Giovannino Guareschi

Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.
Giovannino Guareschi nel 1949

Giovannino Oliviero Giuseppe Guareschi (1908 – 1968), scrittore, giornalista, caricaturista e umorista italiano.

Per approfondire, vedi: Don Camillo (romanzo).

Citazioni di Giovannino Guareschi[modifica]

  • Chi lotta duramente per racimolare l'indispensabile, ha bisogno di evadere dalla sua miseria conquistando qualcosa di superfluo.[1]
  • Ho sempre disapprovato i ragazzi che si comportano da "veri uomini". Ho sempre considerato esperimenti negativi quelle mostruose comunità di ragazzi che si amministrano da soli, discutono di gravi problemi e sciupano la loro fanciullezza col solo risultato di avere, a quattordici anni, tutti i più importanti e turpi difetti degli uomini di quarantacinque.[2]
  • I dottori per guarirvi hanno bisogno di poco: pur che vi possano proibire qualcosa tutto va a posto. L'astuzia sta nel farsi proibire soltanto le cose cui si tiene di meno.[3]
  • Il «Premio Viareggio» è stato vinto da Aldo Palazzeschi, il quale però è stato costretto a dividere il milione con la scrittrice criptocomunista Elsa Morante.[4]
  • Nel segreto della cabina elettorale Dio ti vede, Stalin no.[5]
  • Non mi sono mai pentito di aver fatto domani quello che avrei potuto fare ieri o un mese prima. Spesso mi rattristo rileggendo le cose che ho fatto: ma in fondo non me ne cruccio mai soverchiamente perché posso dire, in piena coscienza, che mi sono sempre arrabattato per non farle. Sempre mi sono sforzato di rimandarle al domani.[6]
  • Per rimanere liberi bisogna, a un bel momento, prendere senza esitare la via della prigione.[7]

Chi sogna nuovi gerani?[modifica]

  • Farò milleduecento chilometri in bicicletta – comunicò a Ennia e, approfittando della magnifica mattinata del 10 luglio, inforco la bicicletta e parto. [...] A Fombio una donna matura e con due gran baffi, che pedala su una bicicletta da corsa, mi sghignazza in faccia. E questo mi secca perché io non ho sghignazzato vedendo una donna matura e con gran baffi pedalare su una bicicletta da corsa. [...] È triste ma deve essere proprio così: se il mio giovane fratello si mette i calzoncini corti, la gente dice: Ecco un giovanetto in tenuta sportiva. Se, invece, me li metto io, la gente urla: Ecco un uomo in mutande! (p. 193)
  • Io sono grato alla Provvidenza dei miei malanni: la sofferenza è un acido che avvelena i muscoli e le ossa, ma ripulisce l'anima e si vede tutto con altri occhi. (p. 220)
  • Le più grandi sciagure dell'umanità sono state originate da chi ha voluto semplificare la vita pianificando il mondo. (p. 221)
  • Molte definizioni sono state date dell'umorismo: per me la più giusta sembra quella dovuta a un illustre personaggio francese di cui non ricordo il nome: «Non esiste l'umorismo, esistono degli umoristi».
    Per me l'umorista è chi sa vedere oggi con l'occhio di domani. Questa mia definizione potrebbe trarre in inganno qualcuno e indurlo a credere che il motto dell'umorista si identifichi con uno dei più noti slogan correnti, quello che dice:
    «Fate che domani i nipoti non ridano di voi».
    Il motto dell'umorista è sostanzialmente diverso in quanto dice:
    «Fa' che domani tu non debba ridere di te stesso: ridi oggi». Domani è troppo tardi. (da Il lavoro dell'umorista, pp. 261-262)
  • Libertà è dovunque vive un uomo che si sente libero. Libertà significa coscienza della propria personalità e dei propri doveri: ciò non può piacere al vile che ha il terrore d'assumersi delle responsabilità e di agire in modo consono alla propria responsabilità. Libertà significa lotta, fede, sacrifici, fatica, studio, lavoro illuminato dall'intelligenza e da un fine: ciò non può piacere all'inetto. Libertà significa rispetto di sé, degli altri e delle leggi basilari che regolano il vivere secondo Dio e secondo la civiltà. Ciò non può piacere al vile che desidera soltanto sottrarsi al dominio della sua coscienza personale per adeguarsi alla coscienza collettiva. Amerai il prossimo tuo come te stesso: se questa è la legge, è dovere di ognuno amare se stesso. Non si deve disprezzare il dono meraviglioso che Dio ci ha dato: Egli ci ha dato una personalità e una coscienza alle quali non dovremo rinunciare. Sul letto di morte, ci troveremo soli a rispondere a Dio delle nostre azioni. (p. 489)
  • E così, io ti dico che, per distribuire la ricchezza, bisogna prima crearla. (p. 540)
  • Comunque, è sempre infinitamente più difficile essere semplici che essere complicati. (p. 622)
  • La verità spesso è così semplice ed elementare che appare incredibile.

