Leo Turrini

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Leo Turrini (2008)

Leonildo Turrini detto Leo (1960 – vivente), giornalista e scrittore italiano.

Citazioni di Leo Turrini[modifica]

Citazioni in ordine temporale.

  • Ho parlato con Dio. Si, proprio con Lui. No, non sono andato a Gerusalemme. Non ho scalato il Monte Sinai. [...] Ho parlato con Dio, si. Con il nostro "God", il Signore delle Palestre, il Più Grande Giocatore dell'Era Moderna e poi basta maiuscole, altrimenti chi mi legge fa indigestione. Però chiedo scusa all'inizio, chiedo scusa anticipatamente: frequento i teatri e i teatrini della pallavolo da quasi vent'anni, diciamo dal 1975. Ho visto cialtroni e buffoni, cani e porci, Campioni e bidoni. Ho visto Savin giovane e Zaytsev vecchio. Ho visto fuoriclasse e giovani promesse, devastanti bombardieri ed eccezionali difensori, centrali iper efficaci e palleggiatori sopraffini. Ma Dio no, non l'avevo mai visto sul parquet. Fino ad una sera tiepida d'ottobre, era il 1986 e a Parigi-Bercy si giocava la finale mondiale tra Usa e Urss. In campo c'era un certo Kiraly. Se ne parlava e se ne scriveva, si: ma fino a quella notte sotto sotto eravamo tutti convinti che a Los Angeles [1984] gli americani avessero conquistato l'oro solo perché non c'erano i sovietici. Credo che Karch avesse avvertito il clima, le perplessità, i sospetti. Non era bastata nemmeno l'impresa di Coppa del Mondo, nel 1985, a spese dei sovietici. Ci voleva il trionfo iridato. Kiraly fornì una prestazione sensazionale. In tribuna facevamo la bocca a culo di gallina: stupiti, sbalorditi, persino sbigottiti. Era troppo grande, quell'americano di origini ungheresi.[1]
  • [Sull'esperienza interista di Pietro Anastasi] Il furbo Boniperti non si era sbagliato: Anastasi ha ormai finito la benzina. [...] Mazzola si danna l'anima pur di restituire fiducia al compagno che aveva atteso per otto lunghe stagioni: inutile, tutto inutile. Lentamente ma inesorabilmente, Pietruzzu si intristisce.[2]
  • Ho un rimorso. Noi dell'ambiente eravamo pervenuti alla conclusione, clamorosamente fallace, che ormai [nel 1994] non ci fosse più il rischio estremo nei Gran Premi. Il sabato [del Gran Premio di San Marino] perse la vita questo ragazzo semi sconosciuto Roland Ratzenberger. Quando morì pensammo che in fondo se l'era cercata, perché era un principiante, era arrivato tardi anagraficamente alla Formula 1. Non riuscimmo a sospettare che quelle macchine erano davvero pericolose. Mi ricordo che l'unico tra tutti i suoi colleghi che si precipitò sul luogo dell'incidente fu Ayrton Senna [...] Lui aveva proprio voluto rendersi conto di persona di quello che era capitato. Il mio rimorso è che quando incrociai Ayrton nel paddock, quando ormai si era diffusa la notizia che per Ratzenberger non c'era nulla da fare, avrei voluto parlargli ma lui mi fece capire con lo sguardo che non se la sentiva. Io rispettai questa sua decisione. Naturalmente non sarebbe cambiato nulla, ma rimane il rammarico di non aver, per l'ultima volta, scambiato quattro chiacchiere con lui in un momento così drammatico. Me lo sono sempre portato dentro.[3]
  • [Su Valentino Rossi] C'è stato molto di più, nella leggenda del ragazzo di Tavullia. Non possiamo comprendere il fenomeno Valentino se ci limitiamo alla contabilità della statistica. [«Tradotto?»] Rossi è stato per un quarto di secolo ciò che Coppi, Bartali e il Grande Torino furono per i nostri antenati. Cioè un punto di riferimento oltre lo sport. La domenica pomeriggio anche le nonne si fermavano per ascoltare le telecronache di Guido Meda e non è un modo di dire. Valentino è stato un idolo trasversale, una cosa che in tempi più recenti era riuscita solo a Pietro Mennea nell'atletica e ad Alberto Tomba sulla neve.[4]

Turrini: "Senna campione unico e inimitabile"

Intervista di Dario Pelizzari, panorama.it, 3 aprile 2014.

