Lorenzo Gigli

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Lorenzo Gigli (1889 – 1971), giornalista, critico letterario, traduttore e saggista italiano.

Cecov con Cecov[modifica]

Incipit[modifica]

Cecov spiegato con Cecov
In una lettera del 1902 all'amico Alessandro Tikhonov si legge:«Tu dici che il pubblico piange ai miei lavori. Altri mi hanno rivelato la stessa cosa. Ma io non li ho scritti per ottenere questo risultato. La colpa è di Alexeiev (Stanislavskij) il quale trasforma i miei "caratteri" in bambini piagnucolosi. Io volevo dire onestamente alla gente: – Date uno sguardo a voi stessi e vedete come grame e desolate sono le vostre esistenze! – L'importante per me è che la gente si rende conto di ciò, perché, quando lo faccia, riuscirà poi a crearsi un altro e migliore modo di vita. Io non vivrò abbastanza per vederlo, ma so che esso sarà completamente diverso dal nostro. E finché questo differente modo di vita non sia per diventare una realtà, io continuerò a dire alla gente: Per favore, rendetevi conto che la vostra esistenza è grama e desolata! – Non mi pare che ci sia motivo di piangere per questo».

Citazioni[modifica]

  • Non si addice a Cechov l'etichetta convenzionale di poesia della inutilità dell'azione, di bardo dell'accettazione passiva della sconfitta: egli non è da classificare tra gli «infifferenti» poiché l'indifferenza sempre gli apparve come la paralisi dello spirito, «una morte prematura». La biografia di Cechov, del resto, dimostra la estensione della sua filosofia nel senso della vitalità. (p. 40)
  • L'importante è che, comunque interpretato e recitato, il teatro di Cechov è teatro di poesia, e il pubblico ne riconosce l'autenticità sotto qualunque forma esso gli sia offerto.

Il romanzo italiano da Manzoni a D'Annunzio[modifica]

  • Il romanzo [Marco Visconti] del Grossi, benché dedicato al Manzoni e intenzionalmente derivato dai Promessi Sposi, è della più pura maniera dello Scott, se ne togliamo un vasto difetto di fantasia che lo rende in molti tratti prolisso o inconcludente. I personaggi sono storici, ma soltanto di nome, ché le qualità morali ad essi attribuite appaiono immaginarie, come immaginaria è tutta la favola, nella quale essi agiscono. (cap. I, pp. 4-5)
  • L'Ettore Fieramosca [del D'Azeglio] uscì nel 1833 a Milano e fu accolto con tale entusiasmo che molti affermarono essere il romanzo opera del Manzoni, mentre questi, come è noto, si limitò a correggerne gli ultimi periodi. (cap. I, p. 8)
  • Il Carducci ha paragonato l'opera di Francesco Domenico Guerrazzi ad un torrente impetuoso che travolge tutto ciò che incontra sulla sua via; ma il Guerrazzi stesso sapeva essere questo il suo destino, passare, cioè, dopo aver rinnovato, non con la sottile persuasione, ma con la violenza che ha pur sempre del grandioso e del tragico. (cap. I, p. 13)
  • [...] il Guerrazzi tendeva a farsi capo di una scuola toscana che fosse politicamente in contrapposto alla scuola del Manzoni: mentre questa proclamava l'alto valore morale della speranza e della rassegnazione, il Guerrazzi voleva che si operasse con energia ed audacia. E di questi sentimenti sono pervasi tutti i suoi scritti [...]. (cap. I, p. 15)
  • Come è noto, Zola applica il metodo sperimentale all'arte e alla letteratura così com'era stato applicato negli studi scientifici; opera sui suoi personaggi, sulle loro passioni, sulla loro anima, sull'ambiente che descrive, alla stessa maniera con la quale il fisiologo opera sui corpi sottoposti al suo coltello anatomico. (cap. II, p. 32)
  • Questo principio fondamentale [il metodo sperimentale] della scuola naturalista, fu dallo Zola applicato e svolto in tutta la sua vasta e complessa opera letteraria: per lui la letteratura acquista una grande funzione sociale. I suoi avversari, naturalmente, lo accusarono di aver creato dei tipi di una profonda inverosimiglianza, di essere stato quasi sempre, un assolutista e un semplicista. Ma la scienza – che è venuta in soccorso del letterato – ha dimostrato con esempi luminosi che l'opera dello Zola era profondamente scientifica ed umana, che i suoi tipi erano tratti dalla realtà della vita e che egli – come ha scritto Scipio Sighele – ha intuito il legame intimo e indissolubile, non solo fra tutte le varie e diverse forme di degenerazione, ma fra il germe ereditario e l'ambiente[1]. (cap. II, pp. 32-33)
  • Il Capuana giunse al romanzo verista direttamente, senza passare attraverso quei successivi stadi che abbiamo riscontrato nel Verga. Sino dal suo primo romanzo, Giacinta, il Capuana applica i principi della scuola realista francese; e li applica direttamente, non elaborandoli [...]. (cap. II, p. 53)
  • [...] come gli scrittori francesi, il Capuana ha voluto sempre mettersi al centro dell'azione che descriveva, dirigerne le fila senza partecipare all'azione stessa, comportarsi in arte come il medico e lo scienziato che espongono i risultati dei loro studi di fisiologia e di psicologia. Conviene poi dire che il Capuana è quasi sempre riuscito a mettere in opera questo suo proposito; talché egli ha saputo fare in modo che il lettore giunto in fine, poniamo, d'un qualunque suo romanzo, possa dire a sé stesso d'aver trovato nei casi descritti null'altro che fredda obbiettività, e non mai una qualsiasi traccia del sentimento e del giudizio dell'autore. Ne risulta spesso, é vero, un senso di freddezza che colpisce inesorabilmente il lettore, ma esso però non è mai tale da oscurare senza rimedio la visione delle molte bellezze che questo singolare artista ha sparso a piene mani nei suoi volumi. (cap. II, pp. 55-56)

Note[modifica]

  1. Scipio Sighele. Letteratura tragica: I delinquenti nei romanzi di Emilio Zola; pp. 145-194. Milano. Treves, 1906. [N.d.A.]

Bibliografia[modifica]

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