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Corrado Ricci

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Corrado Ricci in un ritratto del 1913

Corrado Ricci (1858 – 1934), archeologo e storico dell'arte italiano.

Citazioni di Corrado Ricci

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  • [Bartolomeo Schedoni] Dipinse spesso con violenza di chiari e d'ombre e con tinte nelle carni troppo rosse. Il suo tempo l'ammirò su tutti quasi i pittori e il suo stile fu chiamata dal cav. Marino[1] e dal Padre Resta[2] "tremendo". (da La R. Galleria di Parma, sala IV, p. 59)
  • [Bartolomeo Schedoni] La sua pittura è forse troppo decorativa. Non è possibile però negargli forte ingegno, bravura e rapidità d'esecuzione. (da La R. Galleria di Parma, sala IV, p. 59)
  • I poeti hanno amato e cantato per lo più donne pallide e dai capelli biondi; anzi fra tutti gli spietati imitatori del Petrarca, se non mai, certo difficilmente si ritrova chi abbia messo nello sbiadito lusso delle sestine, delle canzoni e dei sonetti a frasi bell'e fatte, una fanciulla che non avesse
    ... i capei d'oro alla'aura sparsi.[3] (da Note storiche e letterarie, I colori, p. 6)
  • [...] le note soavi dei cantori e le parole eloquenti degli oratori sono dileguate, brevemente echeggiando, sotto le vôlte dei teatri, delle chiese, delle sale.
    Chi ricorda, ad esempio, il nome di Maria Maddalena Musi, la quale fu pure la più celebre prima donna fiorita in Italia fra il 1690 e il 1710? [...].
    E perché era detta la Mignatta? Dissanguava ella forse soltanto gl'impresari o anche gli ammiratori?[4]

Architettura barocca in Italia

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Le facoltà emotive dell'anima umana sono varie, e l'arte le indaga per soddisfare a tutte. Però avviene che, in tempi diversi, uno o più sentimenti prevalgono sugli altri, e allora l'arte prende l'indirizzo che più vale ad appagarli. Quando nella Rinascenza[5] la coltura e, può dirsi, la vita tornano all'antico, l'arte torna a quella bellezza corretta e composta che suol dirsi classica; quando, durante il romanticismo, l'anima diventa malinconica sino al punto d'accarezzare il proprio dolore, l'arte diventa triste, come soffusa di una dolce mestizia. Così è stata, a volta a volta, tragica, lieta, pomposa. E pomposa fu l'arte quando la società sentì su tutto il bisogno che soddisfacesse alla sua facoltà "di maravigliarsi".
"La maraviglia" ecco il sentimento prevalente cui corrispose il barocco. Lo confessò lo stesso cav. Marino, che fu del barocco il poeta per eccellenza,
È del poeta il fin la maraviglia. | Chi non sa far stupir vada alla striglia.