[Su Ayrton Senna]

  • [...] credo che con la scomparsa di Senna la Formula 1 abbia perso definitivamente l'innocenza. Non dobbiamo dimenticare che fino a quel drammatico fine settimana di Imola erano 12 anni che non si moriva più al volante di una monoposto. Sembrava ormai che fosse stato lasciato alle spalle un periodo nerissimo, nel quale le tragedie in pista erano quasi all'ordine del giorno. Ecco, in quel maledetto weekend di Imola ci rendiamo improvvisamente conto di quanto fossero fragili le nostre certezze. Per questo sostengo che la tragedia di Senna rappresentò la fine di un'epopea. Perché molto probabilmente Ayrton, insieme con altri illustri colleghi di allora, da Prost a Piquet, da Mansell a Schumacher, è stato uno degli ultimi mohicani. Dopo di loro, la F.1 è cambiata completamente. Lo choc fu talmente violento che vennero rifatti i circuiti in una notte o poco più. Le macchine stesse furono oggetto di un ripensamento strutturale e filosofico assoluto. La cultura della sicurezza in F.1 nasce proprio in quei giorni. Nulla è stato più come prima.
  • Era un personaggio straordinario, ma come tutti gli esseri umani aveva anche quello che in Guerre stellari viene definito il lato oscuro della forza. La mossa che Senna fa a Suzuka nel 1990, quando il destino gli offre l'opportunità di rivalersi su Prost, dal quale lui pensava di essere deliberatamente ingannato un anno prima, è di una violenza inaudita. Un anno dopo, nel giorno della conquista del suo terzo titolo mondiale, confermò quello che già tutti sapevano. Ecco, Senna era un pilota con un'umanità fuori dal comune, ma aveva anche un lato B, certamente meno nobile, come tutti.
  • L'ostilità che Senna dimostrò a più riprese nei confronti di Schumacher, che all'epoca era un debuttante della F.1, la dice lunga sulle sensazioni che provava il pilota brasiliano. Senna aveva capito che quel tedesco lì l'avrebbe detronizzato presto o tardi. Poi, il caso. Il 1° maggio del 1994 era Schumacher l'unico avversario in pista di Senna, che morì quando era in testa alla corsa. Forse, un segno del destino.

Leo Turrini al Diario Motori: «Cosa resta di Schumacher in questa F1»

Intervista di Fabrizio Corgnati, diariodelweb.it, 29 dicembre 2017.

[Su Michael Schumacher]

  • [«Che tipo di eredità ha lasciato Schumi alla Formula 1 moderna?»] Sicuramente è stato il pilota della svolta. Anche per via dello sviluppo tecnologico, è con lui che cambia completamente il modo di guidare. Già con Senna e Prost ci eravamo avvicinati, ma dalla seconda metà degli anni '90 il pilota di un'auto da Gran Premio diventa qualcosa di molto diverso dalla figura che immaginavamo: quasi uno scienziato nell'abitacolo. Pensa, solo per fare un esempio banale, alla quantità di manettini e pulsanti che ci sono sul volante oggi. Dall'era di Schumacher in poi, un pilota deve avere anche una componente intellettuale, ingegneristica, che in precedenza non era richiesta, perché le macchine erano diverse. Lui è stato il primo, il più abile, il più bravo a intuire questo cambiamento.
  • Per capire Schumacher, secondo me, bisogna rendersi conto che viveva per fare il pilota da corsa. Era nato per quello, aveva quel culto maniacale, quasi ossessivo, per il suo lavoro. Per esempio, fa parte della leggenda del personaggio che, quando arrivò in Ferrari, in occasione dei test a Fiorano che allora erano liberi veniva messo a dormire in un hotel nei paraggi del circuito, come tutti gli altri piloti. Fu lui che, visto che era sempre lì, chiese di poter dormire all'interno della pista. E per anni rimase nell'appartamento fatto costruire nei paraggi del box da Enzo Ferrari.
  • Nel salire in macchina, provare, testare in continuazione, evidentemente trovava la realizzazione, il completamento di se stesso. [«Il senso della sua vita»] Bravo. Lo faceva sentire vero, felice. Attraverso gli anni aveva guadagnato delle cifre enormi, battuto ogni record, e mi meravigliavo di come non gli mancasse mai la voglia di restare in pista con i suoi.

Profondo Rosso – blog[modifica]

Citazioni in ordine temporale.

