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Adriano Tilgher

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Adriano Tilgher

Adriano Tilgher (1887 – 1941), filosofo e saggista italiano.

Citazioni di Adriano Tilgher

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  • Fra i tanti Pirandello che vanno in giro da un pezzo al mondo della critica letteraria internazionale, zoppi, deformi, tutti testa e niente, strambalati, sgarbati, lunatici, nei quali io, per quanto mi sforzi, non riesco a riconoscermi per un minimo tratto.[1]
  • [Nel 1860, a Napoli, dopo il Plebiscito] I partigiani del Begriff[2] essendo più giovani, avevano più spesso il di sopra in questi filosofici tornei[3]. Onde divennero in breve il terrore dei proprietari di caffè delle Puglie e della Calabria, che al vederli avvicinarsi gridavano ai garzoni: Chiudite, ca stanno venenno 'e Begriffe! Nacque così il termine di Begriffo per indicare i fedeli e i fanatici del dio Begriff.[4]
  • In Italia pare si voglia insistere a seguire la falsariga di qualche critico che ha creduto di scoprire nelle mie cose un contenuto filosofico, che non c'è, vi garantisco che non c'è.[5]
  • Io mostravo che tutto il mondo pirandelliano faceva centro intorno a una visione della Vita come forza travagliata da un'intera antinomia per la quale la Vita è, insieme, necessitata a darsi forma e, per uguale necessità, non può consistere in nessuna forma, ma deve passare di forma in forma. È la famosa, o famigerata, antitesi di Vita e Forma, problema centrale dell'arte pirandelliana.[6]
  • Morelly pone come principio che l'interesse particolare, il «desiderio d'avere», l'avarizia è la fonte di tutti i mali sociali. A chi obietta che l'interesse personale è lo stimolante necessario dell'energia umana, Morelly risponde che l'uomo è un essere naturalmente attivo, che non ripugna affatto al lavoro in quanto tale, ma solo al lavoro monotono e prolungato. Sono le istituzioni arbitrarie le quali pretendono di fissare per alcuni uomini soltanto uno stato permanente di riposo detto prosperità, fortuna, lasciando agli altri in permanente retaggio il lavoro, la fatica, che generano la pigrizia e l'odio al lavoro. È la cattiva costituzione sociale che ha prodotto negli uni l'ozio e la mollezza, negli altri l'aborrimento dal lavoro forzato. Ma di per sé il lavoro non ha nulla di repugnante, è, anzi, piacevole, attraente.[7]
  • Nei regimi di libertà, essendoci libertà di parola e di critica, è naturale che il pubblico se ne serva, più che per lodare, per criticare e lamentarsi: di qui l'apparenza che in quei regimi tutto vada male.[8]
  • Temperamento pugnace e individualistico, «poeta maledetto» della filosofia, amatore di tutte le cause perdute, Rensi è di quelli cui piace dire di no alla scuola dominante e di starsene coi vinti, salvo, quando siano divenuti vincitori, a piantarli in asso e a passare al campo opposto. Ove si dia alla parola idealista il senso che ha nel discorso comune e corrente, questo sedicente scettico e materialista è il filosofo più idealista che abbia oggi l'Italia. E poiché in Italia la scuola filosofica dominante, in teoria e in pratica, era ed è tutt'ora l'Idealismo, Rensi ha detto di no all'Idealismo, e la sua negazione ha accompagnato fedelmente tutte le metamorfosi che l'Idealismo ha subìto da noi negli ultimi anni. Perciò non aveva tutti i torti chi, scherzando, chiamava Rensi il Bastian Contraro della filosofia idealistica.[9]

Mistiche nuove e mistiche antiche

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Problema grosso e dibattutissimo quello dei rapporti fra magia e religione e della priorità cronologica di quella su questa o viceversa, da quando James Frazer lo mise all'ordine del giorno. La soluzione di esso in un senso piuttosto che in un altro involge una visione affatto differente dell'uomo e della sua storia.
Le tesi di Frazer sono note. Secondo lui, a base della magia è una convinzione identica a quella che è a base della scienza moderna: la convinzione nell'uniformità del corso della natura. Come lo scienziato, così il mago, per raggiungere il risultato cui mira, non supplica né implora le potenze invisibili; ma agisce ed opera secondo regole strette e precise a cui egli è sicuro che le potenze invisibili saranno costrette ad ubbidire, così come lo scienziato è sicuro che, poste certe condizioni, le forze della natura ch'egli mette in movimento non potranno non agire come egli vuole.

