Francesco Domenico Guerrazzi

Al 2024 le opere di un autore italiano morto prima del 1954 sono di pubblico dominio in Italia. PD
Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.
Francesco Domenico Guerrazzi

Francesco Domenico Guerrazzi (1804 – 1873), politico e scrittore italiano.

Citazioni di Francesco Domenico Guerrazzi[modifica]

  • Come il popolo è l'asino: utile, paziente e bastonato.[1]
  • E queste parole il camerario gli disse superbamente, imperciocchè i servi per ordinario posseggano l'odorato più sottile dei segugi per distinguere quando una persona è in fiore, quando è matura, e quanto sta per cascare dalla grazia del padrone. Il Luciani, offeso di quell'essere buttato là come un trabiccolo a mezzo luglio, e più trafitto dal modo, guardò in cagnesco il camerario, quasi gli volesse dire:
    – Attendi a starmi lontano, perché se mi capiti fra le mani io ti farò vedere che mai cane mi morse, ch'io non volessi del suo pelo.[2]
  • Gli uomini hanno fatto Dio a similitudine di loro, e lo hanno conciato pel dì delle feste.[3]
  • La elemosina anziché sollevare dalle necessità gli accattoni li mantiene nel vizio.[4]
  • Le arti tutte, ma più specialmente la musica e la poesia, possono stimarsi due lampi balenati da un medesimo sguardo di Dio.[5]
  • L'ingratitudine è la moneta ordinaria con la quale pagano gli uomini.[6]
  • Serse, antecessore di Dario[7] al trono della Persia, quello spaccone che bastonò il mare[8], te ne ricordi?[9]
  • Sopra modo fastidiosissime sempre mi riuscirono le Prefazioni, le quali io non seppi a che cosa paragonare convenientemente, finché le dicerie politiche del signor commendatore Boncompagni non mi porsero la idea dell'uggia mortale, che l'anima ti schianta.[10]

L'assedio di Firenze[modifica]

Incipit[modifica]

Il suo passo era di uomo libero in terra libera, grave e solenne: ma sembrava sviato, come di persona improvvida o poco curante dei luoghi che gli si paravano dinanzi in suo cammino.

Citazioni[modifica]

  • La pazienza! Oh! la pazienza è cosa dura e conviene meglio alla groppa del somiero che all'anima dell'uomo [...]. (Introduzione, p. IX)
  • L'affanno cerca il consorzio degli uomini, la gioia spesso gli oblia [...]. (cap. I, p. 5)
  • La caduta di un popolo deve essere tale [...] che lasci memoria di terrore ai tiranni, legato di vendetta ai figliuoli degli oppressi [...]. (cap. I, p. 18)
  • L'uomo trama, la Fortuna tesse [...]. (cap. I, p. 32)
  • [...] la lode di codardi offende amara, come l'ingiuria dei generosi. (cap. I, p. 32)
  • [...] beneficii nuovi non tolgono di mezzo ingiurie vecchie [...]. (cap. V, p. 127)
  • Chiunque pretende imporre un reggimento nuovo al suo paese, e sia pure migliore del vecchio, contro alla volontà dei cittadini, quegli è tiranno. (cap. V, p. 135)
  • [...] ai forti piacciono i consigli magnanimi, ai deboli i crudeli. (cap. VII, p. 171)
  • Noi altri Italiani c'innamoriamo in chiesa; colà la mezza luce che nelle ampie navate si diffonde traverso i vetri coloriti, le melodie degli organi, il profumo degl'incensi, le voci angeliche di fanciulli invisibili esaltano i sensi e ti dispongono ad amare [...]. (cap. VIII, p. 209)
  • [...] la fortuna, come donna, ama i giovani [...]. (cap. VIII, p. 214)
  • [...] delle due aristocrazie [di sangue e di denaro] parmi meno funesta e laida e contennenda quella del sangue [...]. (cap. XV, p. 335)
  • [...] la donna valorosa è corona di gloria al suo marito: quella poi che reca vituperio, gli è come un tarlo nelle ossa [...]. (cap. XV, p. 382)
  • Il tempo meglio opportuno a far vacillare un'anima nelle sue risoluzioni è quello appunto in cui si trova spossata dallo sforzo commesso a sostenerle. (cap. XVII, p. 416)
  • [...] meglio vale sventura con innocenza che fortuna con delitto. (cap. XX, p. 457)
  • [...] la libertà è tale albero che vuolsi piantare con le proprie mani, se intendiamo che frutti davvero [...]. (cap. XXI, p. 467)
  • [L'amicizia] [...] un tesoro che per divisione non iscema, all'opposto dell'amore. (cap. XXIII, p. 529)
  • Il sangue inebria al pari del vino [...]. (cap. XXX, p. 773)

