Elena Schiavo
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Elena Schiavo (1950 – vivente), ex calciatrice italiana.
Citazioni di Elena Schiavo
[modifica]Citazioni in ordine temporale.
Giovanni Di Salvo, glieroidelcalcio.com, 31 marzo 2021.
- [«Quando nasce la sua passione per il calcio?»] Fin da piccolissima, quando vivevamo a Colloredo di Prato, giocavo scalza in piazza. Quando avevo 9 anni la mia famiglia si trasferì a Passons ma la mia passione per il calcio non si spense perché all'uscita dalla scuola invece di tornare subito a casa andavo a giocare con i miei compagni di classe. Non sa quanti colpi di tacchetti ho preso nelle gambe e quanto faceva male calciare il pallone a piedi nudi, visto che quelli di allora erano molto più pesanti di quelli che si usano oggi! Un giorno, era il 1963 ed avevo tredici anni, il podestà Cavaliere Luigi Cuttini rimase colpito nel vedermi giocare e così mi regalò il mio primo paio di scarpe da calcio.
- [«Tutti i giornali dell'epoca la definirono la prima "professionista" del calcio femminile»] I giornalisti ingigantirono la cosa e ciò procurò grossi problemi alla mia famiglia perché il Comune ci aumentò il reddito, e di conseguenza le tasse, e dovemmo presentare ricorso. [...] venne a trovarmi un emissario del Real Torino per chiedermi se volevo trasferirmi nella loro squadra. Andare a Torino significava un grosso cambiamento per la mia vita tenuto anche conto che, comunque, già lavoravo in una ditta che produceva lettini per l'infanzia, la Cosatto. Perciò non potevo andare allo sbaraglio e partire da casa mia senza avere delle garanzie. Mi rivolsi al notaio Occhialini di Udine per predisporre una scrittura privata in cui era prevista una parte fissa, i premi partita e per le convocazioni in Nazionale, vitto e alloggio, le ferie e la copertura assicurativa. In caso di inadempienza da una delle parti era prevista una penale. Era una cosa fatta bene ed il Real Torino si dimostrò una società all'avanguardia, basti pensare che in squadra vi erano anche diverse calciatrici straniere [...]
- Non potrò mai dimenticare la partita giocatasi allo stadio "Azteca" di Città del Messico nel 1971 per il Mondiale [seconda edizione del Trofeo "Martini & Rossi", ndr]. Al di là di come andò la partita contro le padrone di casa [la direzione dell'arbitro Frere risultò molto penalizzante nei confronti delle azzurre, ndr] sugli spalti c'erano più di 100.000 persone. Se ci penso mi sembra di sentire ancora i loro cori e le loro urla: quando battevano i piedi per terra sembrava che venisse giù lo stadio!
- [«Cosa era per lei il calcio all'epoca?»] Per me il calcio era un modo per reclamare i diritti delle donne. In campo spesso ci fischiavano perché andavamo ad invadere un campo prettamente maschile. Nel 1972 rilasciai un'intervista in cui spiegavo che non erano gli insulti o i fischi in sé a disturbarmi. Infatti se giocavo male potevo accettarli ma se erano fatti per svilire il mio essere donna allora assolutamente no. Di fronte a questa ottusa ironia dovevo rivendicare i diritti delle donne!
Intervista di Valentina Forlin, ultimouomo.com, 11 aprile 2024.
- Ho giocato a calcio fin da piccola ma non c'erano squadre quindi mi sono buttata sull'atletica. Ho stabilito il record regionale sui 400 e sugli 800, mi chiamarono in Nazionale [...]. Comunque il calcio non l'ho mai dimenticato. Un'estate andammo in ritiro ad Asiago con la squadra di atletica, c'era un campetto. Chiesi al professore di mettersi in porta, gli tirai due, tre staffilate micidiali, a quel punto lui mi disse che dovevo giocare a calcio e che a Roma stavano cercando una ragazza perché una giocatrice si era fatta male. Andai a Roma e vinsi lo scudetto anche se in realtà non avevo alcun merito. Arrivai a tre giornate dalla fine del campionato.