Citazioni

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  • Uno di questi fondatori di religione fu Augusto Comte. La religione ch'egli propose è la religione dell'umanità o positivismo: termini, per Comte, equivalenti.
    Comte era profondamente persuaso di due cose: 1) che senza religione una società non può assolutamente vivere; 2) che nell'età della scienza l'umanità non può credere alle stesse cose cui ha creduto nelle antiche età teologali e metafisiche. Bisognava perciò mettere d'accordo ciò che l'uomo oggi pensa con quello che può credere. (cap. V, p. 39)
  • La religione dell'umanità [di Comte], dopo aver vissuto di vita pallida e larvale, si può considerare oggi morta, anche praticamente. Qualche anno la, trovandomi a Parigi, ne andai a visitare i luoghi santi: l'apportamento di Comte e quello della sua ispiratrice Clotilde de Vaux[10]. E lì appresi, non senza malinconia, che la chiesa positivista non disponeva più nemmeno di un locale, e doveva contentarsi di un angolo di una stanza affittata in comune con altre religioni poco fortunate come lei. E forse all'ora in cui scrivo avrà dovuto rinunziare anche a quello. Le ragioni della sua stentata vita e precoce morte son chiare: da una parte, la sua pratica accaparra il fedele e non gli lascia il tempo di respirare (si pensi che Comte imponeva fino a cinque ore al giorno di preghiera); dall'altra, la coscienza che gli dà, che gli oggetti del suo culto sono miti senza realtà oggettiva, stronca alle radici l'impulso religioso, per essenza sua (checché Comte credesse in contrario) oggettivistico. È una religione troppo mitica per essere laica e, insieme, troppo intellettuale per essere religione. (cap. V, pp. 42-43)
  • [Friedrich Dessauer] Egli è un vero mistico della Tecnica. E se una qualche novità c'è nel suo libro [Filosofia della Tecnica], non è tanto per il concetto della Tecnica come continuazione e prolungamento dell'opera divina, come Demiurgia (concetto già formulato con tutta la chiarezza possibile e desiderabile da tutta una serie di filosofi da Marsilio Ficino giù giù fino a Bergson, come si può leggere nel mio Homo Faber) quanto piuttosto nella intensità emotiva con cui quel concetto è vissuto dal nostro Autore. Concetto, del resto, giustissimo. Con la Tecnica l'uomo si fa creatore di qualità, di forme, di processi, di realtà, che non erano dati dalla Natura. Eritis sicut Dii! (cap. VIII, p. 67)
  • Tra Comunismo e Cristianesimo il rapporto che corre è – come i più credono, come le Chiese organizzate affermano – quello di diametrale antitesi, di radicalissima opposizione? O – come alcuni gruppi di giovani cristiani all'estero sostengono – sotto la superficiale opposizione c'è un piano sul quale le due visioni del mondo e della vita possono intendersi e darsi la mano? Il problema è di capitalissima importanza, ma, per risolverlo bene, bisogna risalire alle fondazioni stesse metafisiche delle due dottrine. (cap. IX, p. 72)
  • Il Cristianesimo [...] comincia dove il Comunismo finisce, e viceversa. Il Cristianesimo va dall'individuo alla società; il Comunismo dalla società all'individuo. (cap. IX, p. 73)
  • È una delle più belle conquiste della critica storica del nostro tempo quella del significato che per la storia religiosa e morale dell'umanità d'Occidente ebbe la predicazione di Zaratustra. Fu infatti a contatto della religione di Zaratustra che la religione ebraica anteriore all'esilio di Babilonia si trasformò nella religione messianica e apocalittica posteriore all'esilio, dalla quale sbocciò poi il Cristianesimo. Fu, a quel che pare, sotto l'influsso della religione di Zaratustra che la religione olimpica dei Greci s'impregnò di preoccupazioni morali ed entrò in una fermentazione dalla quale, ipotesi audace ma non avventata di qualche moderno, fiorì la tragedia greca di Eschilo. Per queste e per altre ragioni ancora, la critica storica moderna sempre più concorda nel riconoscere in Zaratustra uno dei più alti, originali e possenti creatori di valori religiosi, morali e civili. (cap. XIII, p. 104)
  • Durante il terribile assedio posto dai Goti di Vitige a Roma, difesa dai Bizantini di Belisario (marzo 537-marzo 538 d. C.) accadde un fatto stranissimo: una mattina furono ritrovate aperte le porte del tempio di Giano chiuse da secoli, da quando il Cristianesimo era diventato la sola religione ammessa dallo Stato. Evidentemente, c'erano ancora in Roma dei pagani, e questi avevano tentato di far rivivere il vecchio costume per il quale le porte del tempio del dio erano tenute aperte finché durasse la guerra. (cap. XIV, p. 110)
  • Il tempio di Giano è il punto donde s'irraggia nel mondo la forza romana. Giano ne ha il dominio non in quanto dio della guerra (la guerra si fa dal suo tempio) ma in quanto dio dei cominciamenti, dei principi, degl'inizi[11]. Finita la guerra, il tempio si chiude, il ciclo si è compiuto, la forza, esplicatasi, è tornata al suo punto di partenza. Nel tempio chiuso non siede né la Pace né la Guerra in senso proprio: siede la Forza che ha iniziato e concluso la guerra, che ha rotto la pace e l'ha ripristinata, che ora è in pace ma che però ha in sé la potenzialità di un'altra guerra, una Forza ambigua, dunque, a doppia, faccia, appunto come a doppia faccia era raffigurato Giano. Finché la guerra dura, il tempio è spalancato: esso attende che la Forza che si è partita da lui vi faccia ritorno vittoriosa. (cap. XIV, pp. 114-115)
  • Se ci fu mai tempo in cui il pensiero della morte ebbe poco o nessun peso sulle preoccupazioni dei viventi, è certo il tempo in cui viviamo: questo è un fatto che nessuno contesta. Ma come e perché ci si è arrivati? (cap. XIX, p. 143)

