Carolina Invernizio

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Carolina Invernizio

Carolina Maria Margaritta Invernizio Quinterno (1851 – 1916), scrittrice italiana.

Citazioni di Carolina Invernizio[modifica]

  • Io ho dei critici una allegra vendetta. Ché le mie appassionate lettrici e amiche sono appunto le loro mogli, le loro sorelle.[1]
  • Lisbona è una delle città più belle del mondo, specialmente per la sua giacitura. Sorge essa a guisa di anfiteatro su poggi e colli, lungo la riva destra del Tago, e questo largo fiume, dalle arene d'oro, porge alla capitale del Portogallo uno dei nobili, vasti e sicuri porti interni che sianvi, il quale può contenere tutte le armate navali dell'Europa.[2]
  • Chi nega l'amore è un pazzo: non ha mai conosciuta la potenza, non è mai vissuto in modo completo, non è mai stato travolto da quel turbine impetuoso, che trascina con sé le più belle intelligenze, le coscienze più oneste, seminando cadaveri lungo la via...[3]

Incipit di alcune opere[modifica]

I misteri delle soffitte[modifica]

Era la notte del giovedì grasso. Nessuno si ricordava di un inverno mite come quello, e il carnevale aveva uno sfogo inusitato.
I ricchi se la spassavano nei palazzi; il popolo nelle osterie, sotto i portici, alla fiera, ai balli pubblici.
I veglioni erano affollati e, come il solito, più di tutti si mostrava animato quello dello Scribe.
Fra le maschere che avevano fatto il loro ingresso colà dopo la mezzanotte, vi era un domino femminile elegantissimo, troppo elegante, che stonava in quell'ambiente volgare.
Veniva forse in cerca di un'avventura galante? Aveva un appuntamento?
Una folla di studenti le fece cerchio.

I sette capelli d'oro della fata Gusmara[modifica]

Falco era l'unico figlio di un povero taglialegna, che viveva in un misero casolare, posto nel centro della foresta. Egli aveva perduto sua madre all'età di tre anni e da quel giorno suo padre non gli rivolgeva più la parola, né sorrideva: il pover'uomo stava per ore ed ore intere seduto sopra un grosso ceppo, all'ombra di una querce secolare, con l'accetta fra le gambe, i gomiti puntati sulle ginocchia, chiuso nel suo mutismo, senza curarsi del bimbo, che ruzzava ai suoi piedi con dei piccoli ciottoli e non sospendeva il suo giuoco, che quando il padre, scosso un istante dal suo torpore entrava in casa per uscirne quasi tosto con un pezzo di pan nero, che gli porgeva in silenzio ed il fanciullo divorava fino all'ultima briciola.

Il bacio d'una morta[modifica]

Dal treno che arriva alle dodici da Livorno, erano scesi alla stazione centrale di Firenze due giovani sposi, che attiravano grandemente l'altrui attenzione. L'uomo poteva avere ventidue anni o poco più, ed era di una bellezza delicata, quasi femminea. Dal suo piccolo e stretto berretto da viaggio sfuggivano delle ciocche ricciolute di capelli dorati: gli occhi aveva nerissimi e pieni di dolcezza, la carnagione leggermente rosea, il naso affilato, la bocca gentile, aristocratica, con due piccoli baffi; il personale snello, vestiva in modo elegantissimo.

L'albergo del delitto[modifica]

La sera era splendida, sebbene freddissima. La luna, alta nel cielo, illuminava le vie di Torino come in pieno giorno. L'orologio della stazione segnava le sette. Sotto l'ampia tettoia si udiva un rumore assordante perché due treni diretti di incrociavano: l'uno in partenza, l'altro in arrivo.[4]

La sepolta viva[modifica]

La notte era splendida, una di quelle luminose notti di autunno, che nella fiorita riviera di ponente acquistano ancora maggiore seduzione.
Sulla strada che da San Remo conduce a Taggia ed a Santo Stefano Rivaligure correva un piccolo calesse, su cui si trovavano due uomini.
Quello che guidava aveva l'apparenza d'un domestico, sebbene non indossasse livrea. Mail suo viso accuratamente sbarbato, l'alto colletto inamidato, il portamento impettito, tutto denotava in lui il servo di una vecchia casa signorile. L'altro era un giovane sui ventotto, trent'anni, dalla piccola barba bionda accurata e portava un cappello di feltro ed un soprabito color polvere.