Citazioni

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  • Le accuse di falsità e di pazzia date al barocco oggi vanno ripudiate. Esse nacquero nel momento in cui il sovrabbondante, ma poderoso stile, durato più che due secoli, venne a nausea. Riconosciamo esser appunto la stanchezza delle forme troppo usate la benefica causa per cui nel campo delle arti belle le società camminano e, cercando nuovi aspetti, ci danno nuove felicità; ma, passato il momento della reazione, anzi dell'odio, la critica e la storia debbono riprendere la loro misura e la loro missione di giustizia. (p. VIII)
  • Certo Michelangelo e Vignola avevano dato in Roma aspetto di conforme grandiosità alle loro architetture, ma l'assetto, per così dire, scenografico e prospettico delle parti oggi più mirabili della città fu opera del Bernini e de' suoi seguaci. (p. IX)
  • [Dopo aver elencato alcune chiese barocche a pianta centrale] Ma chi fece, secondo noi, nel seicento la più bella chiesa del genere fu Baldassarre Longhena con S. Maria della Salute a Venezia. Risalendo in gondola il Canal Grande dell'Accademia verso levante, ad ogni tratto che si compie, una curva si scopre o si nasconde, un mensolone si palesa o si cela tortuoso; e questo muoversi di forme e conseguentemente di ombre e di luci, unito col palpito perenne dell'acqua, dà una meravigliosa vita al monumento, che solo un gramo accademismo poteva chiamare "miracolo d'arbitrii" quasiché il cammino dell'arte non fosse spesso il cammino ... degli arbitrii! (p. X)
  • L'arte dello stucco risale in Italia agli Etruschi e ai Romani, i quali com'è noto lasciarono di essa mirabili saggi. Non l'abbandonò il medio evo come si vede a Ravenna e a Cividale del Friuli; la riprese il Rinascimento; la rinvigorì il cinquecento; ma chi l'esaltò, portandola al suo completo sviluppo, fu il seicento. (p. XI)
  • Pei barocchi ebbe importanza pari alla statuaria: nessuno dei grandi artisti credé d'umiliarsi passando, dal marmo e dal bronzo, allo stucco. Si compiacquero di lavorare lo stucco Alessandro Vittoria, Gian Lorenzo Bernini, Ercole Ferrata, Antonio Raggi, Camillo Rusconi, Giacomo Serpotta, Antonio Calegari. Lo stucco non indusse mai ad abbandonare lo splendore del marmo e il bruno vigore del bronzo, ma valse a sopprimere la terracotta così nelle statue come negli ornamenti. (p. XI)
  • Come molti confondono il vero barocco con l'arte di Michelangelo e degli epigoni della Rinascenza, solo perché il barocco vi attinge forme ed idee, così molti confondono il barocco col "rococò" in cui il solido, il possente, l'ampolloso si trasformano nel leggiero, nell'aggraziato, nel mingherlino. (p. XIV)
  • [...] il rococò scese man mano dall'Italia superiore alla meridionale, cominciando dal Piemonte e dalla Lombardia. Roma resistette ancora. La grande tradizione non amava forme grame, anche se leggiadre, e corrispondenti a un sentimento di grazia, là non sentito o non spontaneo. Il barocco invece vi aveva trionfato perché aveva cantato all'unisono con la voce di Roma antica! (p. XIV)

L'architettura del Cinquecento in Italia

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Citazioni

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  • Genova passa da un suo caratteristico medioevo al Rinascimento mercé una folla di scultori-architetti discesi dai laghi lombardi e in ispece dalla valle d'Antelamo. Ma poi, con moto inverso e ascensionale, altri vanno a Genova dalla Toscana e tra di loro l'errabondo Giovanni Agnolo da Montorsoli che vi costruisce il magnifico palazzo Doria a Fassolo, e trasforma l'interno di S. Matteo, e Perin del Vaga che vi dissemina le sue incantevoli decorazioni. (p. XIX)
  • Il tempietto di S. Pietro in Montorio è il primo a pianta centrale romanamente completo nell'icnografia, nella scelta d'un ordine architettonico, nelle membrature; ma l'amore agli edifici centrali con cupola s'era già manifestato prima, onde sono parecchi i dipinti del sec. XV nel cui fondo domina uno d'essi. (p. 7)
  • [...] l'architettura del cinquecento si presenta tosto con maggiore effetto delle masse (ad ottenere il quale abbandona sempre più gli ornamenti scultorici e pittorici) con maggiore semplicità e solidità, con più sicura armonia e chiarezza. Il particolare non attrae più, perché attrae l'insieme; le membra dell'edificio diminuiscono di numero, ma crescono di vigoria, e gli spazi con la loro calma contribuiscono alla grandiosità. (pp. 7-8)
  • Quale fosse il successo del piccolo edificio [il tempietto di S. Pietro in Montorio] non è a dire; non solo lo guardarono con sorpresa gli architetti, ma infiniti pittori lo riprodussero nel fondo dei loro dipinti. E la fama del Bramante, non sorta col chiostro della Pace[6], si delineò con esso e anche la sua fortuna e la sua autorità presso il grande Giulio II. (p. 8)
  • Il sovrabbondare delle storie della pittura e della scoltura, su quelle dell'architettura, è stato, ed è forse ancora, cagione d'ingiustizia sull'apprezzamento del valore d'alcuni artisti. La critica, infatti, s'è più spesso abbandonata a dir male del Vasari come pittore e dell'Ammannati come scultore, che a dir bene dell'uno e dell'altro come architetti. È così avvenuto per Giulio Pippi detto Giulio Romano (1492–1546) che a me veramente sembra un grande architetto, e sino a un certo punto, rispetto a singolari forme compatte, solide, piene d'espressione, che poi piacquero al Vignola e a Michelangelo, e a certi aspetti dello stile rustico, anche un precursore. (p. 9)
  • [...] il Vignola, pur onorando, come tutti i suoi contemporanei, l'antico Vitruvio, fu ben lungi dall'essere un arido e metodico vitruviano. Nelle sue infinite opere egli si mostra artista versatile, di vigorosa fantasia, che riesce a tenersi fuori dalla prepotente influenza michelangiolesca e a creare opere originali, come il palazzo Farnese di Caprarola e la chiesa del Gesù a Roma. (p. 13)