La battaglia di Benevento[modifica]

Incipit[modifica]

È mai vissuta creatura umana, che sollevando le pupille al cielo d'Italia abbia negato esser questo il più puro sereno che mai rallegrasse il sorriso di Dio? – È mai vissuta creatura umana, che sollevando le pupille al cielo d'Italia allorché il figlio primogenito della Natura lo veste della pompa dei suoi raggi non abbia sentito suscitarsi la mente pei grandi che non sono più, di cui il nome è rimasto nell'anima come armonia di arpa che cessò di esser tocca? – Quali braccia non si prostesero a quell'astro di vita, mentre abbandonando alla notte il dominio del cielo, dai confini dell'oceano lo saluta con gli ultimi raggi, e non implorarono che rimanesse nella sua celeste dimora? – Ma s'egli partì con la sera tornò col mattino, e vide i secoli dileguarsi nella eternità, le generazioni incalzarsi nella tomba, e la vicenda infinita delle virtù e dei delitti. Breve fu la sua luce sopra l'onore d'Italia; lunga sul dolore, e su l'onta.

Citazioni[modifica]

  • E se la vita fu bene, perché mai ci vien tolta? — E se la vita fu male, perché mai n'è stata concessa? (cap. V; p. 89)
  • Lo esercito di Carlo, giunto sul vertice dei monti vicini, ammirava la città di Benevento tanto famosa per la bellezza e antichità sue non meno che per l'erronee credenze dei popoli. La sua origine si smarrisce nelle tenebre della mitologia, sebbene non manchino scrittori che affermino averla edificata Diomede, re degli Etoli, dopo la guerra troiana. (cap. XXVIII; p. 754)
  • Ella [Benevento] portava impressi i segni della ferocia e della ambizione di coloro che l'avevano conculcata prima, poi scelta a dimora; era il suo aspetto medesimo la storia delle sue vicende, ché presso a lei si ammirava un arco trionfale di marmo pario eretto a Traiano per la strada ordinata a sue spese da Brindisi a Roma; – parte delle mura non demolite da Federico mostravano la strana foggia di architetture portata da' settentrionali in Italia le nuove riparazioni e le otto porte costruite per comando di Manfredi, – il risorgimento delle arti. Il castello, fondato dalla Chiesa per istanza del governatore pontificio, innalzandosi con le brune sue torri sulla città, avvertiva, e forse avverte ancora al viatore, qual fosse in quei tempi la solenne maestà dei successori di San Pietro. (cap. XXVIII; p. 756)
  • Il conte di Provenza, più la guardava [Benevento], più gli pareva degna di essere conquistata; la circondò molte volte degli occhi per iscoprirne il debole nel quale far breccia e tentare l'assalto; la conobbe munita con tanta maestria di guerra che impossibile cosa fosse espugnarla per forza; – gemé, si volse a considerare la sottoposta valle; – spaziosa compariva e degna di combattervi campale battaglia; i fiumi Calore e Savato, confuse le acque alla estremità di Benevento, l'attraversavano, e un ponte magnifico dava il passo dall'una all'altra sponda: domandava come avesse nome la pianura, – gli rispondevano: – Santa Maria della Grandella. – (cap. XXVIII; pp. 756-757)
  • Raccolse, ciò detto, le sue virtù; e da che gli era impedito di vivere, ruinava nel furore della battaglia per morirvi da re. (cap. XXVIII; p. 775)

Lettere[modifica]

  • Agli uomini in generale manca la costanza nei propositi, e ciò fa si che le loro imprese quasi sempre rovinino. Il difetto di costanza si manifesta in due maniere, o col mutare disegno appena scelto o col mancare di coraggio alle prime contrarietà.
  • È segno non mediocre di amare la patria coltivare la favella materna: le nazioni si distinguono dalla lingua.
  • Il matrimonio è il sepolcro dell'amore; però dell'amor pazzo, dell'amore sensuale.[11]
  • Tu devi capire che ogni uomo ha da proporsi un fine nella sua vita, e a quello tendere costantemente, unicamente, se vuole riuscire a qualche cosa.[12]