Diario clandestino[modifica]

  • Io, anche in prigionia conservai la mia testardaggine di emiliano della Bassa: e così strinsi i denti e dissi: "Non muoio neanche se mi ammazzano!". (da Istruzioni per l'uso, prefazione)
  • Non abbiamo vissuto come i bruti. Non ci siamo rinchiusi nel nostro egoismo. La fame, la sporcizia, il freddo, le malattie, la disperata nostalgia delle nostre mamme e dei nostri figli, il cupo dolore per l'infelicità della nostra terra non ci hanno sconfitti. Non abbiamo dimenticato mai di essere uomini civili, uomini con un passato e un avvenire. (p. XII)
  • Perché bisogna anche tener conto dei Morti, nella vera democrazia. (p. XVII)
  • Entriamo nella Basilica, e ci troviamo in mezzo a una folla di donne e di bambini, davanti ad un altare che è tutto un racconto fiabesco di ori e di luci, mentre un organo suona. Dopo un mese di vita in ambienti dove ogni cosa trasuda sporcizia e disperazione, dove ogni parola è un urlo, ogni comando è una minaccia, trovarsi d'improvviso in quell'aria serena, in mezzo a quel barbaglio d'oro, a quella calda onda di musica!...
    Mi arresto perplesso sull'entrata, poi riprendo ad avanzare, e mi sembra d'essermi sfilato dal mio corpo coperto di stracci e d'averlo lasciato lì sulla porta, tanto mi sento leggero.
    La targa d'oro della nicchia sopra l'altare si alza lentamente, e appare l'immagine miracolosa che – così nera in mezzo a quello scintillìo – è ancora più misteriosa e ancora più affascinante.
    Si leva un canto dalla folla, e pare la voce stessa della Polonia: un dolore dignitoso di gente usa da secoli ad essere schiacciata e a risorgere. Di gente che viene uccisa sempre e che non muore mai.
    Quando la targa d'oro si riabbassa, suona una fanfara che ha note piene di passione disperata e turba profondamente. "La fanfara ha stonato parecchio, oggi, perché mancavano i migliori elementi", spiega la guida.
    Ed è così, ed erano soltanto stonature quelle note piene di passione disperata. D'accordo. Ma chi ci crede?
    Ogni cosa in Polonia, ogni gesto, ogni accento, parla della passione polacca. (p. 17)
  • Scrissi col lapis, sopra la punteggiatura, come vogliono appunto le convenzioni internazionali che tutelano il diritto delle genti: "Signora, robustizza pacco pentachìlo a 1/2 cedola all'uopàta evitando medicincarte et infiammabili. Pàccami lancorredo, sigartabacco e seccacastagne. Se però credi castagne ben cotte possano giovare al bambino, non inviarle. Non mi manca niente. Di una sola cosa ti prego: che la sera della vigilia di Natale tu imbandisca la tavola nel modo più lieto possibile. Fai schiodare la cassa delle stoviglie e quella della cristalleria; scegli la tovaglia migliore, quella nuovissima piena di ricami; accendi tutte le lampade. E prepara un grosso albero di Natale con tante candeline, e prepara con cura il presepe vicino alla finestra, come l'anno scorso. Signora, io ho bisogno che tu faccia questo. Il mio pensiero ogni notte varca il reticolato: lo so, ti riesce difficile figurarti il mio pensiero che varca il reticolato. Il pensiero è un soffio di niente e non ha volto: e allora figurati che io stesso, ogni notte, esca dal recinto. Figurati un Giovannino leggero come un sogno e trasparente come il vento delle serenissime e gelide notti invernali. Io, ogni notte, approfitto del sonno degli altri e mi affido all'aria e trasvolo rapido gli sconfinati silenzi di terre straniere e città sconosciute. Tutto è buio e triste sotto di me, e io