Émile Zola

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Emile Zola

Émile Zola (1840 – 1902), scrittore, giornalista, saggista, critico letterario e fotografo francese.

Citazioni di Émile Zola[modifica]

  • Andarono a sedersi sotto l'albero morto. La lavandaia si mise la cesta accanto ai piedi. Di fronte a loro, Montmartre allineava le file dei suoi alti e grigi caseggiati, fra ciuffi di esili verzure; e quando rovesciavano all'indietro la testa, potevano vedere il cielo ampio, puro e ardente che sovrastava la città, attraversato a settentrione da un volo di piccole nubi bianche.[1]
  • [Sulla Colonna Vendôme] Arrivati in place Vendôme, mentre la comitiva ne ammirava la colonna, il signor Madinier pensò di mostrarsi galante con le signore: propose loro di salire sulla colonna, da cui si poteva guardare Parigi. L'offerta sembrò a tutti divertente. Sì, sì, si doveva salire: ne avrebbero riso per chissà quanto tempo. La cosa non mancava certo d'interesse, per chi non aveva mai lasciato la terra ferma. [...] E cominciarono a salire. I dodici si arrampicavano in fila lungo la stretta spirale della scala, inciampando nei gradini consunti, tenendosi contro il muro. Quando l'oscurità si fece pressoché totale, non si sentirono che risatine soffocate. Le signore lanciavano gridolini. I signori facevano loro il solletico, davano pizzichi nelle gambe. Ma sarebbero state ben sciocche a protestare: bastava fingere che ci fossero dei topi.[2]
  • Fino a tanto che avrete qualche cosa di vostro, e che il vostro livore contro il borghese non proverrà da altro che dal vostro rabbioso bisogno d'essere borghesi a vostra volta, non sarete degni mai della felicità.[3]
  • Fra cent'anni Les fleurs du mal [di Charles Baudelaire] verranno ricordati solo come una curiosità.[4]
  • [Johann Strauss jr] Ha mostrato come il mondo può essere bello, io invece ho scritto come il mondo può essere brutto.[5]
  • Il talento del Signor Manet è fatto di semplicità e di esattezza. Senza dubbio, davanti alla natura incredibile di alcuni dei suoi colleghi si sarà deciso ad interrogare la realtà, solo con sé stesso: avrà rifiutato tutta la perizia acquisita, tutta l'antica esperienza, avrà voluto prendere l'arte dall'inizio, cioè dall'osservazione esatta degli oggetti. Si è dunque messo coraggiosamente di fronte a un soggetto, ha visto questo soggetto per larghe macchie, per opposizioni vigorose, e ha dipinto ogni cosa così come la vedeva.[6]
  • Io accuso.[7]
J'accuse.
  • La scienza ha promesso la felicità? Non credo. Ha promesso la verità, e la questione è sapere se con la verità si farà mai la felicità.[8]
  • La verità è in cammino e niente la fermerà.[9][10]
  • Non ho che una passione, quella della verità, in nome del genere umano che tanto ha sofferto e che merita la felicità.[11]
  • Non potremmo cominciare ad accordarci sull'amore che dobbiamo agli animali? [...] e ciò semplicemente in nome della sofferenza, per porre fine a tale sofferenza, l'abominevole sofferenza di cui vive la natura e che l'umanità dovrebbe sforzarsi di ridurre il più possibile; in nome di una lotta continua, l'unica che sarebbe saggio combattere.[12]
  • [Ultime parole famose] Paul Cézanne può aver avuto il genio di un grande pittore, ma non ha mai avuto la perseveranza di diventarlo.[13]
  • «Se ti permettessero di salvarne dieci, chi sceglieresti? Scelta difficile. Se fossi la potenza infinita, li salverei tutti. Perché questi e non quelli? Certo io non posso vedere tutto essendo limitato, ma mi sembra che la Vergine non faccia opera di buon giustizia distributiva, e che sia crudele scegliere. Sembra, come la natura, obbedire al caso, senza giustizia». – Mi ha risposto che anche lui ci aveva pensato spesso, ma che bisognava inchinarsi alle decisioni della divinità, i cui atti sfuggono al nostro giudizio. Anche lui avrebbe voluto salvarli tutti. – La sua storia del malato che tornava tutti gli anni […] Volle convincerlo che, se la Vergine non lo salvava, era perché lo riservava a gioie future straordinarie. Gli salvava l'anima. – «Non è quello che veniva a cercare», ho risposto. In effetti, se tutti vogliono guarire, è la Terra che vogliono, non il Cielo.[14]
  • Si forgia il proprio stile sulla terribile incudine delle scadenze quotidiane.[15]
  • Un'opera d'arte è un angolo della creazione visto attraverso un temperamento.[16][10]
  • [Su Les Halles, mercato alimentare di Parigi] [...] una macchina moderna, smisurata, una specie di macchina a vapore, di caldaia destinata alla digestione di un popolo; un gigantesco ventre di metallo, inchiavardato, saldato, fatto di legno, vetro e ferro, che funziona con il calore del riscaldamento, lo stordimento e l'agitazione furiosa delle strade […].[17]

