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Ciro Trabalza

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Ciro Trabalza (1871 – 1936), grammatico e critico letterario italiano.

Citazioni di Ciro Trabalza

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  • In tanta fioritura di studi critici, che par abbiano interamente assorbito il pensiero moderno, desta sorpresa il veder lasciata in un quasi completo abbandono la nuova poesia latina, che, rinata con l'umanesimo e coltivata, si può dir senza interruzione, fino ai nostri giorni, non è l'ultima gemma onde s'adorni il genio italico, e che dal Pontano, dal Poliziano e dal Sannazzaro al Grosso, al Vitrioli, al Pascoli, vanta poderosi e geniali cultori. Ed è uno spettacolo ben triste quello a cui noi tutti i giorni assistiamo di sciaurati che mai non fur vivi[1] richiamati a galla dal fiume dell'oblio, nel cui letto, a loro e a nostra pace, sarebbero pur tanto bene restassero adagiati, mentre invece, senza onor di gloria e di fiori, riposano nel cimitero della nostra letteratura poeti veramente ispirati e degni certo di culto e di ricordo. Ma tant'è! scrissero in latino; chi li capisce più? È già troppo se non si è dato lo sfratto a Cicerone e a Virgilio, come si sta per fare con Demostene e con Omero. Eppure, i più bei fiori del rinato latino, chi lo crederebbe? non son tanto sbocciati sui germogli dell'umanesimo, quanto sui nuovi getti del risorto volgare.[2]

Studi sul Boccaccio

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  • È ben noto il danno che la rettorica formalistica ha arrecato alle nostre scuole; ma più è strana l'inutilità del continuo protestar che s'è fatto e si fa contro di essa da parte di sommi scrittori e di critici ben autorevoli. Le categorie rettoriche seguitano con audace persistenza a tramandarsi d'anno in anno più o meno ammodernate ne' manuali scolastici alle nuove generazioni, rimanendo in molte scuole di composizione italiana il maggior fondamento dell'insegnamento. È fenomeno degno certo di studio e tale da far pensare alla necessità d'una salutare reazione. (Parte prima, L'insegnamento della stilistica, p. 5)
  • Composto, come dovevasi da chi identificava la mitologia con la poesia e questa con la teologia, e il volgare, pur accettato per necessità pratiche, se non proprio disprezzato, sottoponeva al latino, composto, dico, senza intendimenti né eruditi né letterari, il Decameron non parve mai un'opera d'arte all'autor suo, che, difesolo dapprima contro gli attacchi violenti tutt'altro che di critica onde, tra le molte approvazioni, era stato colpito, finì, non veramente col bruciarlo nella meditata distruzione di tutte le sue composizioni italiane, ma certo col lasciarlo abbandonato d'ogni cura paterna e persino con lo sconsigliarne la lettura alle caste famiglie. (Parte seconda, Contributi alla storia della critica, pp. 59-60)
  • Il Boccaccio [nella sua La vita di Dante] vede in Dante un uomo straordinario per la grandezza dell'ingegno e per la smisurata dottrina acquisita con lunghi, pazienti, profondi studi, per l'altissimo valore poetico; un eroe degno d'una statua monumentale per la glorificazione che fece di Firenze, della sua ingrata patria; un eroe che sarebbe in terra divenuto un Iddio, se quant'ebbe impedimenti avesse avuto favori, se quant'ebbe impedimenti avesse avuto agevolezze.(Parte terza, Studi boccacceschi, p. 164)

Bibliografia

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Note

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  1. Inferno, canto III.
  2. Da Studi e profili, Ditta G. B. Paravia e Comp., Torino-Roma-Milano-Firenze-Napoli, 1903, Studi, cap. III, pp. 34-35.

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