affannosamente vado cercando luce e serenità. Rivedo la Madonnina del Duomo, ma le strade e le piazze non sono più quelle di un tempo, e stento a ritrovare il nostro quarto piano. Signora, non dire che sono il solito temerario se entro in casa dal tetto: anzi, loda la mia prudenza se non mi avventuro lungo le macerie della scala. E poi il tetto è scoperchiato e si fa più presto. Riconosco lo scheletro delle nostre stanze e ricerco i nostri ricordi nascosti sotto i rottami dei muri crollati. Tutto è buio, freddo e triste anche qui, e soltanto se la luna mi assiste riesco a scoprire sui brandelli delle tappezzerie che ancora pendono alle pareti, i riquadri chiari e la topografia dei nostri mobili. Per le strade deserte, cammina soltanto la paura vestita di luna. Su un brano di tappezzeria dell'ex-anticamera vedo un fiorellino. Uno strano fiore nero a cinque petali. Signora, rammenti quando Albertino decorò le nostre stanze con la piccola sciagurata mano intinta nell'inchiostro di China? Inutilmente vado a ricercare vestigia di giorni lieti fra le pareti dell'ufficio; le pareti non ci sono più, e il grande edificio è un cupo mucchio di cemento annerito dal fumo. Fuggo dalla città buia e silenziosa, e rivedo i luoghi dove, zitella, tu mi conoscesti zitello. Ma anche qui è squallida malinconia, e io mi rifugio alla fine nella casupola dove si accatastano i miei ultimi effetti e i miei primi affetti. Tu dormi, Albertino dorme, mia madre, mio padre dormono. Tutti dormono, e cercano forse di ritrovare in sogno il mio ignoto, lontano rifugio. I nostri mobili si affollano disordinatamente nelle esigue stanze immerse nell'ombra, e dentro le polverose casse del solaio le parole dei miei libri si sono gelate. Signora, io cerco un po' di luce, un po' di tiepida serenità, e invece non trovo che buio e freddo, e non posso ravvisare nel buio il volto di mio figlio, e sui laghi e sulle spiagge tutto è spento e abbandonato, tutto è silenzio, e io rinavigo verso il recinto e torno al mio pagliericcio portando il gelo nelle ossa del numero 6865. Signora, bisogna che, almeno la notte di Natale, il mio pensiero, fuggendo dal recinto, possa trovare un angolo tiepido e luminoso in cui sostare. Voglio tanta luce: voglio rivedere il vostro volto, voglio rivedere il volto dell'antica serenità. Altrimenti che gusto c'è a fare il prigioniero?" Qui ebbi la sensazione che le 24 righe stessero per finire, e mi interruppi. Le righe erano in effetti 138, e io avevo riempito le 24 mie, le 24 della risposta e altri cinque foglietti che stazionavano nei paraggi. Con estrema cura cancellai tutto e ricominciai da capo: "Signora, robustizza pacco pentachìlo a 1/2 cedola all'uopàta evitando medicincarte et infiammabili. Pàccami lancorredo, sigartabacco..." (pp. 31 a 34)
  • La poesia bisogna sentirla, non capirla. (p. 35)
  • Signora Germania, tu mi hai messo fra i reticolati, e fai la guardia perché io non esca. È inutile signora Germania: io non esco, ma entra chi vuole. Entrano i miei affetti, entrano i miei ricordi. E questo è niente ancora, signora Germania: perché entra anche il buon Dio e mi insegna tutte le cose proibite dai tuoi regolamenti. Signora Germania, tu frughi nel mio sacco e rovisti fra i trucioli del mio pagliericcio. È inutile, signora Germania: tu non puoi trovare niente, e invece lì sono nascosti documenti d'importanza essenziale. La pianta della mia casa, mille immagini del mio passato, il progetto del mio avvenire. E questo è ancora niente, signora