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Franco Bertoli

Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.

Franco Bertoli (1959 – vivente), allenatore di pallavolo, dirigente sportivo ed ex pallavolista italiano.

Citazioni di Franco Bertoli

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Citazioni in ordine temporale.

  • In una vita nel mondo dello sport ho condiviso spogliatoi con argentini, americani, austriaci, brasiliani, bulgari, greci, cubani, jugoslavi, serbi, montenegrini, croati, polacchi, olandesi, russi, ungheresi, italiani del Sud del Nord del Centro e altri ancora. Da sportivo ho giocato in tutti i continenti e incontrato umani di ogni colore ed etnia con cui mi sono battuto lealmente sui campi da gioco. A volte ho vinto, altre volte ho perso. [...] In questo clima di insofferenza verso il tema delle migrazioni e più in generale su ciò che sentiamo diverso, estraneo da noi, ci può essere un cammino verso la pace e la concordia? Io non ho ricette speciali, ma penso che comportamento, disciplina, regole uguali per tutti e condivise, erano, sono e saranno sempre ciò che ci unisce, per quello che ognuno è nella propria diversa personalità e cultura e nel rispetto reciproco con un obiettivo: essere squadre di umani che giocano, lavorano, convivono con altre squadre di umani. In questo periodo storico di grande connessione e intreccio tra i popoli abbiamo bisogno, in spogliatoio come in campo, di regole che vengano rispettate per far emergere il merito e le qualità di ognuno di noi, indipendentemente dalle singole peculiarità, dalle differenze che ci contraddistinguono e che poca cosa sono rispetto a ciò che invece ci unisce nell'animo: il sapere di nascere tutti uguali, liberi e uniti dallo stesso destino come esseri umani terrestri.[1]
  • Da giocatore, da allenatore e da dirigente ho sempre cercato di formare i giocatori, di motivarli, di coinvolgerli. Oggi faccio la stessa cosa con la competenza del coaching e con la reputazione di quello che ho vissuto sul campo o in panchina, nella mia carriera. Invece di farlo per lo sport, lo faccio per manager d'azienda: anche loro sono allenatori e gestiscono squadre grandissime. Una similitudine che mi appassiona molto.[2]
  • [«Com'è riuscito a giocare per 19 anni in serie A sempre ai massimi livelli?»] Mettendoci il cuore, la testa e tanta disciplina per valorizzare i miei talenti. Ritengo importante anche la giusta scelta dei club in cui giocare. Panini Modena, Robe di Kappa Torino e Mediolanum di Milano: tre grandi squadre che mi hanno permesso di vincere tutti i trofei.[2]

Mano di pietra

Intervista di Pier Paolo Cioni, Guerin Sportivo nº 15 (535), 10-16 aprile 1985, pp. 83-85.