Germinale[modifica]

Incipit[modifica]

In mezzo all'aperta pianura, sotto un cielo senza stelle, nero d'un nero d'inchiostro, un uomo percorreva, solo, la strada maestra tra Marchiennes e Montsou; dieci chilometri di massicciata che si lanciava in linea retta attraverso campi di barbabietole. Quasi non vedeva dove metteva i piedi; e dell'immenso orizzonte piatto che lo circondava aveva solo sentore per le raffiche del vento di marzo: vaste raffiche che spazzavano la pianura come un mare; gelate da leghe e leghe di palude e di landa sulle quali erano passate. Non un profilo d'alberi sul cielo; diritta come un molo, la strada si protendeva in un buio impenetrabile allo sguardo.

[Einaudi, traduzione di Camillo Sbarbaro]

Citazioni[modifica]

  • [A Maheu] Quando non si è i piú forti, bisogna bene essere i piú giudiziosi. (Richomme: I, V; 1951, p. 56)
  • Spegni la candela, non m'occorre, per vedere di che colore sono i miei pensieri.
Souffle la chandelle, je n’ai pas besoin de voir la couleur de mes idées. (Maheu: I, II, 1885)
  • Aumentare il salario, che forse si può? Una legge di ferro lo fissa allo stretto necessario; all'indispensabile, perché l'operaio possa mangiare pane e sputo e procreare dei figli. Se il salario scende sotto quel livello, l'operaio crepa; e la richiesta di nuovi operai lo fa risalire. Se supera quel livello, cresce l'offerta di manodopera e lo fa calare. È l'altalena delle pance vuote, la condanna a vita alla galera della fame. (Souvarine: III, I; 1951, p. 133)
  • I soli piaceri che restavano [ai minatori], quello di sborniarsi e d'ingravidare la moglie. (III, III; 1951, p. 152)
  • – Pane! pane! pane! – Pane! come se bastasse! L'aveva il pane, lui [Hennebeau]; ma non era meno per questo il piú infelice degli uomini. Il rimpianto della sua vita fallita, la vita del cuore, l'unica che gli importasse, lo prese alla gola come una mano che lo strozzasse. Ah, no; non bastava aver del pane per essere felice! Chi era quell'idiota che faceva dipendere la felicità dalla spartizione dei beni? Codesti acchiappanuvole di rivoluzionari, potevano bene distruggere la società e farne sorgere una nuova; con l'assicurare a tutti un tozzo di pane non darebbero all'umanità una gioia di piú né la libererebbero da un solo dolore! Al contrario, sarebbe l'infelicità che farebbero regnare sulla terra; perché persino i cani finirebbero per urlare di disperazione il giorno che, non piú paghi di soddisfare i loro istinti, illusi di elevarsi, cadessero in balía delle passioni che nulla può saziare. No, il solo bene era non esistere; ma, dovendo nascere, nascere albero, nascere pietra; granello di sabbia, meglio ancora, che non sa del piede che lo calpesta. (V, V; 1951, pp. 320-321)
  • La folla: una forza cieca che continuamente divora se stessa. (VII, I; 1951, p. 405)