Studi sul teatro contemporaneo

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Che l'arte sia, a suo modo, armonizzazione, organizzazione, sintesi, e cioè creazione e attività, è un punto sul quale è oggi raggiunto l'accordo. Ma quanti hanno pensato a fondo e interiormente realizzato tutto ciò che la definizione omai, a furia di essere ripetuta, trita e banale, arte=creazione, attività contiene? Ben pochi di sicuro. Se arte è attività e creazione, cioè produzione di sintesi non preesistente all'atto della sua produzione, segue che tanto v'ha d'arte in un'opera che d'arte vuol essere detta, quanto di originalità o novità: ciò che in essa v'ha di nuovo, di non originale, di vecchio, d'imitato o ispirato, consciamente o inconsciamente, da altre opere d'arte, corrisponde a momenti non di creazione ma di recezione, non di attività ma di passività, e perciò non è arte.

Citazioni

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  • Dà forma artistica alla Vita del tuo tempo, al tuo presente; vivi come presente in atto ed esprimilo artisticamente; sperimenta la Vita come presente, come informe, come problema e trovane la soluzione; vivi e risolvi i problemi del tuo tempo. (pp. 12-13)
  • Ciò che fa artista l'artista non è lo sperimentare in sé i problemi come tali, ma il risolverli artisticamente. (p. 14)
  • Più un'opera d'arte è profonda originale intensa, e più nella parola liberatrice e chiarificatrice che essa pronuncia tendono a risolversi ed annullarsi idealmente le opere d'arte sue contemporanee di profondità e ampiezza minori. (p. 20)
  • Quali cose umane non sono esposte al pericolo della degenerazione? I critici dei critici vi porranno riparo. (p. 34)
  • Il valore dell'opera d'arte è tutto e solo nella sua forma, nella sua espressione, nel suo stile, e cioè nella peculiarità intensità profondità vastità della sintesi che la costituisce. (p. 34)
  • Niente diviene vecchio se non ciò che nacque vecchio. Ciò che nacque nuovo in eterno resta tale. (p. 34)
  • Il critico dovrebbe, per poter dare un giudizio definitivo, rifare il corso del mondo sino all'opera d'arte da giudicare, in due parole, essere uguale a Dio. (p. 39)
  • L'opera d'arte è una sintesi o un sistema di sintesi che nacquero vergini nuove originali: creazioni di rapporti non preesistenti come tali all'atto della loro creazione. Ma l'opera d'arte nata una volta entra nella circolazione del pensiero: è letta, studiata, imitata, copiata, ripetuta, sfruttata, saccheggiata. Con l'andare del tempo, le sintesiche la costituiscono come opera d'arte perdono l'aria di novità di originalità d'imprevisto che avevano nell'ora del loro primo apparire (pp. 40-41)
  • Secondo Croce, nessun sostanziale e intimo rapporto rilega l'opera d'arte al proprio tempo. In quanto prodotto di una personalità estetica, l'opera d'arte è fuori del suo tempo e di tutti i tempi. Non si può fare storia dell'arte perché, essendo fuori del tempo, l'arte è fuori della storia. La critica deve contentarsi di saggi sparsi, di monografie isolate, consacrate ciascuna a delineare le caratteristiche e la genesi di una personalità estetica. (p. 45)