Incipit di alcune opere[modifica]

Amelia Calani ed altri scritti[modifica]

Amelia Calani[modifica]

Ottimamente, secondo la opinione mia, certo filosofo antico rassomigliò la buona memoria della vita passata al profumo che lascia nella casa degli Dei il grano dello incenso arso nel turibolo; e come quanto più dura la soavità del profumo, tanto maggiore si conosce essere stata la eccellenza dell'olibano, così non senza ragione misurano la bontà dei defunti dal desiderio che nei superstiti si conserva di quelli: per la quale cosa, anzichè riuscirmi argomento di pudore giungere tardo a scrivere della Signora Contessa Amelia Calani Carletti, nè meno lode, parendo a me, che questo indugio abbia a ridondare in massima onoranza di lei.

Dello Scrittore italiano[modifica]

Avendo meco stesso considerato questa materia dello italiano scrittore con quella gravità che il mio intelletto mi consentiva, tale e tanta ella venne ad allargarmisi per mano, ch'io la conobbi argomento di nobilissimo volume.

L'Albo[modifica]

Al comune degli uomini fa specie considerare come gli antichi legislatori, esauste prima le virtù, mettessero mano anche ai vizii ordinandoli fondamento degl'istituti, che parvero loro più acconci allo assetto di questo nostro umano consorzio.

Lettera a Pietro Ellero[modifica]

Mio riverito signore ed amico,
La pena di morte è una questione intorno alla quale si sono piuttosto affaticate, che esercitate le menti degli uomini; e con quanto frutto non so; certo se ne dovessimo giudicare dal resultato, dovremmo dire poco; imperciocchè i Governi che in ogni altra cosa peccano del gretto, in questa poi procedono liberali, anzi spreconi; massime il Piemontese, che per la morte a piene mani nel suo codice largita si acquistò meritamente fama di munificentissimo.

Ritratto morale di Leopoldo II[modifica]

Leopoldo II ha sempre aborrito qualunque limite alla sua potestà assoluta, o sia che tale gli persuadesse la propria natura, o la indole ricevuta; e quantunque mostrasse diversamente nel 1848, esse furono lustre per parere, onde molte volte la memoria mi ha riportato il caso che adesso dirò.

Racconto d'Erodoto, applicabile ai nostri tempi[modifica]

Narrasi da Erodoto nel libro settimo delle Storie intitolato a Polinnia come: — «i Greci, instando Serse con l'enormi sue forze terrestri e marittime, si adunassero insieme in un medesimo luogo, e, datasi fede scambievole, deliberassero prima di tutto riconciliarsi e far pace delle ingiurie passate; conciossiachè la guerra durasse allora vivissima tra diverse città, e segnatamente tra gli Ateniesi e gli Egineti».

Il Porto di Piombino[modifica]

Io me ne stava seduto sopra un mortaio di bronzo napoleonico alla Stella (la quale per parentesi non era la Stella di Venere, ma la fortezza ove il 9 gennaio dalla salutifera incarnazione 1848 mi trasportarono), e, quantunque non paresse, aspettava con impazienza la barca della posta.

Sermide[modifica]

Padri, madri, spose, figli, sacerdoti, campagnuoli, cittadini, ricchi e poveri, uditemi tutti; io vi parlo la voce della patria, — la voce di Dio.

I Moderati[modifica]

Allora possiamo augurare bene della Libertà, quando almeno gli uomini ardiscono aprire i labbri al vero; non protervo, non petulante, ma pure dignitoso e schietto.

Apologia della vita politica[modifica]

Me accusano di tradimento: e tale apposero accusa anche a Focione; e condottolo a bere la cicuta, i suoi nemici non riputarono averne vittoria intera, finché non fecero decretare, che il suo corpo fosse gittato fuori dei confini dell'Attica, e nessuno Ateniese si attentasse a somministrare fuoco pei suoi funerali. Per la quale cosa non vi fu alcuno dei suoi amici che ardisse di pur toccare il cadavere infelice: solo un certo Conopione, uomo plebeo, notte tempo, recatoselo sulle spalle, lo trasportò al disopra di Eleusina, e tolto il fuoco dal territorio di Megara, abbruciollo. Una donna megarese, assistendo ai funerali, formò un tumulo vuoto, e versovvi sopra i libamenti, e postesi le ossa in seno portossele a casa, e le seppellì accanto del focolare, dicendo: «O lari amici, io depongo appo voi queste reliquie di un uomo dabbene. Voi restituitele poscia ai sepolcri dei di lui antenati, quando gli Ateniesi fatto abbiano senno.» Per verità, non andò guari che le loro faccende medesime fecero conoscere agli Ateniesi quale sopraintendente, e custode della temperanza e della giustizia avessero perduto, e gl'innalzarono una statua di rame, e ne seppellirono le ossa a pubbliche spese[13].