  • Come per tanti altri giocatori, il mio primo contatto con la pallavolo è arrivato in occasione del reclutamento provinciale per i giochi della gioventù. Avevo quattordici anni [...] e giocavo a calcio come mediano di spinta in una squadretta del posto. Prima di quel momento, avevo avuto modo di vedere questo sport solo al termine dei miei allenamenti con il pallone. Infatti, vicino al campo sportivo c'era un impianto all'aperto dove molti miei coetanei si cimentavano. Nonostante questo [...] non mi sono dedicato subito al volley. [...] ho gareggiato, anche con promettenti risultati, nei 400 ad ostacoli. Solo a sedici anni mi sono avvicinato definitivamente a quel mondo che doveva diventare poi parte fondamentale della mia vita. [...] Penso che il fascino dello sport di squadra, la possibilità di fare degli allenamenti piacevoli e meno noiosi di quelli per i 400 ostacoli, può avere senz'altro influito.
  • [«Qual era il tuo sogno da bambino?»] Volare. Avevo una grandissima passione per la squadriglia delle "Frecce tricolori" che aveva la base vicino al mio paese Cavalicco. Grazie ad un motorista del gruppo che conoscevo, avevo avuto modo di vedere da vicino quegli splendidi aerei di cui conoscevo perfettamente tutte le caratteristiche tecniche. Non pensavo certamente di diventare un giorno un atleta di professione.
  • [«Come atleta ti senti realizzato?»] Ritengo che mai ci si deva sentire realizzati perché potrebbero venire meno gli stimoli necessari per migliorarsi.
  • A Torino non ho mai pensato come alla sede definitiva della mia vita. Non mi sono mai integrato anche se ho avuto dei rapporti eccezionali con grandi uomini come Prandi, Zecchini e gli altri dirigenti dell'attuale CUS. Forse l'ho cominciata ad odiare i primi anni perché mi ci avevano costretto ad andare [...]. Torino ha sempre significato un obbligo e non una scelta. Ho sempre desiderato abbandonarla [...]. Sarà perché provengo da un piccolo paese ma ho sempre desiderato una piccola città, a misura d'uomo. E qui a Modena ho trovato tutto questo.
  • [«Prima di una partita come ti comporti?»] In linea di massima mi isolo. Al massimo mi circondo di mia moglie. Mi spunto meticolosamente la barba e faccio una toiletta più lunga. Non ho particolari scaramanzie. Le avevo quando ero a Torino dove avevo gli abiti vincenti e quelli perdenti.

La storia infinita

Intervista di Leo Turrini, Supervolley, dicembre 1991, pp. 20-31.