Citazioni su Adriano Tilgher

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  • Come una grida improvvisa della strada, un profumo repentino e dissolto o un'ombra o una luce sull'alto di un cornicione, o il trascorrere di certe velature sul paesaggio di Napoli primaverile, così il pensiero di Tilgher e le sue intuizioni nascono, balenano, scompaiono; lasciandoci dietro, spesso, qualche preziosa scoria di contraddizioni, di incongruenze, di idee sofferte o superate o, come diceva Croce del modo di ragionare di Enrico de Nicola, di idee consunte da una critica dall'interno, logorate dal loro stesso acido.
    È proprio in questo che Tilgher ci appare un vero napoletano. (Giovanni Artieri)
  • Secondo il suo pensiero il ventesimo secolo, o per lo meno quella parte di secolo a cui si era allora arrivati, intendeva attuare la vita come attività pura e illimitata, al di fuori di tutti gli schemi e le costruzioni della storia, del passato, dell'esperienza ormai abusata e logora e immobile. Pertanto l'arte moderna, a giudizio del Tilgher, si proponeva d'investigare i rapporti tra verità e falsità, tra vita reale ed esistenza della fantasia, tra il reale concreto e oggettivo e la irrealtà che coabita negli spiriti e nelle coscienze. In cima, pertanto, di questa scala di tentativi per spiegarsi il mondo umano, il critico poneva due autori italiani contemporanei: Luigi Pirandello e Rosso di San Secondo. (Salvatore Battaglia).
  • Si deve, prima di tutti, ad Adriano Tilgher la conoscenza in Italia di Spengler, grazie soprattutto alla sua antologia sui relativisti contemporanei. Tilgher può anzi considerarsi lo «Spengler italiano». Molte sono le assonanze tra il pensatore italiano e l'autore del Tramonto dell'Occidente: dal relativismo storico-filosofico all'analisi comparata di cultura e avvenimenti, arte e civiltà, dal senso della decadenza alla categoria «faustiana». Tilgher, anzi, rivendicò la priorità cronologica, e comunque l'autonomia, del suo pensiero rispetto a quello spengleriano. (Marcello Veneziani)

Note

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  1. Citato in Domenico Vittorini, prefazione al Dramma di Pirandello.
  2. Gli hegeliani.
  3. Contro i giobertiani.
  4. Citato in Giovanni Artieri, Napoli, punto e basta?, p. 257.
  5. Citato in Il teatro di Pirandello, introduzione pag. XXVI, VII ristampa Oscar Mondadori, gennaio 1976.
  6. Da Studi sul teatro contemporaneo, 1922.
  7. Da Homo faber, Libreria di scienze e lettere, Roma, 1929, cap. XIII, pp. 94-95.
  8. Citato in Luigi Vicinanza, Adriano Tilgher, un libertario da Ercolano, repubblica.it, 2 novembre 2021.
  9. Da Filosofi e moralisti del Novecento, Libreria di scienze e lettere, Roma, 1932, cap. XXVIII, p. 287.
  10. Clotilde de Vaux (1815-1846), scrittrice e poetessa francese.
  11. Nel testo "indizi".

Bibliografia

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Altri progetti

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