Beatrice Cènci[modifica]

Non so se più soave, ma certamente simile alla Madonna della Seggiola di Raffaello avrebbe dipinto un quadro colui, che avesse tolto a imitare per via di colori il gruppo, che stava aspettando Francesco Cènci nella sala del suo palazzo. Una sposa di forse venti anni, seduta sopra i gradini di un finestrone, teneva al petto il suo pargolo; e dietro alla sposa un giovane di egregie sembianze, col volto basso, contemplava cotesto spettacolo di amore: egli solleva le mani giunte e alquanto piegate verso la spalla sinistra, per ringraziare Dio di tanta prosperità che gli manda. La sembianza e lo atteggiamento dimostrano come in quel punto lo commuovano tre affetti, che fanno l'uomo divino. Le mani erano a Dio, lo sguardo al figlio, il sorriso alla sposa. – Però la donna non vedeva cotesto sorriso, chè lei assorbivano intera i doveri e la dignità di madre. Il fanciullo sembrava un angiolo, il quale avesse smarrita la via per tornarsene in cielo.

Il destino[modifica]

La Fulvia Piccolomini fu bellissima donna, anzi divina, nacque in Siena il 14 marzo 1630 al signore Alessandro, cui bastarono il cuore e i lombi per darle la compagnia nientemeno di quindici fratelli: di diciotto anni ella si maritò con Lelio Griffoli gentiluomo di Siena, e gli portò in dote fiorini 7376, che non furono troppi, ma nè anco sembreranno pochi a cui consideri la compagnia dei predetti quindici fratelli.

Il secolo che muore[modifica]

— Oh! che lo invito glielo abbia a mandare?
— Fa' quello che il cuore ti detta; io per me non glielo manderei...

Isabella Orsini, duchessa di Bracciano[modifica]

Ave Maria! Creatura di cui la vista persuase l’Eterno a offerirsi vittima espiatoria per la stirpe onde nascesti alla giustizia irrevocabile della sua legge; — Vergine, nel seno della quale Dio penetrò come raggio purissimo in acqua pura;[14] — Madre, che nel tuo grembo, meglio che nell’Arca Santa, la Divinità conservasti, abbi misericordia di me.

L'asino: sogno[modifica]

Occasione di Scrivere. Quello che rimanesse di me dopo la mia morte. Il Generale Chassé prigioniero di pace. Fornicazione dell'Errore con la Jattanza, e quello che ne venne. Il cervello del mondo domiciliato a Parigi. Il giudizio universale. L'ultimo dente. Mani nelle faccende forensi necessarissime. Tento rifarmi. Mi trovo corto a ossa. Ragionamento col Cappellano del camposanto dove fui sepolto. Difficoltà di ritrovare le proprie ossa. I vermini sussurrano. Prova testimoniale. Presso del Marchese Gualtiero orvietano. Il ladro che può arrestare gli sbirri è un galantuomo. Chi non sa difendere il suo è indegno di possedere. Proprietà e furto sono una cosa sola. Poeti ladri per eccellenza. Azione reivindicatoria. Beni della Chiesa, e prescrizione centenaria. Vita umana quanto caduca. Giove in soffitta. Cadaveri sono cose nullius. Italia morta del male del vile. I vermini vantano giusto titolo. Giudizio finale sarà civile, o criminale? Ragioni non messe in carta bollata, non si può dire che sieno ragioni. Coccodrillo del padre Kirker gesuita, e sua avventura. L'Avvocato fiscale ed il Pesce-cane. Mi addormento da capo.