La trovatella di Milano[modifica]

La mezzanotte era ribattuta a tutti gli orologi della città, quando Maria, la bella guantaia di Porta Vittoria, si decise chiudere il suo negozio. Aveva fatto così tardi, perché era l'ultimo giorno di carnevale e gli avventori non erano mancati.
Maria appariva stanca, abbattuta. I suoi grandi occhi azzurri, lieti e brillanti, si mostravano leggermente velati; i capelli finissimi castani, le cadevano in disordine sul collo e sulla fronte; le guancie aveva pallide, la piccola bocca sorridente, un po' scolorita.

Peccatrice moderna[modifica]

Quando l'avvocato Bruno Sigrano ebbe messa al posto la sua elegante valigia nel vagone di prima classe del diretto che parte da Torino alle quindici per Genova, ridiscese per intrattenersi quei dieci minuti che ancora mancavano alla partenza con la moglie ed i figli, un maschietto di cinque anni, Ottorino, ed una graziosa bimba di tre, Mina, tenuti per mano dalla governante.
L'avvocato Sigrano, che godeva di una fama considerevole e che a quarant'anni era sempre un bell'uomo, dalla statura erculea, col volto bronzino, gli occhi neri e scintillanti, ma soavi, affettuosi, buoni, aveva sposato otto anni prima la contessina Sultana Flaminio, incontrata ad una festa da ballo campestre, e della quale si era subito innamorato.

Rina, o l'angelo delle Alpi[modifica]

Qual è l'italiano che non si senta balzare il cuore in petto alla vista delle Alpi, e non provi la stessa commozione di chi giunge per la prima volta in riva al mare? Non formano difatti questi monti il limite e la rocca d'Italia? Non furono essi insanguinati dagl'invasori della nostra patria? Eppoi, che cosa si vorrebbe trovare di più bello, di più poetico, di questa grandiosa opera del Creatore? Quivi vaghe pendici e floride vallate, amene rive di fiumi, effetti pittoreschi d'acqua e di luce, stupende sinuosità, contrasti di alte cime e di placidi gioghi, di nevi e di fiori: quivi una popolazione buona, tranquilla, religiosa, intelligente, amante del lavoro, che non trova altro diletto che fra i suoi monti, sotto la volta del suo bel cielo e nelle rozze sue capanne.

Un romanzo dal vero[modifica]

Il pilota del Molo nuovo, a Napoli, era uscito dal suo osservatorio allorché vide stesa sulla panchetta una giovane donna, elegantemente vestita, che sembrava dormire, sebbene la sua faccia pallidissima potesse farla credere svenuta.[5]

Citazioni su Carolina Invernizio[modifica]

  • Era molto popolare, nel XIX secolo, Carolina Invernizio, che ha fatto sognare intere generazioni di proletari con storie che si intitolavano Il bacio di una morta, La vendetta di una pazza o Il cadavere accusatore. Carolina Invernizio scriveva malissimo e qualcuno ha osservato che aveva avuto il coraggio, o la debolezza, di introdurre nella letteratura il linguaggio della piccola burocrazia del giovane Stato Italiano (a cui apparteneva suo marito, direttore di una panetteria militare.) (Umberto Eco)

Note[modifica]

  1. Dall'introduzione a Romanzi del peccato.
  2. Da Rina, o l'angelo delle Alpi, vol. II, p. 29.
  3. Da La sepolta viva, p. 186.
  4. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937
  5. Citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993.

Bibliografia[modifica]

Filmografia[modifica]

Altri progetti[modifica]