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Carl du Prel

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Carl du Prel (1885 circa)

Carl du Prel, noto anche come Karl, Freiherr von Prel (1839 – 1899), filosofo, scrittore e occultista tedesco.

L'enigma umano

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Perché l'uomo è un enigma? Almeno per ciò che la fisiologia e la psicologia fisiologica sono scienze ancora incompiute. Ma non tanto noi dovremo parlare di ciò, quanto di quell'enigma, che sussisterebbe anche se quelle scienze avessero detta l'ultima parola.
Certamente sarebbe assai interessante se noi sapessimo già fin d'ora con precisione che cosa sia l'uomo dal punto di vista fisico; ma non per ciò i problemi principali sarebbero sciolti. Donde veniamo noi? A che scopo viviamo? Dove andiamo?
Si potrebbe affermare (e molti lo affermano) che tali problemi non esistono; noi però, con ciò che segue, dimostreremo che senza dubbio essi si impongono. E se devono esistere, essi esigono incalzantemente che noi gli sciogliamo per più ragioni, non foss'altro che pel nostro egoistico interesse. Inoltre bisogna considerare come uno scandalo scientifico che l'uomo, il quale sta al sommo della creazione terrestre, non abbia alcuna giusta conoscenza di sé stesso. Noi abbiamo sugli animali la superiorità d'una coscienza dell'io; ma di questo non, possiamo gloriarci, finché il nostro io resta per noi un mistero.

Citazioni

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  • In ogni tempo e in ogni luogo gli uomini hanno avuto, se non una chiara cognizione, almeno un vago sentimento che vi è qualche cosa di sommamente strano nell'uomo e nella sua posizione nel mondo. È evidente che l'umanità non volle mai confessare di trovarsi su questa isola cosmica senza conoscere dove vada e perché. Già il nostro agognare ad orientarci meglio sulla nostra isola risponde non solo a bisogni pratici, ma anche ad un interesse obbiettivo ed alla speranza di riuscire forse per tal via a sciogliere il nostro proprio enigma; ma i fondatori di religioni e i filosofi insistono sempre nell'affermare, che noi con pure escursioni scientifiche sull'isola non giungeremo mai ad alcuna luce; che dietro alla fisica dev'esservi qualche altra cosa, una metafisica, e che in questa soltanto si trova la soluzione dell'enigma. (pp. 9-10)
  • Per essi [i materialisti] l'universo è un problema fisico, l'uomo un problema chimico. Con ciò essi sono certamente nel vero, ma questo non impedisce che esista anche un problema metafisico. Anche se l'universo fino all'ultima stella fissa fosse, come problema fisico, chiarito in ogni più minuta parte, noi saremmo egualmente innanzi a cosa sì meravigliosamente strana, che ad ogni pensatore si imporrebbe ancora il problema metafisico, come avveniva a quel re indiano il quale mantenendo alla sua corte molti sapienti acciò talvolta gli tenessero compagnia e lo istruissero, sempre diceva loro, dopo ch'essi avevano parlato a perfezione su tutto: Sta bene, ma... per quale ragione esiste qualche cosa? al che i sapienti non sapevano rispondere. (pp. 11-12)
  • Il materialista vede soltanto la parte meccanica dell'universo, e poiché vi scorge solo forze agenti secondo leggi fisse, crede la natura intera un congegno senza scopo e senza fini; per lui né l'universo né la nostra propria esistenza hanno uno scopo; leggi meccaniche e cieca casualità sono per lui concetti identici. Questo è il principio fondamentale del materialismo, ma ne è anche l'errore fondamentale; poiché degli scopi possono benissimo essere raggiunti per molte vie da meccanismi governati da leggi. In simili casi l'adattamento allo scopo è tanto più indiscutibile e pieno, quanto più il meccanismo è perfetto. Nei nostri orologi da tasca ed in ogni invenzione tecnica il meccanismo è diretto al raggiungimento d'uno scopo, e lo stesso può ben accadere nell'universo. (p. 12)
  • Una dottrina dell'anima, che meriti questo titolo, deve dimostrare nell'uomo non solo un fondo di natura metafisica – come fecero Schopenhauer ed Hartmann – ma anche un'individualità metafisica. Ove essa soddisfacesse anche a questa esigenza, ciò che realmente ha luogo, solo allora rivelerebbe una vera e propria anima. Questa starebbe nell'incosciente, ma non sarebbe essa stessa incosciente, giacché sarebbe dotata di volontà, di conoscenza e di una individualità. Così dunque il nostro incosciente sarebbe trasformato in un'anima, in un soggetto. (p. 39)
  • Gli sforzi per ispiegare prima l'universo, e poi con esso noi stessi riuscirono fino ad ora così insoddisfacenti, che vale la pena di tentare il cammino opposto, cioè di risalire dall'enigma dell'uomo a quello dell'universo. Anzi è proprio questa la via da percorrersi, perché l'uomo come l'essere più elevato della natura deve venire prima giustamente definito, se si vuole che la natura stessa venga apprezzata al suo giusto valore. (p. 164)
  • I materialisti, se parlano di morale, limitano in modo caratteristico la loro ricerca all'origine di essa; l'altra questiono se la morale sia un dovere, resta, e per buone ragioni, indiscussa. In un mondo puramente materiale , che si distingue da un alambicco solo per la sua maggiore vastità, non esiste assolutamente nulla su cui si possa fondare una morale, poiché la morale, secondo il proprio punto di vista, presuppone già che universo ed uomo siano problemi non puramente fisici, ma anche metafisici. Se il materialista nega ciò e tuttavia predica la morale, egli è illogico, il che del resto gli accade non di rado. (p. 175)
  • Ci sono molti fra noi che considerano con cieco ottimismo la nostra civiltà, che vedono tutto roseo e credono già realizzato nella nostra società un alto grado di moralità, e che quindi non sanno persuadersi della necessità di nuove teorie. Ma, considerata più dappresso, la tinta morale della nostra civiltà si dissolve in pura apparenza, cioè si riduce a semplice legalità vuota di sentimento morale. E questa legalità si regge presso le persone colte sulla pubblica opinione, presso le incolte sulla forza e sul codice. (pp. 179-180)
  • La vera pietra di paragone dei sistemi filosofici è la loro attitudine ad offrire una base per la morale. (p. 182)
  • Il grado dell'intelligenza dipende [...] dallo sviluppo del senso del tempo. Il bruto vive solo del presente non avendo coscienza del tempo. Non molto diversamente avviene dell'uomo nomade; egli non ricava alcun ammaestramento dal passato, e non si prepara all'avvenire. L'uomo incivilito è perciò appunto l'essere terrestre più elevato, perché egli nelle sue azioni tien conto del passato e dell'avvenire. (p. 183)
  • Non si può comprendere il nostro secolo, se non si vuol riconoscere che l'umanità benché cresciuta in grembo alla fede, ora non si lascia più da essa guidare.
    Il secolo delle scienze naturali non vuol più credere, ma sapere. (pp. 188-189)
  • Se la parola evoluzione ha per la storia lo stesso valore che per la biologia, una Chiesa, che erige a principio l'inettitudine a progredire della religione e l'immutabilità dei suoi dogmi interpretati letteralmente, non può che perdere sempre più di potenza. La Chiesa non può riuscire vittoriosa di una scienza, che oppone al dovere di credere il diritto di sapere. (p. 191)

Bibliografia

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  • Carlo du Prel, L'enigma umano, Casa editrice Galli di C. Chiesa e F. Guindani, Milano, 1894.

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