  • [...] il grande boom del volley, l'esplosione degli ingaggi, è roba degli ultimi tempi. Vuoi sapere se rimpiango di essere nato troppo presto, diciamo con cinque anni di anticipo? Vorrei risponderti con un discorso particolare... Vedi, io [...] mi sono sempre reputato un privilegiato. Anche quando sotto rete non giravano certe cifre, certe somme. Io ho giocato a pallavolo perché mi divertiva farlo e praticamente sin dall'inizio sono stato pagato per divertirmi. Quando penso alla carta anagrafica, scopro che sì, ho 6 anni di troppo, ma non per i quattrini, per le vittorie della nazionale. Quando ero azzurro io, non si lottava per vincere il mondiale, si lottava per conquistare la qualificazione. In questo senso, mi spiace essere un signore che va per i 33 anni. Ma non posso lamentarmi della mia vita, della mia carriera. Sarebbe assurdo.
  • [Su Karch Kiraly] [...] è un giocatore straordinario. Ho iniziato ad apprezzarlo a Los Angeles, erano le Olimpiadi del 1984, naturalmente lui vinse la medaglia d'oro [...]. Sai che Velasco, a Modena, ci obbligava spesso a vedere le videocassette degli americani? Per imparare, diceva. Aveva ragione, eppure io credo che Kiraly sia un soggetto inimitabile, perché fa le cose d'istinto e l'istinto di una persona non lo puoi copiare...
  • Sono friulano, ma quella che chiamiamo carriera è iniziata a Padova, nel 1976. Mi aveva visto Pavlica, era venuto ad Udine a darmi un'occhiata. Lui faceva parte dello staff del Petrarca e avrebbe anche collaborato con le nazionali. Mi portò in Veneto. Io non pensavo alla serie A e certo non consideravo il volley un investimento su me stesso... Ero un ragazzo con idee semplici. Studiavo da perito meccanico e già sapevo che sarei finito nella fabbrica di un amico di papà. Niente grilli per la testa, insomma. Accettai di andare a Padova perché lì mi avrebbero mantenuto al collegio Antonianum e avrei avuto la possibilità di completare gli studi. Per giocare prendevo 40.000 lire al mese...
  • [...] nel 1977 arrivò la proposta di Torino. Prandi mi aveva notato e mi voleva con sé. Io non ero interessato. Per una ragione semplice: fra Padova e Klippan all'epoca non c'era differenza. Stavano allo stesso livello. Inoltre, da Torino a casa mia c'erano seicento chilometri. Mi sembrava di dover andare sulla luna. [...] Ero fermissimo sulla mia decisione. [...] non sarei mai andato se non fossi stato costretto, obbligato. Da chi? Da un certo signor Mauro, che era di Udine e controllava il mio cartellino. Lui si accordò con Franco Leone, il manager dei piemontesi. Questo signore mi disse: o vai là o resti a giocare in C2. Non volevo crederci. Fu un atto di violenza morale. Mi arresi solo in extremis [...]. Mi arresi e fu una sofferenza, un tormento... L'impatto con Torino fu orribile. [...] Era il 1977 e i giornali mi paragonavano a Virdis, il calciatore. Anche lui, per un certo periodo, rifiutò il passaggio dal Cagliari alla Juventus. Poi si piegò per ragion di stato. E, chissà, forse soffrì meno di me...
  • [Sull'esperienza nel CUS Torino] [...] La società era seria, forte, bene organzzata. A parte Prandi, anche Leone e Zecchini erano i migliori, nel loro ruolo. La fine iniziò con l'avvento della Santàl, con la politica aggressiva di Parma sul mercato. Mi spiace che col tempo a Torino non sia rimasto nulla, d'altra parte la gente non ha mai sentito la pallavolo come qualcosa di suo. E poi erano tempi diversi, il nostro sport non era popolare come oggi. Torino aveva già la Juve, il basket, aveva altre cose per la testa. C'era il terrorismo, gli anni di piombo, me ne accorsi perché una mattina dal balcone di casa mia sentii sparare, praticamente vissi un attentato in diretta, solo in quel momento compresi che accadevano, attorno a me e attorno alla mia vita, cose terribili...
  • [...] alla Panini è legato il ricordo più doloroso della mia carriera. [...] parlo della finale scudetto del 1985. Perdemmo alla bella con Bologna, eravamo sicuri di farcela, sbagliammo completamente l'approccio alla partita, in particolare io sbagliai tutto. Fu una delusione feroce, acuita delle polemiche del dopo partita, dall'addio di Nannini. Ricordo che quella partita mi spinse a meditare, ero talmente avvilito che pensai di lasciar perdere la nazionale, avevo un bisogno disperato di staccare la spina... Fu quella sconfitta, però, a portare a Modena e quindi nella mia vita Velasco. [...] Diciamo che a capirne la grandezza ho impiegato un po' di tempo. Sai, Julio è uno che si ama e al tempo stesso si odia, perché lui, se lo ritiene opportuno, si fa detestare dai suoi giocatori, per arrivare al risultato... Mi ci è voluto a capirlo, sì. Ma tra noi è nato un rapporto splendido. È suo il merito della mia longevità. [...] È stato lui a trasmettermi stimoli nuovi, con quelle frasi che magari oggi fanno sorridere, le vene gonfie nel collo, gli occhi della tigre, e che però ascoltate per la prima volta erano messaggi che colpivano, slogan che arrivavano a bersaglio...

Citazioni su Franco Bertoli

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  • Franco ha vinto il primo scudetto nel 1979, nel 1983 è stato incoronato miglior giocatore d'Europa, tra il 1986 e il 1989 ha vinto quattro scudetto di seguito a Modena, insomma è un pezzo della nostra storia, un pezzo di pallavolo italiana, carne e sangue di una avventura che un tempo non era bella e felice come oggi. Era un altro mondo, un'altra vita, al limite un altro sport. Eppure, al tramonto [...] il signor Bertoli era ancora uno dei protagonisti, [...] un ragazzo della classe 1959 che è reputato più importante di tanti boys del 1968 o giù di lì. (Leo Turrini)
  • Se un giorno qualcuno dovesse dirmi «ehi, ma lo sai che tu sei il Bertoli dei giornalisti sportivi?», beh, mi farebbe contento. (Leo Turrini)

Note

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  1. Da un post sul profilo ufficiale facebook.com, 9 agosto 2018.
  2. a b Dall'intervista di Claudio Pizzin, Franco Bertoli, l'ispirazione del successo, imagazine.it, 31 maggio 2024.

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