Roma (visioni e figure)

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  • [Palazzo Venezia] L'insieme del Palazzo, all'esterno, quantunque sparso delle grazie del Rinascimento, è ancora medioevale. La porta, gemmata come un'opera d'oreficeria, che guarda a levante; l'altra, volta a nord, esilmente classicheggiante nelle colonne scanalate, nei capitelli corinzi e nel timpano; le finestre, infine, a croce guelfa o inanellate di marmo, non bastano a togliere al suo aspetto quel che di arcigno e di guerriero che gli procurano la massa imponente, i modiglioni[7], i merli, la torre. E ben più arcigno e guerriero parrebbe se, anziché una sola torre, ne avesse quattro (una per ogni angolo) com'era nel primo concetto. (Il Palazzo di Venezia, p. 15)
  • [Palazzo Venezia] Ma dall'aspetto esterno è grandemente diverso l'interno. In questo Pietro Barbo (prima Cardinale di Venezia, poi papa col nome di Paolo II) volle le grazie e l'amenità della più serena rinascenza; volle l'aerea libertà delle loggie e dei giardini animati di fiori, di fonti e di statue che il non avaro terreno di Roma donava a chi, anche per poco, lo rimoveva. Raccoglitore appassionato, egli desiderò negli appartamenti ricchezza di libri miniati, di oreficerie, di maioliche, di stoffe, di pitture, di dorature; ad ogni porta leggiadria di ornamenti marmorei; e in ogni vólta o soffitto una lieta costellazione d'imprese araldiche. Così nel grandioso palazzo l'intimità fu gioconda, come l'esteriorità severa, proprio come certi uomini pubblici che, dal loro ufficio condotti a severità, quando rientrano in famiglia s'abbandonano all'espansione dei più teneri sentimenti. (Il Palazzo di Venezia, p. 16)
  • Giuseppe Sacconi ebbe, insieme al senso della bellezza e del grandioso, quello della semplicità. Spirito equilibrato, armonico, sicuro, come gli antichi, non sacrificò mai l'effetto della mole a quello dei particolari, né l' amore e la cura dei particolari lo distolsero dalla visione complessa della mole. Delle arti sussidiarie all'architettura si valse con sobrietà; non troppi ornamenti, ma i necessari. (Sacconi e "il Monumento", p. 137)
  • [Giuseppe Sacconi] Non cercò il successo in stravaganze nuove; non adattò il suo gusto a forme esotiche, né antiche, né moderne. L'anima dell'arte italica, dai suoi primi tentativi ai suoi trionfi, gli si palesò intera, ed egli ne riconobbe il sentimento, indagandolo, così negli ipogei etruschi, come nei fori romani, nei templi, nei palazzi, nelle ville; così della leggiadra rinascenza come del rigoglioso barocco. (Sacconi e "il Monumento", p. 137)
  • [...] Sacconi l'amava quella grande opera sua [il Monumento nazionale a Vittorio Emanuele II], e non perdendo mai di vista le proporzioni richieste dalla grandezza e dall'orizzonte di Roma, e del soggetto, ne accarezzava le più piccole parti, riguardandole come un gioielliere guarda le pietre preziose, dagli stipiti snelli delle porte, ai fregi severi delle finestre, dalle policromie armoniose dei corridori alle classiche basi delle colonne onorarie. (Sacconi e "il Monumento", p. 142)

Note

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  1. Giovan Battista Marino (1569–1625), poeta e scrittore italiano.
  2. Sebastiano Resta (1635−1696), studioso, collezionista d'arte e presbitero italiano.
  3. Petrarca, In vita di M. L., sonetto LXI. [N.d.A., p. 6]
  4. Da Figure e figuri del mondo teatrale, Fratelli Treves Editori, Milano, 1920, cap. IV, pp. 91-92.
  5. Rinascimento.
  6. Chiostro della chiesa di Santa Maria della Pace nel rione Ponte di Roma.
  7. In architettura, mensole scolpite a sostegno dei cornicioni degli edifici.

Bibliografia

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Altri progetti

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