Emilio Comba

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Emilio Comba nel 1890 circa

Emilio Comba (1839–1904), storico e religioso italiano.

I nostri protestanti[modifica]

  • A un miglio da Vercelli, ove il torrente Cervi confluisce colla Slesia, secondo alcuni narratori, era stato rizzato il rogo destinato al loro supplizio[1], ove Margherita fu prima a salire. Se costoro [i cronisti posteriori] ci affidassero, potremmo descriverla colle loro parole. Uno di essi, che pretende attingere i suoi colori nel solito manoscritto irreperibile, la porge di statura media, snella, agile nel portamento e robusta, colla faccia candidissima, ovale, bellissimi denti, naso giusto, lungo anziché no, arcate ciglia nere e nera e folta la capigliatura ondeggiante sulle spalle. Comunque sia, fu bella certamente, né v'ha dubbio che l'atroce caso apparisse pietoso a più di un'anima gentile, se, come asserisce la cronaca, fu sottoposta a tormenti preliminari. Arsa poi lentamente, sotto gli occhi della moltitudine, salutò collo sguardo fedele Dolcino presente, che l'avea confortata a morire da forte. (vol. I, pp. 333-334)
  • Posto su di un carro tirato da bovi, [Dolcino] fu trascinato per le strade. I carnefici forniti di tanaglie e perfino del braciere, per adoperarle roventi, gli strappavano le carni a brandelli, mutilandolo nel modo più sconcio e compassionevole. Uno de' nostri narratori aggiunge che codesti strappi lo lasciassero quasi impassibile, in apparenza, salvo una o due volte, e che allora lo si vedesse accusare il dolore con un ristringimento delle spalle e delle narici, ovvero con un gemito profondo. Il rogo segnò per lui il termine sospirato di un'infernale agonia, e fu il colpo di grazia alla sua protesta, se anche riconosceremo che gli sopravvisse per alcun tempo. (vol. I, p. 334)
  • Tutte le cause di una rivoluzione religiosa si manifestano nei tempi di Gioacchino [da Fiore] e di san Francesco, di Valdo e di fra Dolcino; ma tutte vengono soffocate, e ci lasciano meravigliati che il protestantesimo non sia nato allora e in Italia. Se dovessimo annettere molta importanza alle circostanze esteriori, più o meno casuali, avremmo a far nostro il giudizio di chi afferma essere nel secolo decimo terzo avvenuto quel che avremmo visto avverarsi nel sedicesimo, ove Lutero fosse stato arso, ove Carlo Quinto avesse sterminato i Luterani e Francesco I i Riformati, e ove l'inquisizione avesse trionfato in tutta l'Europa come in Italia e in Ispagna. Ma questo ragionamento sarebbe frivolo. Quando i tempi sono maturi, gli uomini e i casi passano in seconda linea, e lo spirito che si muove dove vuole, e la storia co' suoi ricorsi finiscono per dare il loro frutto, come fa l'albero nella sua stagione. (vol. I, p. 342-343)

Storia de' valdesi[modifica]

  • Convinto che la mondanità del clero fosse precipua cagione della decadenza della Chiesa, [Arnaldo da Brescia] stimava che male amministrasse i sacramenti chi non era libero dalle cure terrene, e forse fin d'allora suggeriva che i laici si confessassero fra di loro piuttosto che ricevere l'assoluzione da mani non pure dalla lebbra di simonia. (cap. I, p. 6)
  • [...] [giunto a Roma, Arnaldo da Brescia] non potendo soffrire di vedere la mondana vita che vi menavano i cardinali, si diè a predicare e a formare una setta che fu detta de' Lombardi. Denunziò i cardinali, come quelli che facevano della Chiesa una casa di mercanti e una spelonca di ladri; diceva che perfino il papa non era uomo apostolico né pastore d'anime e concludeva: a costoro, che abbandonarono la vita e la dottrina degli Apostoli, non si deve obbedienza ne tampoco riverenza, e Roma non è fatta per servir loro; è sede dell'impero e signora del mondo. (cap. I, p. 7)
  • Ormai ricco, [Valdo di Lione] s'era accasato. Avea moglie e due figliolette. Una diceria, messa fuori da un canonico dopo che l'ebbe in sentore d'eresia, vuole che le sue ricchezze fossero malamente accumulate. E può darsi, a meno che il canonico fosse mosso a parlare così per la nota ragione, che il maggior sospetto nutre chi ha maggiore il vizio; perché l'arte di accumulare le ricchezze, il clero l'avea imparata, né accennava a metterla da parte. Valdo sì invece. (cap. I, p. 11)
  • Era salito a quella sede[2] un savoiardo che dovea far rimpiangere i tempi del suo predecessore Bigex, tanto lo vinceva per furberia e intolleranza. Avea nome Andrea Charvaz, e godeva molto favore alla corte, per essere stato precettore de' figli di Carlo Alberto. Insediato che fu, vide un giorno venire a lui il Moderatore de' Valdesi; il quale, nel salutarlo amichevolmente, cominciò a chiedergli di non irritare colle sue pratiche, pur troppo già avviate, i suoi correligionari, e gli faceva considerare che se le leggi rigorose contro i Valdesi esistevano pur sempre, però accennavano a cadere in disuso, aspettarsi quindi dalla sua benevolenza che volesse tralasciare di provocarne l'applicazione. Se non altro, ebbe franca risposta. «Finché non sono abrogati gli antichi editti, disse il Chavaz, m'adoprerò quanto saprò a far sì che vengano osservati.» E tenne la parola. (cap. IX, pp. 300-301)

Note[modifica]

  1. Di fra Dolcino e la compagna Margherita.
  2. Diocesi di Pinerolo.

Bibliografia[modifica]

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