Germania. Perché c'è anche una grande carta topografica al 25.000 nella quale è segnato, con estrema precisione, il punto in cui potrò ritrovare la fede nella giustizia divina. Signora Germania, tu ti inquieti con me, ma è inutile. Perché il giorno in cui, presa dall'ia farai baccano con qualcuna delle tue mille macchine e mi distenderai sulla terra, vedrai che dal mio corpo immobile si alzerà un altro me stesso, più bello del primo. E non potrai mettergli un piastrino al collo perché volerà via, oltre il reticolato, e chi s'è visto s'è visto. L'uomo è fatto così, signora Germania: di fuori è una faccenda molto facile da comandare, ma dentro ce n'è un altro e lo comanda soltanto il Padre Eterno. E questa è la fregatura per te, signora Germania. (pp. 45-46)
  • Le poche patate che danno "alla mano" ogni tre giorni, hanno ora dei lunghi germogli pallidi e molli come vermi. Dev'essere primavera. (p. 57)
  • A noi è concesso soltanto sognare. Sognare è la necessità più urgente perché la nostra vita è al di là del reticolato, e oltre il reticolato ci può portare solamente il sogno. Bisogna sognare: aggrapparsi alla realtà coi nostri sogni, per non dimenticarci d'esser vivi. Di queste inutili giornate fatte di grammi, di cicche o di miseria, la sola parte attiva, la sola parte vitale saranno i nostri sogni. Bisogna sognare: e, nel sogno, ritroveremo valori che avevamo dimenticato, scopriremo valori ignorati, ravviseremo gli errori del nostro passato e la fisionomia del nostro avvenire. Sediamoci fuori della baracca: proiettiamo le visioni del nostro desiderio sullo schermo del cielo libero e sogniamo (gli occhi bene aperti e la mente vigile) costruendo noi stessi la trama della vicenda immaginaria, soggettisti, registi, attori, operatori e spettatori del nostro sogno. (p. 58)
  • E quando un soldato italiano muore, il suo corpo rimane aggrappato alla terra, ma le stelle della sua giubba si staccano e salgono in cielo ad aumentare di due piccole gemme il firmamento. Per questo, forse, il nostro cielo è il più stellato del mondo. "Le stellette che noi portiamo" non rappresentano soltanto "la disciplina di noi soldà", ma rappresentano le sofferenze e i dolori miei, di mio padre, dei miei figli e dei miei fratelli. Per questo le amo come parte di me stesso, e con esse voglio ritornare alla mia terra e al mio cielo. (p. 92)
  • La verità non si insegna; bisogna scoprirla, conquistarla. Pensare, farsi una coscienza. Non cercare uno che pensi per voi, che vi insegni come dovete essere liberi. Qui si vedono gli effetti: dagli effetti risalire alle cause, individuare il male. Strapparsi dalla massa, dal pensiero collettivo, come una pietra dall'acciottolato, ritrovare in se stessi l'individuo, la coscienza personale. Impostare il problema morale. Domani, appena toccherete col piede la vostra terra troverete uno che vi insegnerà la verità, poi un secondo che vorrà insegnarvela, poi un quarto, un quinto che vorranno tutti insegnarvi la verità in termini diversi, spesso contrastanti. Bisogna prepararsi qui, "liberarsi" qui in prigiionia, per non rimanere prigionieri del primo che v'aspetta alla stazione, o del secondo o del terzo. Ma passare ogni parola loro al vaglio della propria coscienza e, dalle individuate falsità d'ognuno, scoprire la verità. (p. 159)
  • Sono ormai diciotto mesi che soffro la fame, ma ogni giorno sembra una cosa nuova. (p. 162)
  • Gli italiani – se ci si mettono di picca – non muoiono neanche se li ammazzano. (p. 181)

