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Costanza Rizzacasa d'Orsogna

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Costanza Rizzacasa d'Orsogna nel 2020

Costanza Rizzacasa d'Orsogna (1973 – vivente), giornalista, scrittrice e saggista italiana.

Intervista di Simonetta Scandivasci, ilfoglio.it, 4 ottobre 2020.

  • [Sul suo libro Non superare le dosi consigliate] Non avevo in mente di fare un libro sul body shaming. Mentre lo scrivevo, però, successe che fui insultata in modo molto violento mentre ero dal parrucchiere. Mi capitava spesso e dappertutto, ma quella volta decisi di reagire. E lo raccontai su Twitter. Se ne parlò così tanto che il mio giornale, il Corriere, mi chiese di farci un pezzo, e valutai a lungo con il mio editore se fosse il caso di farlo, proprio perché temevo che avrebbe inscatolato il romanzo quando sarebbe uscito e che tutti avrebbero pensato che si trattava di una storia che parlava di me e del mio corpo. Decidemmo di rischiare e pubblicai l'articolo. Dopotutto eravamo forti del fatto che il libro era un'altra cosa, raccontava un'altra storia. Invece, aver raccontato quell'episodio accese su di me una luce che è stata poi usata per leggere anche il libro. Da me ci si aspettava un libro completamente autobiografico sull'obesità, e in questo, da molti, è stato trasformato il romanzo. 
  • [E poi sei diventata Matilde, la protagonista del libro.] A lei ho prestato la mia infanzia, il mio peso, mia madre. Ma è Matilde, non Costanza. Ricordo che scrissi le prime settanta pagine in pochissimi giorni, di getto, tirai fuori tutto quello di cui mi ero sempre vergognata e di cui avevo avuto paura, me ne liberai e lo consegnai a quella storia, facendomene narratrice e testimone. Mandai i primi capitoli all’editore, che ne fu entusiasta e mi chiese di consegnare tutto il resto del libro prima della data che avevamo pattuito originariamente. E questo naturalmente mi bloccò per mesi. Poi ricominciai e fu difficilissimo staccarmi da me e dalla mia storia, ma capii che era essenziale. Che non tutto quello che mi riguardava e che mi era successo aveva un valore anche per gli altri. E feci di Matilde un personaggio afflitto da un tema che mi affascina da sempre e che ho ritrovato nella mia scrittrice preferita, Toni Morrison: l'automutilazione. 
  • [Come mai la protagonista del tuo libro si chiama Matilde?] Per Matilde Serao. Che era stata una bambina grossa, svogliata, ed è poi diventata una scrittrice che ho amato e amo particolarmente e che volevo omaggiare, che ho sempre ammirato per non essersi mai nascosta. Io per metà della mia vita sono stata ossessionata da come apparivo. Mi invitavano in televisione come capita a tutti i giornalisti e anziché concentrarmi su quello che dovevo dire, pensavo a cosa avrebbero pensato guardandomi. Soffrivo enormemente. Una volta ero ospite di una trasmissione domenicale e mi sentivo così in soggezione, anche perché urlavano tutti, che alzai la mano e chiesi di poter uscire dallo studio. Prima mi dissero che non potevo chiedere la parola per alzata di mano, poi mi lasciarono andare.

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