Bruno Arcari

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Bruno Arcari (1942 – vivente), ex pugile italiano.

Bruno Arcari in posa, nel 1964

Citazioni di Bruno Arcari[modifica]

  • La boxe negli anni 60 e 70 era un gran bel mondo. A bordoring c'era la gente dello spettacolo e del cinema, della tv, facce popolari che venivano a vederci e ci rendevano, a nostra volta, popolari.[1]
  • Se non ero Batman, nemmeno puntavo ad essere Casanova. Ho sempre interpretato il pugilato come un lavoro da svolgere al meglio, senza distrazioni, sempre ricordando ciò che mi insegnò il mio primo maestro: puoi sentirti il re del mondo, ma basta un decimo di secondo per trovarti col sedere per terra.[1]
  • Ero ragazzino, avrò avuto sì e no quindici anni, e facevo il garzone a Nervi in un negozio di frutta e verdura. C'erano alcuni miei amici pazzi per il pugilato: quando combatteva Duilio Loi, e lo faceva spesso a Milano, tiravano fuori la giardinetta e andavano su. Bruno vieni? Spesso mi aggregavo anch'io: essendo il più piccolo, mi infilavano dietro, nel bagagliaio. Sognavo di essere Loi.[1]
  • [«Tu il pugile? Ma dai, hai le gambe troppo grosse!» (Alfonso Speranza e Armando Causa, maestri di boxe, palestra Mameli)] Era un modo per verificare la mia "vocazione". Mi dissero di tornare il giorno dopo. Forse pensavano: questo qui rinuncia. Tornai. Non sono più uscito da quel mondo.[1]
  • [Contro il filippino Pedro Adigue the rugged (il ruvido), Roma, primo titolo mondiale, 31 gennaio 1970] Fu un match cattivo, non bello: a me importava solo vincere. La mia borsa era di un milione, Pedro ne aveva presi 50. Forza Bruno, mi dicevo, se diventi campione sarai tu ad avere cifre così importanti. [...] Volevo vincere perché sapevo che la mia vita avrebbe svoltato. E allora giù pugni, testate, gomitate. Fu una battaglia.[1]
  • Mi chiamavano da tutte le parti, ma io pensavo soltanto al lavoro, a prepararmi bene. Da campione mondiale le borse migliori toccavano a me: più restavo al vertice, più guadagnavo. Fine della storia.[1]
  • Benvenuti è stato più grande da dilettante che da professionista. Aveva poco fisico e lo si è visto quando ha perso con Monzon.[1]
  • Loi era un maestro, come faccio a dire che ero meglio di lui?[1]
  • Non serve guadagnare miliardi per organizzare la tua esistenza. Io ho saputo tenere i piedi ben piantati a terra anche quando mi sembrava di toccare il cielo con un dito.[1]
  • Avevo quattordici anni e giocavo al pallone sull'ala sinistra, ma bisticciavo sempre con tutti. Potresti fare del pugilato, mi han detto. Mi sono incuriosito e così sono entrato nella palestra con un altro, che poi se n'è andato via. Io invece sono rimasto.[2]
  • Sì, era veramente forte, Adigue. Un welter leggero come me, però io pesavo un po' poco, lui invece aveva combattuto nei welters e nei superwelters. E poi era un filippino. I filippini in generale sono pugili molto cattivi, cattivi inteso in senso sportivo, di veri combattenti.[2]
  • Sono stato a Tokyo già nel 1963, un anno prima dell'Olimpiade. Ho battuto due giapponesi e un coreano, i miei avversari più accreditati, e ho vinto il torneo preolimpico. Così sono arrivato ai Giochi come quello che doveva vincere, il favorito per l'oro. Purtroppo, una testata del keniano Alex Oundo mi ha messo fuori subito. Da dilettante non puoi fare affidamento su nulla: una ferita e ti fermano immediatamente. Da professionisti è diverso.[2]
  • Il combattimento della svolta, quello che mi ha fatto diventare un pugile famoso, è stato quello con Hans Orsolics. Quando l'ho affrontato per il Campionato d'Europa era imbattuto in venticinque combattimenti. Ho vinto a casa sua a Vienna, per ko alla dodicesima ripresa.[2]
  • Partivo sempre con quattro-cinque riprese di studio, cercavo di capire come combatteva l'avversario, se era più forte di destro, di sinistro, di gancio, di diretto. Ero un guardia destra e dovevo stare attento al destro, micidiale per un mancino. Poi però avevo per fortuna una velocità di gambe, di spostamenti che mi faceva sempre fare bene.[2]
  • Mi spiace dirlo, ma il pugilato oggi non va bene. Il professionismo non c'è più.[2]

Citazioni su Bruno Arcari[modifica]

  • La guardia destra gli ha un po' nuociuto sul piano della popolarità. Gli è mancata una grande rivalità nazionale perché Steve Klaus, il manager di Sandro Lopopolo, non ha mai accettato quella sfida. (Rino Tommasi)
  • Non ho la pretesa che il mio giudizio su Bruno Arcari, che ritengo il miglior pugile italiano di ogni tempo, sia considerato obiettivo, anche perché non lo è. Senza mettere in dubbio la maggiore importanza storica di Nino Benvenuti e quella popolare di Duilio Loi, c'è da dire che Arcari è l'unico pugile italiano che non sia mai stato battuto. Le due sconfitte che macchiano il suo record sono state determinate da due ferite. (Rino Tommasi)
  • Tutta la sua carriera è stata caratterizzata da una suggestiva, ma spesso fraintesa ricerca della coerenza: da uno struggente bisogno di semplicità, di cose umili, vere. Ecco come e perché il più grande dei nostri pugili [...] è risultato il meno applaudito.[3] (Franco Dominici[4])

Note[modifica]

  1. a b c d e f g h i Da un'intervista di Claudio Colombo, Ora lo ammetto: ero io il migliore, Corriere.it, 10 luglio 2010.
  2. a b c d e f Tratto da una intervista di Danilo Francescano, Bruno Arcari - C'era una volta la boxe, StoriediSport.it, 20 ottobre 2012.
  3. Citato in Orlando "Rocky" Giuliano, Storia del pugilato, Longanesi & C., Milano, 1982, p. 94.
  4. Giornalista italiano.

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