Il sogno[modifica]

I traduzione[modifica]

Incipit[modifica]

Nel rigido inverno del 1860 l'Oise gelò, grandi nevicate coprirono le pianure della bassa Piccardia, ed il giorno di Natale una bufera di nord-est seppellì quasi la città di Beaumont.
Nella città alta, in via Orefici, in capo alla quale si trova come incastrata la facciata dell'ala nord della cattedrale, quella neve si ingolfava, spinta dal vento, andando a percuotere la porta Sant'Agnese, l'antica porta romana già quasi gotica, molto ornata di sculture sotto la nudità del pinacolo. L'indomani, all'alba, ve n'erano quasi tre piedi.

Citazioni[modifica]

  • La verginità è sorella degli angeli, è il possesso di ogni bene, è la sconfitta del diavolo, è la forza della fede. Essa dà la grazia, essa è la perfezione, che vince col solo presentarsi. (p. 38)
  • La morte è più potente dell'amore. È una sfida gettata all'esistenza. (p. 39)
  • Il mondo è pieno di brava gente. Quando si è onesti e si lavora il premio vien sempre... (p. 66-67)

[Émile Zola, Il sogno, Casa Editrice Bietti, Milano, 1949.]

Maria Azzi Grimaldi[modifica]

Incipit[modifica]

Durante il rigido inverno del 1860 l'Oise gelò, copiose nevicate coprirono le pianure della Piccardia meridionale, e proprio il giorno di Natale Beaumont ne fu quasi sepolta in seguito a una tempesta proveniente da nord-est.
La neve, che aveva cominciato a cadere fin dal mattino, verso sera infittì e poi andò accumulandosi tutta la notte.

Citazioni[modifica]

  • La morte è più forte dell'amore, è una sfida all'esistenza. (p. 31)
  • Quando non si lavora, gli arnesi se ne scappano! (p. 39)
  • Il mondo è pieno di brave persone! Quando si è onesti e si lavora, si è sempre ricompensati. (p. 51)
  • È così bello vivere, e la vita è così dolce che non può essere cattiva! (p. 51)
  • La felicità per noi poveretti sta solo nell'umiltà e nell'ubbidienza. (p. 51)

[Émile Zola, Il sogno, traduzione di Maria Azzi Grimaldi, Rusconi Editore, 1987]

Incipit di alcune opere[modifica]

Al paradiso delle signore[modifica]

Denise se ne veniva a piedi dalla Gare Saint-Lazare, dove il treno da Cherbourg l'aveva sbarcata dopo una notte passata sul duro sedile di un vagone di terza classe.
[citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993]

Il ventre di Parigi[modifica]

Lungo il viale deserto, nel profondo silenzio della notte, i carri degli ortolani, diretti verso Parigi, percuotevano con l'eco dei loro monotoni scossoni, a destra e a sinistra, le facciate della case immerse nel sonno dietro i filari confusi degli olmi. Un carro di cavoli e un altro di piselli si erano riuniti sul ponte di Neully ad otto carri di rape e di carote calati da Nanterre; ed i cavalli procedevano a testa bassa, con andatura pigra e uguale rallentata dalla fatica della salita. Su in alto, sdraiati bocconi, sul carico dei legumi, sonnecchiavano i carrettieri coi loro mantelli a righe nere e grigie, le redini arrotolate al polsi.

[Émile Zola, Il ventre di Parigi, traduzione di Maria Teresa Nessi, Garzanti.]