Don Camillo e i giovani d'oggi[modifica]

Incipit[modifica]

Il tallone d'Achille di Peppone si chiamava Michele e si trattava d'un ragazzaccio con mani grandi come badili e talmente zazzeruto da far pensare a quelle gaggìe che, capate di continuo, sono ridotte a grossi tronchi incappucciati da stupide palle di foglie. Viaggiava su un cànchero di motocicletta con borse ornate di borchie e di frange alla cowboy, e indossava un giubbotto nero sulla schiena del quale aveva fatto pitturare un candido teschio e la scritta "Veleno".

Citazioni[modifica]

  • Pochi istanti dopo s'udì partire a motore imballato la giardinetta della ragazza e don Camillo uscì dal confessionale e andò a sfogare col Cristo dell'altar maggiore la tristezza del suo animo:
    "Signore, se questi giovani che si prendono gioco delle cose più sacre sono la nuova generazione, che mai sarà della Vostra Chiesa?"
    "Don Camillo" rispose con voce pacata il Cristo "non ti lasciare suggestionare dal cinema e dai giornali. Non è vero che Dio ha bisogno degli uomini: sono gli uomini che hanno bisogno di Dio. La luce esiste anche in un mondo di ciechi. È stato detto 'hanno gli occhi e non vedono'; la luce non si spegne se gli occhi non la vedono."
    "Signore: perché quella ragazza si comporta così? Perché per ottenere una cosa che potrebbe facilmente avere soltanto se chiedesse, deve estorcerla, carpirla, rubarla, rapinarla?"
    "Perché, come tanti giovani, è dominata dalla paura d'essere giudicata una ragazza onesta. È la nuova ipocrisia: un tempo i disonesti tentavano disperatamente d'essere considerati onesti. Oggi gli onesti tentano disperatamente d'essere considerati disonesti."
    Don Camillo spalancò le braccia:
    "Signore, cos'è questo vento di pazzia? Non è forse che il cerchio sta per chiudersi e il mondo corre verso la sua rapida autodistruzione?"
    "Don Camillo, perché tanto pessimismo? Allora il mio sacrificio sarebbe stato inutile? La mia missione fra gli uomini sarebbe dunque fallita perché la malvagità degli uomini è più forte della bontà di Dio?"
    "No, Signore. Io intendevo soltanto dire che oggi la gente crede soltanto in ciò che vede e tocca. Ma esistono cose essenziali che non si vedono e non si toccano: amore, bontà, pietà, onestà, pudore, speranza. E fede. Cose senza le quali non si può vivere. Questa è l'autodistruzione di cui parlavo. L'uomo, mi pare, sta distruggendo tutto il suo patrimonio spirituale. L'unica vera ricchezza che, in migliaia di secoli, aveva accumulato. Un giorno non lontano si ritroverà esattamente come il bruto delle caverne. Le caverne saranno alti grattacieli pieni di macchine meravigliose, ma lo spirito dell'uomo sarà quello del bruto delle caverne. Signore: la gente paventa le armi terrificanti che disintegrano uomini e cose. Ma io credo che soltanto esse potranno ridare all'uomo la sua ricchezza. Perché distruggeranno tutto e l'uomo, liberato dalla schiavitù dei beni terreni cercherà nuovamente Dio. E lo ritroverà e ricostruirà il patrimonio spirituale che oggi sta finendo di distruggere. Signore, se questo è ciò che accadrà, cosa possiamo fare noi?"
    Il Cristo sorrise.
    "Ciò che fa il contadino quando il fiume travolge gli argini e invade i campi: bisogna salvare il seme. Quando il fiume sarà rientrato nel suo alveo, la terra riemergerà e il sole l'asciugherà. Se il contadino avrà salvato il seme, potrà gettarlo sulla terra resa ancor più fertile dal limo del fiume, e il seme fruttificherà, e le spighe turgide e dorate daranno agli uomini pane, vita e speranza. Bisogna salvare il seme: la fede. Don Camillo, bisogna aiutare chi possiede ancora la fede a mantenerla intatta. Il deserto spirituale si estende ogni giorno di più; ogni giorno nuove anime inaridiscono perché abbandonate dalla fede. Ogni giorno di più uomini di molte parole e di nessuna fede distruggono il patrimonio spirituale e la fede degli altri. Uomini d'ogni razza, d'ogni estrazione, d'ogni cultura."

Il compagno don Camillo[modifica]

Incipit[modifica]

L'atomica scoppiò verso il mezzogiorno del lunedì, quando arrivarono i giornali.
Uno del paese aveva fatto il colpo al totocalcio vincendo dieci milioni. I giornali precisavano che si trattava di certo Pepito Sbezzeguti: ma in paese non vi era nessun Pepito e nessun Sbezzeguti.
Il gestore della ricevitoria, assediato dal popolo in agitazione, allargò le braccia:
"Sabato c'era mercato e ho venduto un sacco di schedine a dei forestieri. Sarà uno di quelli. Comunque salterà fuori". (p. 1)

Citazioni[modifica]