La torre di Nonza[modifica]

– Io non mi rimovo dalle mie parole, continuava a dire Eleuterio a Severo, e' fu proprio la provvidenza la quale volle mettere la Francia giusto nell'umbellico d'Europa, affinché questo suo agitarsi perpetuo ed inquieto, ed il fare continuo e il disfare, formassero materia di salute, a mo' dei venti, i quali scombujando l'aria, la mantengono sana. Talvolta sembra ch'ella rientri in sé stessa,

Come face le corna la lumaccia,

quasi volesse tornarsene addietro, e veramente come pare è, ma questo storno accade perché ella possa prendere l'abbrivo per ispingersi più impetuosa d'irresistibile gagliardia avanti. No, Severo, no, io ti dico la Francia essere la vite di Archimede in Europa; senza lei non avanzerebbe la barca.

Lo assedio di Roma[modifica]

Roma!
E' corre vecchia fama che Roma sia parola arcana, e significhi Amor, ed io ci credo, però che sappia come l'Amore nascesse ad un parto insieme coll'Odio; ora Roma, appunto rappresenta l'Amore indomato del sangue latino alla terra latina, e l'Odio religioso contro lo straniero da qualsivoglia plaga si muova per contaminare la terra latina.

Messere Arlotto Mainardi, Pievano di S. Cresci a Maciuoli[modifica]

In certa bella città di questa Italia bellissima havvi un Diario il nome del quale è vietato rammentare per la stessa ragione per cui Monsignor della Casa proibisce, che tra le urbane brigate ricordinsi le cose oscene; vero è però, che il costume ha introdotto certe clausole preservative, come sarebbe quella, con rispetto parlando, mercè le quali, forse le si potrebbono dire, ma io penso, che quanto può essere tollerato in un secolare disdica a un prete; però io me ne astengo addirittura, conoscendo come per quanto ci si usi cautela da colui, che parla di oscenità, egli non può impedire, che lo abbiano per isboccato.

Paolo Pelliccioni[modifica]

— Santità, le faccio umilissimamente considerare come, da un'ora e più, con la reverenza debita al Vicario di Gesù Cristo redentore sopra la terra, le sia venuto esponendo il profondo disgusto del mio signore e padrone, Sua Maestà Cattolica, non che la repugnanza di tutto l'illustrissimo ed eccellentissimo clero di Spagna per questa sua ultima bolla, la quale giudichiamo perniciosissima alla quiete della santa madre Chiesa.

Pasquale Paoli[modifica]

Gli dei di Ausonia se ne andarono, ed il suo cielo con essi! — esclamò Giacomo Boswell, fiore di galantuomo inglese, levando la faccia in alto e ricevendovi bravamente in mezzo uno sbuffo di acqua piovana.

Predica del venerdì santo[modifica]

Diciannove secoli vedono la legge del Vangelo come una bandiera in mezzo alla battaglia inoltrarsi gloriosa e trionfale per le vinte contrade, avanzarsi per lo universo e bandirvi lo amore. Questo divino vessillo candido di fede, verde di speranza, vermiglio del sangue dei martiri ha superato il volo delle aquile romane. Alla spada della superbia vennero meno il taglio e la punta; le catene di ferro caddero logorate dalle ire dei popoli, ma la legge della carità nelle procelle acquista vigore, ingagliardisce per contrasto, la persecuzione disperde e lo errore. Quelli che l'acquistarono se la stringono al seno con lo affetto della madre che abbraccia il suo primogenito, e quelli che ancora non la posseggono vi volgono desiosi lo sguardo tardando loro che appaia questo segno di pace su lo emisfero della libertà.

Racconti e scritti minori[modifica]

La serpicina[modifica]

Era l'ultimo giorno di carnevale, ed io me ne stava sopra un monte altissimo, dove non saprei dire quante, ma da ore ben molte cadeva in fiocca neve fredda e copiosa quanto... quanto un discorso accademico, o poco meno. – Ora come io segaligno o freddoloso lassù? – Noi altre povere creature, a guisa di pagliuzze in balìa della procella balestrano i fati, adesso in cima ad un campanile, adesso in fondo di una cantina, senza conoscerne sovente, epperò senza poterne dire, la cagione.

Veronica Cybo, duchessa di San Giuliano[modifica]

L'autunno è la più mesta stagione dell'anno; – il vespro è l'ora più mesta del giorno: – in quella stagione, in quell'ora, il Sole si avvicina alla sua tomba magnifico a vedersi come il figlio primogenito del Creatore. – Sul mezzogiorno egli tenne raccolti tutti i suoi raggi per vibrarli veementi a suscitare la natura; ma verso sera la vita è sparsa, la virtù diffusa, ed egli adesso si compiace a versare tutto il suo lume per l'emisfero che lo circonda. E la volta dei cieli, abbandonato il manto azzurro, s'indora della luce divina, in quella guisa che il secolo assorbe l'emanazioni della grande anima che lo ha dominato.