L'Assommoir[modifica]

Ettore Venzi[modifica]

Gervasia aveva aspettato Lantier fino alle due del mattino, poi, tutta, tremante per essere rimasta all'aria pungente della finestra in camicia, s'era gettata di traverso sul letto e si era assopita, febbricitante, con le guance umide di pianto. Da otto giorni, quando uscivano dal "Vitello a due teste", dove mangiavano, lui la mandava a letto con i ragazzi e riappariva a notte alta, raccontando che era stato a cercare lavoro.
Proprio quella sera, mentre lei stava lì alla finestra ad aspettarlo, le era sembrato di vederlo entrare al "Grand Balcon", una sala da ballo le cui dieci finestre sfolgoranti rischiaravano con una luce d'incendio i boulevards esterni, simili a nere colate di metallo.
Dietro di lui aveva scorto l'Adelina, una brunitrice che mangiava allo loro stessa trattoria, camminare cinque o sei passi indietro, con le braccia ciondolanti come se gli avesse lasciato allora il braccio per non passare insieme sotto la luce cruda delle lampade all'ingresso.

[Émile Zola, L'Assommoir, traduzione di Ettore Venzi, Gherardo Casini Editore.]

Luisa Collodi[modifica]

Grevaise aveva aspettato alla finestra Lantier fino alle due del mattino. Poi, tremante di freddo, per essere rimasta, in camicia, esposta all'aria della notte, si era assopita, buttata di traverso sul letto, febbricitante, con le guance bagnate di lacrime. Da otto giorni, quando uscivano dal «Veau à deux têtes», dove abitualmente cenavano, lui la spediva a casa a dormire, insieme ai bambini, per ricomparire soltanto a tarda notte, dicendo che era andato a cercare lavoro. Quella sera, mentre ne spiava il ritorno, le era parso di vederlo entrare al ballo del Gran-Balcon, le cui dieci finestre, vividamente illuminate, gettavano un bagliore d'incendio sui bui viali della circonvallazione esterna. Dietro di lui, a pochi passi di distanza, le era sembrato di scorgere la piccola Adèle, un'operaia brunitrice di metalli che di solito cenava al loro stesso ristorante. La ragazza camminava con le mani penzoloni, come se avesse appena lasciato il braccio dell'uomo, per non passare insieme a lui sotto la luce cruda delle lampade appese sopra l'arcata del portone.

[Émile Zola, L'ammazzatoio (L'assommoir), traduzione di Luisa Collodi, Newton Compton editori, Roma 1995.]

La fortuna dei Rougon[modifica]

Quando si esce da Plassans per la Porta di Roma, situata a sud della città, si trova, a destra della strada per Nizza, oltrepassate appena le prime case del sobborgo, un terreno incolto che la gente del luogo chiama "aia di Saint-Mittre".
L'aia di Saint-Mittre è uno spazio rettangolare di una certa estensione, che costeggia il marciapiede della strada: ne è separato soltanto da una striscia d'erba avvizzita. Da un lato, a destra, un vicolo cieco fiancheggia l'aia con una fila di catapecchie; a sinistra e in fondo, l'aia è chiusa da due lembi di muraglie corrosi dal muschio, al di sopra dei quali si scorgono i rami più alti dei gelsi del Jas-Meiffren, una grande proprietà che ha il suo ingresso più giù nel sobborgo. Così, chiusa da tre lati, l'aia è come una piazza che non serve di transito verso alcun altro luogo e che è attraversata solo da chi ha voglia di passeggiare.

[Émile Zola, La fortuna dei Rougon, traduzione di Sebastiano Timpanaro, Garzanti.]

Nanà[modifica]

Alle nove, la sala del teatro delle Variétés era ancora vuota. Poche persone in balconata e in platea, aspettavano, sperse in mezzo alle poltrone di velluto granata, nella scarsa luce del lampadario a fiamma abbassata.

Nuove storielle a Ninetta[modifica]

Sono proprio dieci anni, mia cara anima, ch'io t'ho raccontato le mie prime storielle. Che begl'innamorati eravamo noi allora! Io venivo da codesta terra di Provenza, dove sono cresciuto così libero, così fidente, così pieno di tutte le illusioni della vita. Io ero tuo, ero di te sola, delle tue tenerezze, del tuo sogno.
Te ne ricordi, Ninetta? Il ricordo è oggi l'unica gioia, nella quale il mio cuore si riposa. Fino a vent'anni, noi abbiamo fatta insieme la stessa strada. Io sento i tuoi piedini sul duro terreno; io scorgo il lembo della tua bianca gonnella sul raso delle erbe avveniticcie; io sento il tuo alito fra gli odori della salvia che mi giungono da lontano come soffi di giovinezza.
[Émile Zola, Nuove storielle a Ninetta, traduzione di Raffaello Barbiera, Milano, Treves, stampa 1922]