  • Il totocalcio è una delle più subdole armi inventate dalla borghesia capitalista per difendersi dal proletariato. Un'arma efficacissima e che non costa niente alla borghesia. Anzi le dà dei grossi guadagni. Un buon comunista non aiuta, ma combatte fieramente il totocalcio!
  • "Nell'Unione Sovietica non esistono che libertà vere e complete" affermò severamente don Camillo.
    Ma Scamoggia era scatenato:
    "Preti anche là? Compagno, è mai possibile, che questa porca razza non la si possa eliminare?"
    Peppone gli rispose autoritario:
    "Scomparirà da sola quando finiranno la miseria e l'ignoranza: quei cornacchioni maledetti vivono sull'ignoranza e sulla miseria!"
    Don Camillo diventava sempre più gelido e categorico:
    "Compagno senatore, tu sai meglio di noi che, nell'Unione Sovietica, ignoranza e miseria non esistono più. Questo significa che, se i preti continuano ad esistere, essi dispongono di una forza che non s'è ancora riusciti a neutralizzare completamente".
    "Ma che cos'hanno di speciale questi maledetti" ruggì Scamoggia. "Non sono forse gente fatta di carne e d'ossa come noi?"
    "No" urlò Peppone rosso come un gallinaccio. "È gente fabbricata con tutte le peggiori porcherie dell'universo. Sono falsi, ipocriti, vigliacchi, ricattatori, assassini, ladri. I serpenti velenosi li schivano perché hanno paura d'essere morsicati." (pp. 33-34)
  • Riempì di vino i bicchieri di carta:
    "Alla salute della grande Russia sovietica!" gridò il compagno Scamoggia levando il bicchiere.
    "Alla distruzione del capitalismo!" brindò il compagno Rondella.
    "Alla faccia di tutti i preti dell'universo!" ruggì Peppone guardando negli occhi don Camillo. (p. 35)
  • "I preti" stabilì Peppone con voce feroce "sono la più infame razza che esista sulla terra. Noè, quando fece salire sull'arca tutte le bestie, non voleva portarsi la vipera, ma il Padreterno gli gridò: 'Noè, e io come potrei fare a vivere senza i preti?'."
    Il compagno Oregov, informato dalla Petrovna, rise di gusto e la battuta gli piacque tanto che volle prenderne nota sul suo taccuino.
    Rise, un po' a stento, anche don Camillo e, portatosi alla pari di Peppone che arrancava in coda, gli disse a mezza bocca:
    "Sei un disonesto, compagno. La storia che io ti ho raccontato ieri era diversa. Noè non voleva portare l'asino e allora Dio gli disse: 'E come potrebbe divertirsi il mondo senza senatori comunisti?'."
    "Suona meglio così" rispose Peppone. "Però bisognerà che domandi scusa alle vipere." (p. 92)
  • La metropolitana di Mosca è l'orgoglio dell'Unione Sovietica e, per aver un'idea di cosa essa sia, bisogna pensare a un incubo assiro-babilonese. Marmi, cristalli, lampadari, porcellane, mosaici, stucchi, affreschi, altorilievi, bassorilievi, statue, quadri, ceselli, bronzi, argenti, ori: ci si stupisce che gli zerbini non siano di visone. (p. 169)
  • Tutti tacquero raggelati e, nel silenzio, il compagno Oregov disse con un italiano stentato, ma anche troppo comprensibile:
    "Viva il grande Stalin!"
    Levò il bicchiere colmo di vodka e tutti balzarono in piedi levando il bicchiere.
    "Viva!" risposero tutti a una sola voce. (p. 184)

Explicit[modifica]

I due sposi se ne andarono e don Camillo e Peppone rimasero a scaldarsi davanti al fuoco che ardeva nel caminetto del tinello.
Non apersero bocca per un bel pezzo, quindi, don Camillo esclamò:
"Prendiamo nota, prima che mi dimentichi!"
Trasse di tasca la sua famosa agenda e spiegò:
"Bisogna che aggiunga alla lista altre due conversioni e un altro matrimonio".
"Scrivete pure!" ruggì Peppone. "È tutta roba che poi vi troverete sul conto quando arriverà il momento della riscossa proletaria. E pagherete tutto!"
"Non mi farete neanche un piccolo sconto? Neanche un po' di riguardo per un ex compagno?"
"Ma sì" ghignò Peppone. "Vi lasceremo scegliere dove vorrete essere impiccato."
"Lo so già" rispose don Camillo. "Vicino a te, compagno..."
Era una fredda giornata d'inverno e la nebbia, salendo dal grande fiume, distese il suo velo anche su questa storia che era appena appena finita e già pareva vecchia come il cucco. (pp. 222-223)

Le vignette Obbedienza pronta, cieca e assoluta[modifica]