La vendetta paterna[modifica]

«In quanto a' capelli diventati bianchi tutto ad un tratto, notò un bandito mentre scuoteva la pipa per farne uscire la cenere del tabacco, ho inteso raccontare, che quando don Flaminio il Marchese di santa Prassede maledisse i suoi figliuoli, le imprecazioni del vecchio bruciassero i capelli su cotesti loro capi, e ne calcinassero i cervelli come pietra in fornace: insomma, che il fuoco di Sodoma non facesse men peggio, né più tardi.»

Ave Maris Stella[modifica]

O Maria, stella del mare in paradiso, abbi misericordia di Venezia, un dì stella del mare sopra questo mondo.
Dolce Maria, tu che fosti soccorso dei cristiani incontra al Turco[15], deh! soccorri a Venezia incontra all'Austriaco. Perché, in conscienza, qua! mai occorre divario tra l'Austriaco e il Turco? La desolazione accompagnava il Turco: Brescia, apri il tuo mantello, e mostra lo strazio che di te ha fatto l'Austriaco! Lo incendio seguiva il Turco: Sermide, piglia un pugno di cenere in che ridusse le tue case l'Austriaco, e mostralo all'Europa!

Un canto corso[modifica]

Mia madre talora mi ha sgridato e mio padre qualche volta mi ha percosso: ma tu, o Patria, sia che da te mi partissi, ovvero a te ritornassi, mi hai sempre riso. Mia madre mi ninnò dentro la culla cantando, ma io piangendo le recitai il Miserere sopra la fossa. Mio padre mi addestrò la mano ai primi tiri, ma io quando la morte lo chiamò gli composi sul petto in croce le sue prima di chiuderlo dentro la cassa. Tu poi, o Patria, appena uscito al mondo, mi consolasti con la luce e col calore: vivo mi nutrisci col tuo seno e nel tuo seno sazio di giorni mi raccoglierai. Perpetua madre, tu non ti stacchi in verun tempo i figliuoli dalle braccia: tu doni sempre e non ricevi mai.
- Benedetta la Patria!

Il buco nel muro[modifica]

Care ricordanze di affetto, e venture di rado liete, spessissimo triste, e avvicendarsi cotidiano di fratellevoli offici operarono sì, che Domenico e Francesco sieno, come si costuma dire, due anime in un nocciolo. Il mio, e il tuo non si conosce fra loro; amici sono, quali io penso che ormai non se ne abbia a trovare più la stampa nel mondo: mala pena forse tu ne potresti cavare la idea nel trattato scritto da quell'omaccione che un giorno fu Marco Tullio intorno all'Amicizia.

La preghiera del fanciullo italiano[modifica]

Padre nostro, che sei nei cieli, fammi amare la patria sopra me stesso, e la libertà sopra la patria.
Però che la patria senza la libertà, sia fossa aperta a raccogliere i cadaveri di gente immeritevole di esser nata.
Io non ti supplico di farmi amare la virtù, perché, senza sentirmi virtuoso, come mai potrei amare la patria e la libertà?
E poi fammi amare, Signore, babbo e mamma, non solo per la vita che mi compartirono, quanto pel documento che mi hanno dato di vivere, ed anco di morire libero sopra la terra.

Scritti[modifica]

I nuovi tartufi[modifica]

Mi stese la mano, – come tutte le sere quando io lo lasciava sopra la soglia della sua casa dopo avere percorso più miglia lungo il lido del mare silenziosi e mesti.
Giovani entrambi, quantunque d'indole, di corpo e di voglie affatto diverse, una invincibile tristezza ci univa finché gli durò la vita, la quale fu breve e senza gioie: egli rassegnato, io ribellante; egli mansueto, almeno in sembianza, io iroso; egli sazio del presente, disperato del futuro, io dell'avvenire fidentissimo, e cupido d'impadronirmi del tempo; egli argomentatore per via di formule, io pieno di fantasimi; egli pauroso di darsi in balía delle immaginazioni, io non che inchinevole, lieto di lasciarmi trasportare dal torrente della fantasia; egli biondo e di sguardo azzurro e tranquillo, io nero e bieco: e nonostante, la tristezza comune ci tenne uniti. Così ai tempi del Terrore in Francia il taglio del ferro congiunse in fondo della paniera con bacio sanguinoso la testa del nobile e del plebeo, del bello e del brutto, dell'animoso e del codardo!