Roma[modifica]

Il treno aveva subìto forti ritardi tra Pisa e Civitavecchia, durante la notte, ed erano quasi le nove del mattino quando il prete Pierre Froment, dopo un faticoso viaggio di venticinque ore, arrivò a Roma.
[citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993]

Teresa Raquin[modifica]

In cima alla via Guénégaud, venendo dalla strada lungo la Senna, si trova il passaggio del Ponte Nuovo, una specie di corridoio stretto e oscuro che va dalla via Mazarino alla via della Senna. Quel passaggio ha, al massimo, trenta passi di lunghezza e due di larghezza; è selciato di pietre giallastre, consunte, sconnesse, che trasudano sempre un'acre umidità; la vetrata che lo ricopre, tagliata ad angolo retto, è nera di sporcizia.
Nei bei giorni d'estate, quando un ardente sole incendia le vie, un chiarore biancastro cade dai vetri sporchi e si trascina miseramente nel passaggio. Nei brutti giorni d'inverno, nelle mattinate di nebbia, i vetri gettano soltanto oscurità sulle pietre viscide, oscurità sporca e ignobile.

[Émile Zola, Teresa Raquin, traduzione di Luigi Martin, Fabbri Editori.]

Citazioni su Émile Zola[modifica]

  • Che il romanzo sia una forma d'arte buona a tutti gli usi, anzi una larva di arte letteraria adoperata a coprire ogni sorta di trattazioni morali, politiche, filosofiche, si vede da un pezzo. Che dunque lo Zola si sia valso anche stavolta del romanzo [Fecondità] per sostenere una tesi sociale, mostrando quanta semenza umana si sperda nella colpa e nel vizio, quanti bambini muoiano quasi per universale volontà, quanto deperisca la razza umana per tanti volontari impedimenti posti alla fecondità, che sola può ridare al mondo sanità e letizia e risolvere la questione sociale, non è maraviglia e si può ammettere. Ch'egli abbia torto o ragione, si può discutere. Ma che per propugnare una sua idea, per quanto giusta, egli abbia adoperati mezzi letterari imperfetti, grossolani, inefficaci, non si può negare da alcuno. (Dino Mantovani)
  • Come è noto, Zola applica il metodo sperimentale all'arte e alla letteratura così com'era stato applicato negli studi scientifici; opera sui suoi personaggi, sulle loro passioni, sulla loro anima, sull'ambiente che descrive, alla stessa maniera con la quale il fisiologo opera sui corpi sottoposti al suo coltello anatomico. (Lorenzo Gigli)
  • Fogazzaro è il poeta della ereditarietà, come Zola ne è il clinico. (Renato Simoni)
  • Il libro [Fecondità] che Emilio Zola scrisse durante il suo nobile esilio d'Inghilterra, dopo avere occupato per lungo tempo le appendici dei soliti giornali, è uscito, ahimè, anche in volume. Dunque ci vuol pazienza: bisogna sorbirsi queste settecentocinquanta fittissime, interminabili pagine; smaltire questa tegola, questo mattone, questo pane di piombo; e poi darne notizia al pubblico senza dire delle porcherie, ed esprimerne un giudizio senza venir meno all'alto rispetto ch'è nell'animo di tutti noi verso Emilio Zola, invitto atleta della verità e della giustizia. Tutte cose molto difficili. (Dino Mantovani)
  • La mente è un prodotto di predisposizioni ereditarie e di condizioni fisiologiche che si vanno organizzando col mezzo de' sensi, e ricevono una impronta definitiva dall'ambiente morale e dall'educazione.
    Questa è la teoria di Zola, riflesso dalla scienza contemporanea. E i suoi romanzi hanno per fine di rappresentare questo processo della natura. (Francesco De Sanctis)
