Ármin Vámbéry
Ármin Vámbéry (1832 – 1913), storico, linguista, orientalista e scrittore ungherese.
Viaggi di un falso dervish nell'Asia centrale
[modifica]Io nacqui nel 1832 nella piccola città ungherese di Duna Szerdahely, situata sovr' una delle isole più grandi del Danubio. Per istinto particolare inclinato di buon' ora allo studio della linguistica, io mi occupai sempre dei varii idiomi parlati in Europa ed in Asia. Dapprima esplorai con ardore i ricchi dominii delle letterature orientali ed occidentali; e più tardi m'interessai alle reciproche influenze che le lingue esercitano le une sulle altre, e non è a stupire se, in virtù del vecchio adagio Nosce te ipsum, la mia attenzione siasi di preferenza rivolta a studiare l'origine e le affinità della mia lingua materna.
Citazioni
[modifica]- È noto che l'idioma ungherese appartiene al ceppo chiaramente altaico; ma per contro non è ancor definita la questione s'esso discenda dal ramo tartaro o dal finnico. (p. 2)
- Gli Orientali non comprendono affatto l'inquieta curiosità dei dotti d'occidente, né inclinano a creder nemmeno ch'essa possa esistere. (p. 16)
- Invano mi si diceva che la religiosa apparenza dei miei nuovi compagni poteva essere una maschera coprente un'immane perversità; invano mi si ricordava la tragica sorte di Stoddart e Moorcroft ed i casi più recenti del signor Blocqueville che, venduto come schiavo, dovette redimersi con dieci mila ducati. In ciò non vedevo che disastri accidentali che non aveano ad ispirarmi timore veruno. Mi domandavo soltanto se le mie forze fisiche poteano bastare a sostenere il rigore del clima, un nuovo regime alimentare, l'insufficienza del vestito, le notti da passare all'aperto e i disagi d'un lungo cammino, cui una infermità accidentale doveva rendermi particolarmente intollerabile. Era ciò che mi cuoceva di più e mi dava maggior pensiero, ma non tanto da farmi desistere. (pp. 21-22)
- [Sul Mazandaran] Parebbe non essere in Persia vedendosi circondati dal verde splendore di tante vergini foreste che vestono i gioghi, a perdita d'occhio, di una bellezza indescrivibile. (p. 27)
- La città di Sari non si raccomanda per nessun genere di beltà, ma viene additata come il centro di un vasto commercio. (p. 27)
- [Sui Turkmeni] Le loro barche corsare, al coperto lungo la costa, mettono a terra bande d'armati, le cui depredazioni s'estendono a diverse leghe all'intorno sulle spiagge persiane, e traggono in servitù innumerevoli prigionieri. (p. 28)
- Quando parlasi di'Ilham, od ispirazione divina, il musulmano non deve esprimere il menomo dubbio, anche quando crede avere a fare con un impostore. (p. 31)
- Il nome stesso d'Ashurada deriva dai dialetti del Turkestan. Era un tempo un luogo deserto, semplice ritrovo de' pirati donde sovente partivano per le loro scorriere, spavento delle adiacenti contrade. Ora il viaggiatore, venendo dalla Persia, vi scorge una città marittima, un gruppo di case costruite all'europea e a un campanile e una chiesa che attira lo sguardo, e il cui primo aspetto produce un'impressione gradevole. (p. 35)
- La mia guida pareva assai meravigliata ch' io mostrassi tanto interesse alla muraglia di Alessandro (Seddi Iskender). A suo dire, era stata edificata dai genii (jin) per ordine dell'onnipotente monarca. «Alessandro, aggiungeva, era un musulmano assai più religioso di noi, ed è perciò che gli spiriti sotterranei, buono o malgrado, dovevangli piena obbedienza.» (p. 50)