Pensieri in prosa da farsene una preghiera in versi[modifica]

Al Dio che ama l'Italia come il primo alito della sua creazione; al Dio che la coprì del sublime arco dei cieli quasi di un manto di gloria; al Dio che pose nell'occhio la lacrima della pietà, nell'anima il sospiro dello amore, Angioli candidissimi della preghiera, offrite il voto dei labbri innocenti.

Discorsi[modifica]

Se la fortuna fosse stata copiosa dei suoi beni a Socrate, Anito e Melito, invece di farlo condannare a bere la cicuta, sarebbero andati a casa sua per bevergli il vino di Samo[16]. – Questa sentenza, comechè dettata da uno ingegno argutissimo del secolo trascorso, a me parve sempre più presto gioconda che vera.

Illustrazioni[modifica]

La più parte degli uomini esalta il sole quando tutto scintillante di raggio e fecondo di vita è sorto dall'Oriente: ignavi non avvertirono, od obliosi dimenticarono le tinte giocondissime con le quali lo precedeva l'aurora, come un'ancella che sparga fiori davanti ai passi del suo re: e meno ancora pongono mente al punto prodigioso in cui la natura apre le palpebre della notte quasi una lapide di sepolcro. E sì ch'è cosa anche ai mortali concessa, potere forza aggiungere a forza, mentre spetta all'Onnipotente solo accendere la vita e la luce.

I bianchi e i neri[modifica]

GERI, MANENTE.

Geri Credi che in buio eternamente cupo,
Simile a questo, senza fine il mondo
Sarà sepolto un dì?
Manente Credo.

Vita di Andrea Doria[modifica]

Francesco Guicciardino, uomo nella pratica delle faccende umane certamente a veruno secondo, lasciò scritto, essere, giusta l'opinione sua, i contemporanei spositori di storie eccellentissimi, massime se, oltre all'ingegno arguto, avvenisse loro di pigliarci parte o come magistrati o come guerrieri; ed in questa sentenza si trova condotto dal considerare che, le cause degli avvenimenti umani essendo moltiplici, taluna ci opera a modo di principale, mentre tal altra ci fa officio di accessoria: questa comparisce meno, quella più; nè tutte spettano alla vita pubblica, anzi moltissime alla privata, e le seconde, per celarsi meglio, non esercitano minore virtù: donde accade che, chi viene dopo, ne ignori molte per necessità, avendole cancellate il tempo dalla mente degli uomini, ed egli, costretto a servirsi delle uniche che rimangono, le quali sono ordinariamente le più strepitose, il fatto gli si presenta spesso o non bene intero, o alterato, e quindi il giudizio o manco o fallace.

Vita di Francesco Burlamacchi[modifica]

Se Francesco Burlamacchi fosse nato di piccola gente presso la più parte degli uomini, ai tempi che corrono, io giudico gli tornerebbe a merito maggiore; tuttavia non vuolsi né anco in questa parte darla vinta agli scrittori, i quali s'immaginano vituperarlo affermandolo artefice e plebeo. Si comprende ottimamente che un Dalli in certa sua cronaca manoscritta[17] ce lo dia per fallito e mosso a pescare nel torbido per tôrsi dalla fame; costui canonico era ed aveva un dente contro Francesco, che i preti e le pretesche cose amava quanto il fumo agli occhi: e, per preti e per femmine, morte non placa l'odio immortale. Quanto a Scipione Ammirato, il quale dichiara il Burlamacco ignobile, ma nel numero degli artefici che governavano Lucca[18], ed a Giovambattista Adriani, che a sua posta lo ciurma artefice, come per ordinario i Lucchesi sono[19], si capisce la ragia: entrambi aggreppiati alla medicea mangiatoia, entrambi nudriti di principesca profenda, dettavano quello che secondo il giudizio loro doveva piacere ai padroni; ma non si capisce come Carlo Botta dopo tre secoli ribadisca il chiodo quasi a sollazzo replicando ora che artefice era di suo stato, ma secondo la usanza della repubblica capace di sedere ai governi, ora che sebbene nato in basso loco, pure aveva sortito da natura ingegno idoneo alle imprese eccellenti, in ultimo che, comunque in opere manuali di continuo si occupasse, pure ritraesse maraviglioso diletto dalle antiche storie[20].

