Don Camillo (romanzo)

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Don Camillo, romanzo a episodi del 1948 di Giovannino Guareschi.

  • [Peppone] Comparve davanti alla canonica e don Camillo, che, seduto sulla panchina vicino alla porta, stava fumando il suo mezzo toscano, lo guardò stupito. «Signor voi» disse Peppone con molta serietà «volete domandare al parroco se è disposto a ricevere il sindaco per affari di pubblica utilità?» (da L'arma segreta, in Tutto don Camillo, vol. 2)

Incipit[modifica]

Don Camillo era uno di quei tipi che non hanno peli sulla lingua e, la volta che in paese era successo un sudicio pasticcio nel quale erano immischiati vecchi possidenti e ragazze, don Camillo durante la messa aveva cominciato un discorsetto generico e ammodino, poi a un bel momento, scorgendo proprio in prima fila uno degli scostumati, gli erano scappati i cavalli e, interrotto il suo dire, aveva gettato un drappo sulla testa di Gesù crocifisso dell'altar maggiore perché non sentisse e, piantandosi i pugni sui fianchi, aveva finito il discorso a modo suo, e tanto era tonante la voce che usciva dalla bocca di quell'omaccione, e tanto grosse le diceva, che il soffitto della chiesetta tremava.

Citazioni[modifica]

  • "Cosa c'è" chiese la signora Cristina.
    "È successo un fatto" spiegò lo Spiccio.
    "Ci sono state le elezioni comunali e hanno vinto i rossi."
    "Brutta gente i rossi" commentò la signora Cristina.
    "Ma i rossi che abbiamo vinto siamo noi" continuò lo Spiccio.
    "Brutta gente lo stesso!" insisté la signora Cristina. "Nel 1901 quel cretino di tuo padre voleva che togliessi il Crocifisso dalla scuola."
  • "Bene. Dice il capo che veniate in divisa e con gli arnesi."
    "Gli arnesi?"
    "Si, la secchia e il pennello: c'è da benedire roba."
    Lo Smilzo parlava in questo modo a don Camillo appunto in quanto era lo Smilzo, uno cioè che, per la sua taglia speciale e per la sua sveltezza diabolica, in montagna poteva passare tra palla e palla senza scalfirsi. Così, quando il grosso libro lanciato da don Camillo arrivò nel punto dove c'era la testa dello Smilzo, lo Smilzo era già fuori della canonica e pigiava sui pedali della sua bicicletta.
  • Ma don Camillo ormai non si poteva calmare più e, se non gli fosse venuto un febbrone da elefante, Dio solo sa cosa avrebbe combinato don Camillo. E Dio, che appunto lo sapeva, gli mandò un febbrone da elefante, che lo appiccicò nel letto come uno straccio bagnato.
  • Vicino alla Madonna curva sul bambinello, pose la statuetta del somarello.
    "Questo è il figlio di Peppone, questa è la moglie di Peppone e questo è Peppone" disse don Camillo toccando per ultimo il somarello.
    "E questo è don Camillo!" esclamò Peppone prendendo la statuetta del bue e ponendola vicino al gruppo.
    "Bah! Fra bestie ci si comprende sempre" concluse don Camillo.
  • È un eterno ripetersi di vicende banali, vecchie come il cucco, ma alla fine, tirate le somme, quelli della Bassa finiscono sottoterra preciso come i letterati di città, con la differenza che che i letterati di città muoiono più arrabbiati di quelli di campagna, perché a quelli di città dispiace non solo di morire, ma di morire in modo banale, mentre a quelli di campagna dispiace semplicemente di non tirare più il fiato. La cultura è la più grande porcheria dell'universo perché ti amareggia, oltre alla vita, anche la morte.
  • [Dopo che Peppone ha dipinto la statua del Bambin Gesù per il Presepio] E fra mille anni la gente correrà a seimila chilometri l'ora su macchine a razzo superatomico e per cosa? Per arrivare in fondo all'anno e rimanere a bocca aperta davanti allo stesso bambinello di gesso che, una di queste sere, il compagno Peppone ha ripitturato col pennellino.

Bibliografia[modifica]

  • Giovannino Guareschi, Don Camillo, Biblioteca Universale Rizzoli.

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