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Attilio De Marchi

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Attilio De Marchi (1855 – 1915), storico, scrittore e filologo italiano.

Il culto privato di Roma antica

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  • [...] nello Stato Romano non erano distinti i due poteri ecclesiastico e civile, ed il Senato aveva anche in materia religiosa un'autorità disciplinare e dogmatica, in quanto questa parola ha valore per la religione antica. Non eran quindi possibili né condiscendenze né conflitti egualmente pericolosi, e l'azione del suo intervento nel culto privato, intervento insieme politico e religioso, aveva la sicurezza di chi comanda a de' cittadini e per opera di magistrati, e insieme la temperanza di chi non tanto reprime la coscienza quanto difende la ragion di Stato. (Introduzione, p. 13)
  • Ricorrevano [...] i privati nell'esercizio dei loro bisogni religiosi ai pubblici sacerdoti per consulto nei casi dubbi, per questioni di rituale, per interrogarli intorno a ciò che fosse lecito o proibito, e in generale per quelli che noi diciamo casi di coscienza. [...]. Tuttavia i sacerdoti della religione romana sono sacerdoti dello Stato più che de' fedeli ed ebbero sulle private coscienze poco o nessun dominio e nessuna inframettenza nella famiglia; quel dominio e quella inframettenza che invece esercitarono i sacerdoti delle religioni orientali trapiantate in Roma[1]. (Introduzione, p. 21)
  • [...] anche di fronte alla già rigogliosa e fortemente organizzata religione di Stato, la religione privata e in particolar modo la domestica conservò tanta maggiore vitalità quanto meno dogmatica fu presso gli antichi la dottrina, meno necessario l'intervento del sacerdote nell'atto religioso, meno ordinario il raccogliersi de' fedeli nel tempio. Poiché questo è casa del dio e non luogo per l'ecclesia o comunità de' fedeli raccolti per la preghiera in comune o per assistere al servizio divino, tanta maggior parte e ragion d'essere era lasciata alla religione domestica e agli atti di culto compiti entro le pareti della casa. (Introduzione, p. 24)
  • Nessuna religione empì la casa di tante divinità come la romana nella sua potenza creativa d'astrazione. (cap. I, p. 27)
  • L'arte religiosa discende più direttamente dalle credenze popolari che non dalle elucubrazioni de' teologi, e nel suo cammino arriva là dove riesce impossibile discernere qual sia il vero e primitivo punto di partenza[2]. (cap. I, p. 55)
  • La prima barba, secondo Macrobio si radeva al ventunesimo anno e questa primizia era offerta o alla Fortuna Barbata o ad altra divinità. Nerone la consacrò in Campidoglio custodita in una pisside d'oro tempestata di perle e istituì per commemorare l'evento i ludi detti Juvenalia come festa religiosa; così come in una pisside la conservava Trimalcione in casa sua insieme alle immagini degli dei entro l'armarium. (cap. III, p. 179)
  • Malgrado [...] la disparità e il contrasto di opinioni filosofiche o popolari, la credenza nell'immortalità dell'anima fu presso i Romani d'ogni tempo una delle più profonde e più universali; e il culto dei morti, che di quella credenza è l'espressione più spontanea, la prova più diretta, si mantenne in mezzo al languire, all'alterarsi e al morire di altre forme di culto, più vitale e fedele all'antica tradizione; finché divenne, a cosi dire, il terreno neutro su cui s'incontrarono senza urtarsi, il vecchio paganesimo e il cristianesimo nascente. (cap. III, p. 183)

Note

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  1. Un quadro vivace dell'influenza di questi sacerdoti sulla donna romana l'abbiamo nella satira sesta di Giovenale. [N.d.A.]
  2. Basti ricordar qui, come esempio, la rappresentazione del milanese S. Ambrogio, armato di staffile, strumento che nulla ha a che vedere colla vita e coi meriti del santo. [N.d.A.]

Bibliografia

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