Citazioni su Francesco Domenico Guerrazzi[modifica]

  • Guerrazzi fornito d'ingegno eminentemente pratico, dell'ingegno che guarda le idee dal lato dell'applicazione, spregiava le teoriche filosofiche intorno all'umana perfettibilità; discepolo di Macchiavelli e di Byron, adorava la potenza, e la voleva resa all'Italia senza sperare che l'acquisto della potenza sarebbe per lei cagione di felicità. (Giuseppe Montanelli)
  • Guerrazzi, mentre rintraccia studiosamente la vena della giovanile poesia, s'innamora lungo la via, aspra di triboli e di esperienza, dell'ira di Tacito e dello stile di Guicciardini, e ridona di continuo all'Italia squarci di storia, pagine di eloquenza sublimi, opere ammirande, ma insufficienti, impotenti oserei dire a commovere, ad agitare, a suscitare la fede e l'entusiasmo, a dar battaglia, come un tempo l'Assedio di Firenze, al materialismo che ci impaluda, all'egoismo che ci infanga. (Giuseppe Guerzoni)
  • Il Guerrazzi tendeva a farsi capo di una scuola toscana che fosse politicamente in contrapposto alla scuola del Manzoni: mentre questa proclamava l'alto valore morale della speranza e della rassegnazione, il Guerrazzi voleva che si operasse con energia ed audacia. E di questi sentimenti sono pervasi tutti i suoi scritti. (Lorenzo Gigli)
  • Quando Guerrazzi venne a Torino, mi richiese di presentarlo a Cavour; era cosa naturale, e Cavour desiderava egualmente di conoscerlo. Lo accompagnai, e li lasciai soli. Ritornato dopo il loro abboccamento da Cavour, questi mi disse subito: «Che occhi ha quel suo Guerrazzi!» Nello stesso giorno rividi Guerrazzi che appena vedutomi, esclamò: «Che occhi ho trovato in Cavour!» – Si erano misurati e giudicati sotto le stesse impressioni. (Michelangelo Castelli)

Note[modifica]

  1. Citato nella rubrica Antologia, La Fiera letteraria, n. 5, 14 marzo 1971 ed in testata del settimanale L'Asino del 1892.
  2. Da Beatrice Cenci, cap. XXIV.
  3. Da Il buco nel muro, 1862.
  4. Da Vita di Francesco Ferruccio.
  5. Da Manzoni, Verdi, e l'Albo Rossiniano; erroneamente attribuita anche a Paolo Mantegazza.
  6. Citato in A. Arthaber, Dizionario comparato di proverbi e modi proverbiali in sette lingue, Hoepli, 1995, p. 328.
  7. Dario I di Persia, vedi voce in Wikipedia.
  8. Flagellazione dell'Ellesponto, vedi voce in Wikipedia.
  9. Da L'asino: sogno, p. 153.
  10. Da Prefazione alla Beatrice Cènci, Guigoni, Milano, 1864, p. 5
  11. Dalla lettera ad Antonio Mangini, 6 ottobre 1853.
  12. Dalla lettera a Giovanni Bertani, 22 decembre 1850; in Lettere , p. 232.
  13. Plutarco, Vita di Focione, volgarizzamento di G. Pompei.
  14. Come raggio di sole in acqua mera. (Dante.) Gli Gnostici, distinti con lo epiteto di dociti, negarono in Gesù Cristo la natura umana, e lo supposero un fantasma, però che: non dignum est ex utero credere Deum, et Deum Christum.... non dignum est, ut tanta majestas per sordes et squallores mulieris transire credatur. Questa eresia fu condannata fino dai primordii della Chiesa da San Giovanni.
  15. Pio V, per la riportata vittoria di Lepanto contro ai Turchi, inserì nelle Litanie della Madonna la invocazione: Auxilium Christianorum.
  16. Voltaire.
  17. Nella Biblioteca di Lucca.
  18. Storie fiorent. lib. 33.
  19. Storia de' suoi tempi, lib. 5.
  20. Storia d'Italia, di seguito al Guicciardini, lib. 5.

Bibliografia[modifica]

Altri progetti[modifica]

Opere[modifica]