legalitario, la retroguardia tedesca che prima di abbandonare Milano, e le altre città, fa la consegna del potere nelle mani degli avamposti anglo-americani, Mussolini che rimette le chiavi della città nelle mani del cardinale Schuster o di qualche delegato del CLNAI. L'insurrezione inoltre non corrispondeva né agli obbiettivi degli Alleati, né ai piani di ritirata dei tedeschi. I primi temevano l'insurrezione e le masse popolari in armi, soprattutto non avevano interesse a che l'Italia potesse dire di essersi liberata in parte da sé. I tedeschi la temevano perché un'insurrezione nazionale avrebbe accelerato, aggravato la loro sconfitta e poteva rendere catastrofica la loro ritirata. (pp. 54-55)
  • [Il 25 aprile 1945] Mussolini fa sapere al Comando del CVL e al CLNAI, tramite il cardinale Schuster, che è disposto ad incontrarsi con i suoi delegati per trattare la resa. Da tempo il cardinale manteneva i contatti con le due parti in lotta. [...] Mussolini chiede quali condizioni gli vengono fatte. Gli risponde Achille Marazza, dicendo che gli si può offrire soltanto la resa senza condizioni. Irritazione del "duce", il quale osserva di aver accettato il colloquio perché gli erano state offerte garanzie per lui, per la sua famiglia e per i fascisti. [...] Intervento aspro di Graziani per chiarire che mai essi avrebbero firmato un accordo all'insaputa dei tedeschi. Cadorna, Marazza e il cardinale Schuster provarono allora, documenti alla mano, che già da tempo i tedeschi trattavano la resa all'insaputa dei fascisti. Esplosione indignata di Mussolini: "I tedeschi ci hanno sempre trattato come schiavi, vado a telefonare al viceconsole tedesco Wolff e gli dirò che i tedeschi ci hanno tradito e che noi riprendiamo la nostra libertà d'azione." [...] Mussolini esita, alla fine sollecitato a prendere una decisione, si alza, dice che va a parlare con Wolff e che alle 20 avrebbe fatto conoscere la sua risposta. Alle 21 quelli rimasti all'Arcivescovado vengono a sapere che Mussolini e Graziani avevano deciso di rompere le trattative ed erano partiti per ignota destinazione. (pp. 80-81)

Note

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  1. Da La Resistenza accusa 1945-1973, Editore Mazzotta, 1973; citato in La bandiera della Resistenza, Resistenze.org.
  2. a b Citato in I crociati della menzogna, Resistenze.org.
  3. a b c Citato in Chi sono i comunisti. Partiti e masse nella vita nazionale, 1948 - 1970., Milano, Mazzotta, 1977, p. 129-131.
  4. a b Citato in I crociati della menzogna, resistenze.org.
  5. a b c d e Dalla prefazione alla raccolta di scritti di Stalin Problemi della Pace, Edizioni di Cultura Sociale, 1953. Citato in [1], Associazionestalin.it.
  6. Dal discorso al Congresso della FGCI di Bologna, 1950; citato in Introduzione a Pietro Secchia, Senzatregua.it.
  7. Citato in Alessandro Pagano Dritto, Pietro Secchia: l’antifascismo, la Resistenza e gli ideali, Nuovatlantide.org.

Bibliografia

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  • Pietro Secchia, Aldo dice: 26x1. Cronistoria del 25 aprile 1945, Feltrinelli, Milano, 1963.

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