  • Lo Zola non è stato un dotto, né come filosofo, né come letterato. Ciò gli ha nociuto e giovato, crediamo, nel medesimo tempo. Gli ha nociuto, facendogli accogliere con poca critica e non sempre esatta e compiuta cognizione le dottrine e i sistemi, a cui ha conformato l'opera sua; gli ha giovato, salvandogli una specie d'artistica verginità, per cui non c'è audacia che l'abbia sgomentato, né modelli, né freni d'arte, che l'abbiano trattenuto negli argomenti da lui prescelti e nelle atroci realtà di ogni fatta, da lui dipinte con quella sua maravigliosa potenza, che dove ancora vi pare prolissa, o vi sazia, o addirittura vi nausea, non cessa per questo d'avervi vinti, affascinati, conquistati e di stamparsi incancellabile nell'animo dei lettori più riluttanti. Questo egli ha per lo meno di comune coi grandi scrittori di vera fama mondiale. (Ernesto Masi)
  • Questo principio fondamentale [il metodo sperimentale] della scuola naturalista, fu dallo Zola applicato e svolto in tutta la sua vasta e complessa opera letteraria: per lui la letteratura acquista una grande funzione sociale. I suoi avversari, naturalmente, lo accusarono di aver creato dei tipi di una profonda inverosimiglianza, di essere stato quasi sempre, un assolutista e un semplicista. Ma la scienza – che è venuta in soccorso del letterato – ha dimostrato con esempi luminosi che l'opera dello Zola era profondamente scientifica ed umana, che i suoi tipi erano tratti dalla realtà della vita e che egli – come ha scritto Scipio Sighele – ha intuito il legame intimo e indissolubile, non solo fra tutte le varie e diverse forme di degenerazione, ma fra il germe ereditario e l'ambiente[18]. (Lorenzo Gigli)
  • Zola con la sua audacia ha destato il fanatismo nel pubblico sonnolento. Lodano soprattutto in lui lo scamiciato. Ci trovano non solo la realtà purificata di ogni retorica, ma tutta la realtà, anche la realtà indecente, anche l'argot. E chi ne piglia scandalo si turi le orecchie, solo tra mille avidi, a giudicarne dalle numerose edizioni. Quale romanzo francese ha avuto il successo dell'Assommoir e del Ventre di Parigi? Neppure l'ultimo libro di Victor Hugo. (Francesco De Sanctis)

Mario Bonfantini[modifica]

  • Sebbene Zola volesse di proposito astenersi dall'adottare qualunque dottrina politica per salvaguardare la propria obbiettività di osservazione, la sua opera risultò in sostanza una formidabile denuncia di tutti i vizi, le prevaricazioni, le ingiustizie sociali del «sistema borghese».
  • Si può riconoscere in Zola una visione del mondo originale: nel senso che per lui l'uomo, a dispetto della sovrastrutture intellettualistiche, culturali e morali, consta di pochi istinti elementari, e cresce sottoposto a pesanti pressioni dell'ambiente, che gli impongono brutalmente la loro autorità e finiscono, alla lunga, per determinare la sua condotta.
  • Zola, più che un creatore di personaggi, si mostra in questi libri [i suoi romanzi di maggiore portata artistica e sociale] un grande evocatore di ambienti, di masse, in un suo stile potente, epico, che lo raccosta a Flaubert, e che è pur capace di grandi delicatezze (specie in certi indimenticabili idilli di adolescenti). Egli si può chiamare un grande «impressionista», nel senso letterario e poetico della parola.