- La storia dell'eroe macedone ha presso gli Orientali assunto tutti i caratteri di un mito religioso; e malgrado la distinzione che taluno dei loro scrittori pretende stabilire tra Iskender Zul Karnein (l'Alessandro a due corni), ch' è il loro eroe mitologico, e Iskender Rumi (l'Alessandro greco), io mi sono accorto fin d'ora che queste due denominazioni sono applicate ad un identico personaggio. (p. 50)
- Orrenda infatti dev'essere l'impressione dell'abitante delle frontiere persiane quando, vittima di una sorpresa notturna, violentemente si vede strappato dalla propria famiglia e tradotto, carico sovente di ferite, in mezzo a queste genti ancora mezzo selvaggie. Anzi tutto è costretto a cangiare gli abituali suoi abiti contro un pugno di cenci turkomanni che appena gli coprono parte del corpo; i ceppi che lo stringono, ammaccandogli le caviglie del piede già indolenzite, cagionangli ad ogni passo nuove sofferenze; e durante i primi giorni, e talora per intiere settimane di sua cattività, lo si sottopone alla dieta la più rigorosa. La notte, affine di prevenire ogni tentativo d'evasione, gli si attacca al collo un karabogra (enorme anello di ferro) infisso in un caviccio piantato in terra, per modo che il romor del metallo tradirebbe i più piccoli suoi movimenti. I suoi dolori avran termine soltanto s'egli pagherà il suo riscatto; in caso contrario verrà condotto ai mercati di Khiva o di Bokhara, e venduto. (pp. 51-54)
- Pei costumi, le idee e le abitudini, Turkomanni e Persiani differiscono così come fossero posti ad immenza distanza l'uno dall'altro, tanto han d'influenza sull'uomo le tradizioni religiose ed istoriche. (p. 54)
- Il più pio musulmano, se ucciso da un animale di razza porcina, giungerebbe nedjis (impuro) all'altro mondo, né cent'anni di purgatorio basterebbero a cancellar dal suo spirito la sua fatale immondezza. (p. 62)
- È terribile cosa vedere che un padre nasconde l'acqua al figliuolo e il fratello al fratello! Ma, lo ripeto, allorché ogni goccia d'acqua rappresenta un'ora di vita, l'uomo alle prese colle angoscie della sete diventa peggiore d'una tigre; e se in altre circostanze critiche è disposto a sacrificarsi pe' suoi simili, non gli si può in verun modo richiedere un tal sacrificio in fondo al Deserto. Il terrore spegne qualunque tendenza generosa. (p. 112)
- Indarno vorrei dare la menoma idea del martirio cagionato dalla sete: la morte stessa, lo credo fermamente, non è accompagnata da sofferenze così crude. A fronte d'altri pericoli, io non ho mai trovato la lotta superiore al mio coraggio: qui, io mi sentiva soprafatto, abbattuto, annientato e pareami esser giunto al confine della mia esistenza. (p. 114)
La potenza dell'abitudine è, per verità, maravigliosa. Benché io fossi andato passo passo e gradatamente dalla massima civiltà dell'Europa alla minima civiltà orientale, or tutte le cose nel mio nuovo soggiorno sembrano venirmi davanti per la prima volta, quasi che le mie anteriori nozioni della vita che conducesi tra noi sieno passate allo stato di sogno, e come se la mia trasformazione asiatica avesse serbato alcun che di reale e di vero. Delle nomadi mie peregrinazionio mi è rimasto un ricordo profondo e durevole. Nessuno si meravigli adunque se di quando in quando, percorrendo Regent-Street, o seduto ne' saloni dell'aristocrazia britannica, mi vede astratto nelle mie visioni, non pensando ad altro che ai deserti dell'Asia centrale, alle tende dei Kirghisi e dei Turkomanni!
Bibliografia
[modifica]- Ármin Vámbéry, Viaggi di un falso dervish nell'Asia centrale da Téhéran a Khiva, Bokhara e Samarcanda per il gran deserto turcomanno, Treves, 1873.
Altri progetti
[modifica]- Wikipedia contiene una voce riguardante Ármin Vámbéry
- Commons contiene immagini o altri file su Ármin Vámbéry