- Fisicamente ero forte, all'epoca io mi allenavo veramente da atleta e poche lo facevano davvero. Mangiavo bene, andavo a dormire presto e non mi fermavo la sera a giocare a carte. Poi avevo una mentalità forte, questo lo devo molto all'atletica. Il mio allenatore mi faceva fare così tante volte le ripetute sui 200 metri che le ultime due le facevo piangendo, è così che ho imparato a correre contro il tempo, sia letteralmente sia in senso lato. So di esser stata una giocatrice temuta, quando entravo in spogliatoio tutte si zittivano, non volava più una mosca.
- [«Dicono che lei sia stata di fatto la prima calciatrice professionista in Italia»] Mi aveva cercata il Real Torino. All'epoca [era il 1969, nda] non giravano soldi [...], loro mi davano un appartamento e mi stipendiavano. Io sono stata un'apripista in tal senso, ho fatto capire alle ragazze che potevano avere un futuro. Comunque trasferirmi non è stato facile, immagina passare da un paese tranquillo a un città come Torino dove senti il rumore delle rotaie del tram tutto il tempo. Immagina vivere per cinque anni da sola in un posto che non conosci. Come dico sempre, sono partita da Udine che cantavo, sono tornata che non cantavo più.
- [«Qualcuno ha cercato di ostacolarla nel fare la calciatrice?»] Sì, ma non me n'è mai fregato nulla perché una volta superato il giudizio di mia madre potevo superare qualsiasi cosa. Mia madre era la società. Per lei dovevo sposarmi e fare figli, un po' quello che tutti si aspettavano al tempo. Io vincendo mia madre ho vinto la società, così facendo nulla poteva abbattermi, andavo in giro per il mondo e facevo quello che volevo. Quando la gente in paese chiedeva a mia mamma dove fossi lei rispondeva che solo l'FBI poteva saperlo. Nessuno mi ha mai domato e nessuno mi ha mai soffiato sul collo. Io sono sempre stata una ragazza senza targa, libera di fare, pensare, decidere e sbagliare.
- [Sulla Coppa del Mondo femminile 1971] È stato incredibile, un'organizzazione pazzesca. Abbiamo dormito nei migliori hotel, visto posti bellissimi. A Città del Messico abbiamo giocato con l'ossigeno il primo giorno perché la città è a 2200 metri sul livello del mare. Le città erano in fermento per questo Mondiale, la gente per strada cercava di comprare i biglietti e le maglie delle giocatrici, sono rimasta impressionata soprattutto dai messicani, un attaccamento alla maglia e al Paese notevoli. Pensa che la sera prima della semifinale i tifosi si sono messi sotto il nostro hotel e hanno fatto casino tutta la notte per non farci dormire. [...] [«Quella partita però non finì bene»] No, infatti, ricordo ancora tutti i pezzi di ghiaccio che mi hanno lanciato in testa dagli spalti a fine partita. Eravamo furibonde, ci avevano rubato la partita annullandoci quei gol. Tra l'altro l'arbitro ha fischiato la fine dieci minuti prima e c'erano tutti i presupposti per far rigiocare la gara, ovviamente non accadde. Quel Mondiale è stato organizzato dai messicani, loro volevano guadagnare, secondo te chi doveva passare, noi o il Messico? Non avrebbero riempito lo stadio per la finale se il Messico non si fosse qualificato e di conseguenza non avrebbero guadagnato. [...] Tra l'altro la cosa che mi ha fatto rimanere più male è che quando siamo tornate in Italia dopo il Mondiale nessuno ci ha più considerate, come se dall'oggi al domani il calcio femminile avesse smesso di esistere. Per carità, sapevamo di esser solamente una palla al piede per il maschile, però prima i giornali ne parlavano, nel bene e nel male, poi nemmeno più quello.
- [«Cos'ha pensato quando ha saputo che alle giocatrici italiane sarebbe stato riconosciuto lo status di professioniste?»] Eh, lì mi sono girate un po' le scatole, non lo nego. Ovviamente ero felice per loro e per tutte le ragazze che vogliono fare la calciatrice nella vita, però mi sarebbe piaciuto accadesse tanti anni fa. Noi ci abbiamo rimesso soldi, gambe, salute e abbiamo lottato per ricevere delle briciole ma non siamo mai state riconosciute. Anche il fatto che il Mondiale di Messico '71 non sia mai stato riconosciuto dalla FIFA fa male. Nessuno ci ha mai chiamato per offrirci alcun riconoscimento anche simbolico nonostante siamo state delle pioniere.
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