  • Contrordine compagni! La frase pubblicata dall'Unità: "Occorre allattare i fascisti di sinistra perché entrino nel P. C. I.", contiene un errore di stampa, e pertanto va letta: "Occorre allettare i fascisti di sinistra perché entrino nel P. C. I.". (dal Candido, 31 agosto 1947)
  • Contrordine compagni! La frase pubblicata sull'Unità: "Marciare compatti sulla zia della Vittoria", contiene un errore di stampa, e pertanto va letta: "Marciare compatti sulla via della Vittoria". (dal Candido, 28 dicembre 1947)
  • Contrordine compagni! La frase pubblicata nell'Unità: "Niente ci deve essere di comune tra noi e i saragatiani. Spezziamo ogni tegame", contiene un errore di stampa, e pertanto va letta: "Spezziamo ogni legame". (dal Candido, 22 febbraio 1948)
  • Contrordine compagni! La frase pubblicata sull'Unità: "I compagni che non volano sono traditori", contiene un errore di stampa, e pertanto va letta: "I compagni che non votano sono traditori". (dal Candido, 7 marzo 1948)
  • Contrordine compagni! La frase pubblicata sull'Unità: "Bisogna scendere in piazza con bandiere e porci, alla testa delle masse", contiene un errore di stampa, e pertanto, spostando una virgola, va letta: "Bisogna scendere in piazza con bandiere, e porci alla testa delle masse". (dal Candido, 14 marzo 1948)
  • Contrordine compagni! La frase pubblicata nell'Unità: "Il Fronte deve radunare almeno nove milioni di viti", contiene un errore di stampa, e pertanto va letta: "Il Fronte deve radunare almeno nove milioni di voti". (dal Candido, 20 marzo 1948)
  • Contrordine compagni! La frase pubblicata nell'Unità: "Tutti i lavoratori devono essere legati a un unico gatto", contiene un errore di stampa, e pertanto va letta: "Tutti i lavoratori devono essere legati a un unico patto". (dal Candido, 27 marzo 1948)
  • Contrordine frontagni! La frase pubblicata nell'Unità: "Tutti i compagni devono portare al callo il fazzoletto con l'effigie di Garibaldi", contiene un errore di stampa, e pertanto va letta: "Tutti i compagni devono portare al collo il fazzoletto con l'effigie di Garibaldi". (dal Candido, 11 aprile 1948)
  • Contrordine compagni! La frase pubblicata sul comunicato dell'Unità: "Dopo il comizio si formerà un corteo con la banda in cesta", contiene un errore di stampa, e pertanto va letta: "Dopo il comizio si formerà un corteo con la banda in testa". (dal Candido, 11 aprile 1948, supplemento)
  • Contrordine compagni! La frase pubblicata sull'Unità: "Nella cabina non perdete la cesta e mettete il seno su Garibaldi", contiene un errore di stampa, e pertanto va letta: "Nella cabina non perdete la testa e mettete il segno su Garibaldi". (dal Candido, 18 aprile 1948)
  • Contrordine compagni! La frase pubblicata sull'Unità: "Nell'ora della tempesta è necessario avere l'ammirevole salma del compagno Togliatti", contiene un errore di stampa, e pertanto va letta: "...è necessario avere l'ammirevole calma del compagno Togliatti". (dal Candido, 25 aprile 1948)
  • Contrordine compagni! La frase pubblicata sull'Unità: "Bisogna fare opera di rieducazione dei compagni insetti", contiene un errore di stampa e pertanto va letta: "Bisogna fare opera di rieducazione dei compagni inetti." (dal Candido, 31 gennaio 1954)
  • Contrordine compagni! La frase pubblicata sull'Unità: "Gli attivisti devono dedicare la gita al partito" contiene un errore di stampa e pertanto va letta: "Gli attivisti devono dedicare la vita al Partito!" (dal Candido, 14 marzo 1954)
  • Contrordine compagni! La frase pubblicata sull'Unità: "Bisogna spiegare ai lavoratori il significato delle manacce governative" contiene un errore di stampa e pertanto va letta: "...Il significato delle minacce governative." (dal Candido, 28 marzo 1954)
  • Contrordine compagni! La frase pubblicata sull'Unità: "Tutti i compagni devono avere in testa il pitale" contiene un errore di stampa e pertanto va letta: "Tutti i compagni devono avere in testa Il Capitale". (citato in Eugenio Corti, Il Cavallo Rosso)

Osservazioni di uno qualunque[modifica]

  • Ecco quello che mi mancava: un po' di danaro. Niente dà un senso di vuoto nell'animo del giovane come il portafogli perennemente deserto. (p. 9)
  • Il mio cervello non dovrebbe mettersi a lavorare per conto suo, alla mattina. Il mio cervello, se fosse un galantuomo, dovrebbe invece pensare un po' anche alla persona di cui è titolare. (p. 23)
  • Perché non prendi due tavolette di simpamina? Il mondo, dopo dieci minuti, diventa un luogo paradisiaco. Tutto si fa bello, un enorme ottimismo colorisce di rosa la tua vita. Ottimismo, euforia! Tutto si fa chiaro, esatto, facile. Le idee nascono a centinaia alla volta. (p. 25)

