Crescenzio Sepe

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Crescenzio Sepe

Crescenzio Sepe (1943 – vivente), cardinale italiano.

Citazioni di Crescenzio Sepe[modifica]

Il Sangue e la Speranza[modifica]

  • Passa lu tempo e lu munno s'avota, l'ammore vero, no, nun vota vico. Così scriveva Salvatore Di Giacomo in una sua nota canzone, che mia madre canticchiava quando ero bambino. Era de maggio, il mese in cui il sole riscalda l'aria e il profumo della primavera è più intenso, quando io, ragazzo di provincia, venivo a Napoli attratto, come tutti i giovani, dalla grandezza della metropoli e, soprattutto, da una città unica, direi esagerata nella sua bellezza e nelle sue manifestazioni, nel bene e nel male.
    Terra di passione, che porti addosso anche se lontano per anni, Napoli ha continuato a vivere dentro di me con le sue canzoni, le sue poesie, la sua gente, i suoi colori che, stampati nella memoria, restano lì a evocare ricordi.
    Il rosso pompeiano dei palazzi, della luna nelle notti d'incanto, il rosso del sole, dei peperoncini forti, della pizza e dei pomodori, di una saporita mela annurca, il rosso delle calze e della maniche di Pulcinella, del cippo di Sant'Antuono, tutto rimanda al rosso della passione, dell'amore per la propria terra, al rosso del martirio, del manto e del sangue di San Gennaro, che protegge questa nostra città. L'azzurro del suo cielo e del suo mare che, proprio quando si avvicina la tempesta, si tinge di verde, il colore della speranza che non ha mai abbandonato il cuore dei napoletani, di chi davvero ama questa città. (da Una città d’amore, una città da amare, pp. 5-6)
  • L'ammore vero nun vota vico..., l'amore vero, l'amore cristiano, l'amore per i propri fratelli, per le proprie radici, non muta, non cambia mai strada. Ed è con questo amore che sono tornato, come padre e pastore, in questa terra di sangue e di speranza per impegnarmi a restituire dignità al nostro popolo dal grande cuore che, più volte deprivato della libertà nella sua storia martoriata, ha sempre saputo associare al dolore la speranza.
    Lassamme fa a Dio[2]: è l'invocazione più sincera del popolo napoletano che, nel suo proverbiale "tirare a campare", non esprime rassegnazione, ma il coraggio della fede di chi sa che ad ogni giorno basta la sua pena, di chi non ha vergogna di parlare a tu per tu con la Madonna e con San Gennaro. (da Una città d’amore, una città da amare, p. 6)
  • So che il sentire religioso della nostra gente viene spesso, e a torto, etichettato come colorito folclore, nel quale leggenda e magia, sacro e profano, si fondono nella nostra storia millenaria che, all’occhio del freddo secolarismo, appare incapace di distinguere la superstizione dalla fede. È vero che tanta superstizione s’insinua ancora nell’autentico messaggio cristiano, ma credo che non bisogna confondere la superstizione con la pietà popolare. Questo popolo che, sin dalla prima liquefazione del sangue, ha assunto San Gennaro come protettore della sua città, sa cogliere, nella manifestazione del prodigio, il significato profondo della fede: la speranza della resurrezione. È un mistero inesprimibile che, per essere pensato, necessita di simboli capaci di rappresentare il legame tra il dolore e il riscatto. Il sangue prodigiosamente tornato in vita è un segno che rimanda all'immortalità dell'anima, alla vita oltre la morte, alla risurrezione della carne. (da ''Un sentire altro'', p. 7)
  • [...] è proprio dei napoletani saper godere con quelli che godono e piangere con quelli che piangono (

Cfr. Rm 12,15), instaurando quelle profonde e sincere relazioni d'amicizia e di rispetto, capaci di trasformare il mondo. Se è vero, come diceva Agostino d'Ippona, che "nulla è caro all'uomo senza un amico", allora il fatto che a Napoli l'amicizia è sacra, è già un segno di speranza, una traccia che lascia intravedere la concreta possibilità di fare nuove tutte le cose. (da Testimoniare la speranza, pp. 12-13)

  • Eppure il martire non è solo colui che compie gesta straordinarie, ma in un certo senso, è anche colui che per amore della sua fede, sa rendere straordinario l'ordinario.
    Napoli non è solo urbs sanguinum, la città dei sangui, per l'incredibile numero di ampolle e fiale, contenenti il sangue di santi e beati, ma è anche la città dei testimoni-martiri, della gente comune che, nella quotidianità della vita, vive per la verità e per l'amore. Si tratta di "testimoni" che rendono "sanguigna" la Città di Dio e la città degli uomini. (da Il sangue dei martiri, p. 14)
  • Decise nell'affrontare le strutture dell'ingiustizia per far valere i diritti dei loro figli, le madri napoletane non solo sanno proteggere i propri ragazzi, come tutte le madri, ma sanno difendere la libertà di questa terra, trasmettendo di generazione in generazione quei valori etici universali e immutabili che fanno di ogni uomo un vero uomo. Sempre presenti, sanno asciugare le lacrime dei figli, ma sanno essere obiettive e severe quando un figlio tradisce il senso della famiglia. Quando diciamo mamma, diciamo porto sicuro, ma anche legge. Quando un tempo cambiavano i signori che governavano la nostra città, quando lo stato era assente, chi davvero regnava e custodiva gelosamente le tradizioni, i costumi, gli usi che sono arrivati sino a noi, erano, allora come oggi, le madri. (da Il sangue dei martiri, pp. 14-15)
  • Il seme della speranza è forse il più piccolo, ma può dar vita ad un albero rigoglioso e portare molti frutti se avremo il coraggio di affrontare le paure che minacciano la nostra città, se avremo la forza di uscire da ogni sorta di omertà e, solidali l'uno con l'altro, saremo in grado di organizzare nuove strutture e nuove forme di carità per risollevare chi è solo, chi è nel bisogno materiale e spirituale. Senza indulgere al lamento o al vittimismo, senza aspettare che altri prendano a cuore le sorti del meridione, senza aggrapparci al puro assistenzialismo, è giunto il tempo in cui i napoletani si riapproprino della loro terra, rilanciando la politica come servizio alla città, come scuola di legalità, come centro di osservazione delle questioni sociali più spinose. Noi abbiamo le energie per farlo! (da I luoghi della speranza, pp. 19-20)

Bibliografia[modifica]

Note[modifica]

  1. In occasione della visita di papa Benedetto XVI a Napoli il 21 ottobre 2007; citato nel TG5 delle 20.00 del 21 ottobre 2007.
  2. Lasciamo fare a Dio.

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