Note[modifica]

  1. Da L'Assommoir, introduzione di Lanfranco Binni, traduzione di Ferdinando Bruno, Garzanti, Milano, 2018, p. 285. ISBN 978-88-11-36467-2
  2. Da L'Assommoir, 2018, p. 88.
  3. Da Germinal, traduzione di L. G. Tenconi, Fabbri Editori, 2001.
  4. Citato in Storia della bruttezza, a cura di Umberto Eco, Bompiani, Milano, p. 393. ISBN 978-88-452-7389-6
  5. Citato in Roberto Iovino, Gli Strauss: una dinastia a tempo di valzer, Camunia, 1998.
  6. Le talent de M. Manet est fait de simplicité et de justesse. Sans doute, devant la nature incroyable de certains de ses confrères il se sera décidé à interroger la realité, seul à seul: il aura refusé toute la science acquise, toute l'expérience ancienne, il aura voulu prendre l'art au commencement, c'est à dire à l'observation exacte des objects. Il s'est donc mis courageusement en face d'un sujet, il a vu ce sujet par larges taches, par oppositions vigoureuses, et il a peint chaque chose telle qu'il la voyait. (citato in Lionello Venturi Storia della critica d'arte, Einaudi, Torino, 1966, p. 270)
  7. Titolo di una lettera aperta al presidente francese, in cui denunciava il comportamento dell'esercito francese nell'affare Dreyfus. Pubblicata sul giornale L'Aurore il 13 gennaio 1898.
  8. La science a-t-elle promis le bonheur? Je ne le crois pas. Elle a promis la vérité, et la question est de savoir si l'on fera jamais du bonheur avec de la vérité. (da Discours à l'Assemblée générale des étudiants de Paris, 18 maggio 1893, in Œuvres complètes, ed. François Bernouard, 1927, vol. 50, p. 288)
  9. Da M. Scheurer-Kestner, Le Figaro, 25 novembre 1897, p. 1.
  10. a b Citato in Elena Spagnol, Enciclopedia delle citazioni, Garzanti, Milano, 2009. ISBN 9788811504894.
  11. Da Io accuso, traduzione di Alessandro Mola, Garzanti, Milano, 2019. ISBN 9788811813651
  12. Da L'amour des bêtes, Le Figaro, 24 marzo 1896; citato in Matthieu Ricard, Sei un animale!, traduzione di Sergio Orrao, Sperling & Kupfer, Milano, 2016, pp. 299-300. ISBN 978-88-200-6028-2
  13. Paul Cézanne may have had the genius of a great painter, but he never had the persistence to become one. (citato in Christopher Cerf and Victor Navasky, The Experts Speak, Villard, New York, 1998, p. 203. ISBN 0-679-77806-3)
  14. Da Viaggio a Lourdes, Medusa, Milano, 2010, p. 42.
  15. Da Le Figaro, 1881; citato inilpost.it, 13 febbraio 2018.
  16. Da Mes haines.
  17. Citato in Lanfranco Binni, introduzione a Émile Zola, L'Assommoir, 2018, p. XXV.
  18. Scipio Sighele. Letteratura tragica: I delinquenti nei romanzi di Emilio Zola; pp. 145-194. Milano. Treves, 1906. [N.d.A.]

Bibliografia[modifica]

  • Émile Zola, Germinale (Germinal, 1885), traduzione di Camillo Sbarbaro, con un saggio di Francesco De Sanctis, Einaudi, Torino, 1951. ISBN 8806135309
  • Émile Zola, Germinal, traduzione di L. G. Tenconi, Fabbri Editori, 2001.
  • Émile Zola, Il sogno, Casa Editrice Bietti, Milano, 1949.
  • Émile Zola, Il sogno, traduzione di Maria Azzi Grimaldi, Rusconi Editore, 1987.
  • Émile Zola, Il ventre di Parigi, traduzione di Maria Teresa Nessi, Garzanti.
  • Émile Zola, La fortuna dei Rougon, traduzione di Sebastiano Timpanaro, Garzanti.
  • Émile Zola, L'ammazzatoio (L'assommoir), traduzione di Luisa Collodi, Newton Compton editori, Roma 1995.
  • Émile Zola, L'Assommoir, traduzione di Ettore Venzi, Gherardo Casini Editore.
  • Émile Zola, Nuove storielle a Ninetta, traduzione di Raffaello Barbiera, Milano, Treves, stampa 1922.
  • Émile Zola, Teresa Raquin, traduzione di Luigi Martin, Fabbri Editori.

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Opere[modifica]