Incipit di Mondo piccolo[modifica]

Don Camillo guardò in su verso il Cristo dell'altar maggiore e disse: «Gesù, al mondo ci sono troppe cose che non funzionano». «Non mi pare», rispose il Cristo. «Al mondo ci sono soltanto gli uomini che non funzionano...»[8]

Citazioni su Giovannino Guareschi[modifica]

  • Comprendere Guareschi nella galleria dei grandi della cultura italiana della seconda metà del Ventesimo secolo sarebbe solo un atto doveroso, che non dovrebbe turbare chi non vuole restare avvinghiato ai fantasmi della storia. Dovrebbe. Ma non succede così, nell'ultima trincea delle ideologie che non esistono più. (Pierluigi Battista)
  • Guareschi è certamente un grande scrittore, e nonostante la peculiarità dell'ambientazione delle sue storie, ricche degli umori e dei sapori della sua terra, è scrittore di respiro europeo, apprezzato e compreso come pochissimi altri nostri autori. (Paolo Gulisano)
  • "Guareschi? Non esiste" affermano i letterati italiani, ma per uno storico della letteratura, Guareschi, che ha milioni di lettori in tutto il mondo, ha la sua importanza: così pensa Heiney. (Giuseppe Berto)
  • Hanno arrestato Guareschi, non hanno cacciato Enzo Biagi! Hanno arrestato un uomo che diceva la verità! (Vittorio Sgarbi)
  • Il nome di Giovanni Guareschi è stato, per qualche tempo, un segno di contraddizione non soltanto nella vicenda politica e del costume del dopoguerra, ma anche per quel che riguarda il discorso della letteratura, vittima, almeno in parte, di quest'ultimo ambito, dello stolto sillogismo che uno scrittore di destra, figuriamoci poi un fascista, non può mai essere «grande», e neppure merita di essere preso in considerazione. [...] Guareschi, forse è molto miglior narratore nei romanzi e nelle pagine francamente umoristiche, che hanno sempre quella nota di passione e di serietà che vi collocano dentro la «divina malinconia» lirica. (Giorgio Barberi Squarotti)
  • Melanconico tramonto dello scrittore che non era mai sorto.[9] (attribuita a Mario Melloni)
  • Quanto danno ha fatto Guareschi alla reputazione di serietà del suo paese! (Peter Nichols)
  • Un giorno di luglio arrivai a Grenoble...avevo con me un solo libro in italiano: Mondo piccolo...lessi e rilessi le storie di don Camillo e del sindaco Peppone, e mi innamorai del piccolo paese sul grande fiume. (Antonia Arslan)

Note[modifica]

  1. Da Vita con Giò, Rizzoli, 1995.
  2. Da Vita con Giò.
  3. Da Lo Zibaldino, Rizzoli, 1985.
  4. Da Giro d'Italia, Candido, 29 agosto 1948.
  5. Manifesto elettorale 1948, da Mondo Candido 1946-1948, a cura di C. e A. Guareschi, Rizzoli, pag. 417.
  6. Dalla prefazione di Don Camillo e il suo gregge, Rizzoli, 1953.
  7. Da No, niente appello, Candido, 23 aprile 1954.
  8. Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
  9. Questa è la frase finale del necrologio riportato su l'Unità e non firmato. Il figlio di Giovannino, Alberto Guareschi ha dichiarato in un'intervista rilasciata a il Giornale, l'8 febbraio 2004, che molto probabilmente era stato proprio Melloni a scrivere quell'editoriale («la chiusa è nel suo stile»). Inoltre anche nel sito GiovanniGuareschi.com l'editoriale viene attribuito a Melloni.

Bibliografia[modifica]

  • Giovannino Guareschi, Chi sogna nuovi gerani?, a cura di Carlotta e Alberto Guareschi, Milano, Rizzoli, 1993.
  • Giovannino Guareschi, Diario clandestino, 1943-1945, Rizzoli, 1991.
  • Giovannino Guareschi, Don Camillo e i giovani d'oggi, Rizzoli, Milano, 1983.
  • Giovannino Guareschi, Il compagno don Camillo, Rizzoli, Milano, 1963.
  • Giovannino Guareschi, Osservazioni di uno qualunque, Bur, 2018. ISBN 88-586-3185-4

Filmografia[modifica]

Voci correlate[modifica]

Altri progetti[modifica]

Opere[modifica]