Curzia Ferrari
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Curzia Ferrari (1929 – vivente), poetessa, giornalista e scrittrice italiana.
Citazioni di Curzia Ferrari
[modifica]- Accade a volte che, malgrado le debite cerimonie, il "grande sole" non accompagni molto volentieri gli ampezzani durante l'arco estivo e faccia le bizze scomparendo addirittura per intere settimane. Allora i vecchi dànno la colpa agli spiriti maligni scappati dalle mani dei vescovi durante il Concilio di Trento.[1]
- [Su Esenin] Anche il suo abbigliamento, le sue abitudini e il suo modo di comportarsi denotavano l'aspirazione a trasformare un'esistenza assurda e scapigliata in favola popolare, nel vascello contadino di Cristo.[2]
- C'erano poeti, allora, che erano cavalli da tiro come Majakovskij. Esenin sembrava un angelo caduto sulla terra per caso, a parte il carattere che forse di angelo non era e fu notevolmente peggiorato dal contatto con la città. Aveva il passo leggero, sapeva danzare con grazia – alla russa – la sua timidezza nascondeva una grande voracità di gloria, era volubile, ingenuo, istintivo, malinconico, depresso, elegante, bello – anzi bellissimo. Slanciato, profilo gentile, gli occhi di un azzurro intenso, e i capelli d'oro a boccoli. Da piccolo, lo vestivano da bambina.[2]
- [Su Esenin] Dal 1880 al 1893 avevano visto la luce Aleksandr Blok, Andrej Belyj, Velimir Chlebnikov, Nikolaj Gumilëv, Vladislav Chodasevič, Nikolaj Kljuev, Igor Severjanin, Anna Achmatova, Boris Pasternak, Osip Mandel'stam, Marina Cvetaeva, Majakovskij... un firmamento poetico affollato di stelle dove non sarebbe stato facile brillare.
[...] egli era però il solo che provenisse dalla campagna – gli altri erano figli di professori universitari, di ingegneri, di commercianti, di militari, vivevano nelle città e molti di essi avevano viaggiato per l'Europa. Era il solo che avesse assimilato le usanze, i costumi, le tribolazioni trascendentali del popolo russo, indissolubilmente legate a un sentimento di adorazione e rassegnazione religiose.[2] - [I vescovi] Decisero di liquidare gli spriti maligni ficcandoli dentro le bottiglie vuote che avevano messe sotto gli scanni, e di incerarle, dopo averle ben tappate, così che non se ne parlasse più. Ma qualche spirito dannatissimo cominciò a strusciarsi contro il vetro rabbiosamente, e struscia e struscia gli riuscì di scappare. Così è tornato per le valli e ogni tanto compie qualche triste impresa come quella appunto di guastare la primavera o l'estate.[1]
- [Su Esenin] È al periodo passato in collegio che egli deve la conoscenza dei testi sacri e dei classici e quel forsennato amore per il leggere che caratterizzò tutta la sua vita. [...] Aveva le tasche gonfie di versi.[2]
- [Su Esenin] Egli era posseduto da un delirio d'amore per le stagioni antiche dell'animismo messianico; nessuno aveva mai lodato come lui la vita della campagna. E quel vento malandrino che solleva la veste alle betulle, la luna che abbandona le briglie come un cavaliere malinconico [...], quanta verità svelavano nella loro straordinaria invenzione immaginifica.[2]
- Ejzenstein in un suo spettacolo, lo aveva rappresentato con un costume diviso in due parti: mezzo pastorello in camicia con brachesse e stivali, e mezzo damerino in abito da sera, tal quale egli si descrive nel poema L'uomo nero. Da una parte le radici e il rimpianto, dall'altra il frequentatore di night-club e teatri, il mettiscandali internazionale. Può apparire un'interpretazione superficiale per un poeta che scrisse sempre in limine mortis; ma è una bipolarità che, a grandi linee, ribadisce il tanto discusso dissesto dell'io eseniano.[2]
- [Su Esenin] Era convinto che la fedeltà ai riti antichi avrebbe conservato alla Russia la sua tradizionale santità. [...] Estero era per lui l'urbanesimo, il funzionalismo, la città ferrigna, la morte dell'anima, era tutto ciò che Majakovskij e i cubofuturisti amavano e desideravano si avverasse in Russia.[2]
- Il Concilio di Trento fu indetto apposta per liberare le valli dalle streghe, dai maghi e insomma dagli esseri dannati che le infestavano. E siccome fu una faccenda lunga i vescovi dovettero mangiare e bere in abbondanza, sostenere la fatica di tutte quelle discussioni con ottimo vino di bottiglia.[1]
- [Su Esenin] Il demone del canto lo aveva afferrato da giovanissimo, lo teneva in pugno e lo scrollava come un albero.[2]
- Il russo è incline a sopravvivere su posizioni metafisiche e non su quelle immanenti; il senso del miracolismo, che si manifesta in lui sotto forma di perenne attesa, è una specie di malattia cronica. L'anima dell'uomo occidentale, al suo confronto è corazzata e refrattaria. Esenin è l'esponente più fervido di questa alienazione.[2]
- Nel 1913 Esenin si era iscritto all'università intestata a Siniavskij. [...] Eremburg e altri sostengono che proprio in quell'ambiente Esenin abbia acquisito una solida conoscenza della letteratura mondiale tale da stupire, senza che ne rimanesse minimamente scalfito l'immaginifico mondo che covava dentro di sé.[2]
- [Su Esenin] Ricorda Viktor Šklovskij che quell'«arcangelo contadino» passato tragicamente attraverso la poesia russa, sembrava guardare sempre dietro un vetro oleato.[2]
- [Esenin] ripeteva spesso un verso di Puskin: «Dio mi ha condannato a morire sulla strada...».[2]
- Tinta d'oro come una pittura bizantina, la Russia di Esenin appartiene a uno schema del cuore che si prolunga oltre il fatto poetico, e per questo diventa mito.[2]
Citazioni su Curzia Ferrari
[modifica]- [Nel libro Meteorologia: nella scienza, nel folklore, nell'arte, con Edmondo Bernacca] Curzia Ferrari sunteggia una delle mille storie-leggende, tradizioni popolari ed esorcismi legati all'andamento climatologico. Folklore, insomma tradotto in spiccioli, nel corso del tempo, dall'uomo «primitivo» sino ai suoi antenati, noi, in una indissolubile unione tra superstizione e civiltà, tra ragione e paura dell'incomprensibile. (Carlo Gasparini)
Note
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