  • [Nel 2006] Non faremo a Michael Schumacher il torto di proclamarlo il più grande pilota di tutti i tempi, anche se questo dicono le statistiche. Non gli faremo questo torto perché ricordiamo la sua reazione quando gli misero sotto il naso le macchine con le quali Ciccio Ascari e Manuel Fangio vincevano corse e mondiali. Io, disse il tedesco con un filo di voce, non sarei mai stato capace di rischiare la vita ad ogni gara, come invece facevano loro. L'onestà intellettuale dell'uomo lo ha reso, invece, il Migliore per l'era della modernità. Davvero: nell'epoca dell'elettronica, dei computer, delle gomme, delle strategie sofisticate e della esasperazione tecnologica, Schumi è diventato il Campionissimo. Nessuno come lui sa creare la differenza, miscelando e reinterpretando le leggi della telematica applicate alla automobile. [...] ha firmato imprese enormi, sulla pioggia come sull'asciutto, degne della leggenda dei predecessori antichi, non quando ha avuto in mano la Ferrari dei record [...]. No: Schumacher si è imposto come Lider Maximo nei momenti in cui guidava vetture non irresistibili. Sembra un controsenso, eppure non lo è: chi scrive lo ha visto conquistare mondiali con una Benetton che andava più piano della Williams e con una Rossa che non valeva la McLaren di Häkkinen. Di più: sbalordiscano pure gli ingenui, ma il Michelone supremo è stato quello del 1997, l'anno della famigerata collisione di Jerez con Villeneuve. Perché aveva una monoposto troppo inferiore però, fino alla curva fatale, stava davanti. [...] A questo talento ha aggiunto la qualità umana: con chi gli sta accanto, Michael è diversissimo da come appare in pubblico. Non è scostante, distaccato, algido, presuntuoso, inavvicinabile. Ci occupassimo di calcio, disciplina da lui amatissima, diremmo che è il classico «uomo da spogliatoio»: affidabile, mai disposto a scaricare su altri le responsabilità. Nel 1999 un errore del team lo ha quasi ammazzato, a Silverstone: mai se ne è lamentato. Da fuori, lo abbiamo ammirato e rispettato, senza riuscire a venerarlo. Colpa di una identità rigorosamente estranea a qualunque forma di popolarità gratuita.[5]
  • [Sul motomondiale 2007] C'è qualcosa di romantico, in questa strepitosa conquista mondiale del marchio Ducati, della azienda Ducati, della intelligenza Ducati. Qualcosa che rimanda direttamente alle radici di una terra, l'Emilia grassa e dotta, che ha saputo fare del motore e dei saperi collegati al motore una impresa, nel senso autentico ma anche metaforico del termine. [...] La Ducati ha lanciato la sfida ai colossi giapponesi, la sfida di Davide a Golia, ben conoscendo l'enorme diversità delle dimensioni, economiche e produttive. Non c'era e non poteva esserci, per la gente di Borgo Panigale, il "dovere" della vittoria: anzi, la logica fredda dei numeri suggeriva un epilogo inevitabile, favorevole alla Honda o alla Yamaha. Diranno gli esperti, davanti al capolavoro iridato del marchio emiliano, che, sì, certo, va bene la poesia della Terra dei Motori, però qui è stata determinante la...prosa australiana di Stoner, per tacere delle gomme nipponiche marchiate Bridgestone. Per carità, è vero: ma dentro e dietro la storia della Ducati mondiale c'è la forza di una competenza che da locale si trasforma in globale. Gli americani, che se ne intendono, sostengono che il futuro è "glocal", non "global": se ti manca la cultura delle origini, sei perduto.[6]
  • [Sulla Scuderia Ferrari] [...] per storia e per tradizione, il Cavallino è "obbligato" a vincere, qualunque sia lo spessore della concorrenza: non esiste complesso di inferiorità in pista, per la Signora della Velocità.[6]
  • [Su Carlo Marincovich] Era un amico ed è stato un maestro di innovazione: il primo giornalista italiano, io credo, a comprendere che la Formula Uno andava narrata non solo come momento di altissima tecnologia, ma anche, se non soprattutto, come umanissima emozione, generata da persone in carne e ossa, fragilissimi eroi pure quando sembravano fuoriclasse indistruttibili. Io a Carletto ho voluto molto bene. E mancherà a me, al giornalismo, allo sport, alla vita.[7]
  • [Su María de Villota] Non l'ho conosciuta, questa ragazza che sognava di essere al volante di una Formula Uno [...]. Non commentai il suo sconcertante incidente in un test con la Marussia [...]. Nello schianto Maria perse un occhio e poi ci eravamo abituati a vederla con una benda da pirata sulla fronte. Non svaniranno con lei i sogni e magari un giorno lontano, quando una ragazza vincerà il mondiale di Formula Uno, ecco, ripenseremo alla De Villota, figlia d'arte che si immaginò come pioniera verso una frontiera tutta da esplorare.[8]
  • [Su Luca Furbatto] Uno di quegli ingegneri che vengono dalla scuola italiana che insegna ad amare l'automobile da competizione, a prescindere dalle risorse, dalle ambizioni, dai risultati da podio.[9]
  • Una sera di aprile Irvine venne a cena a casa mia. Fortunatamente le mie figlie erano bambine e quindi non corsero rischi. Aveva guidato tutto il giorno a Fiorano, 100 giri di test gomme. Divorò due piatti di tortellini e poi mi raccontò aneddoti fantastici su Schumi. Umanamente lo trovava incomprensibile, maniacalmente devoto al mestiere. Ma come pilota Eddie venerava Michael. È il più grande, concluse bevendo il nocino di mia suocera. Ma subito aggiunse ghignando: comunque io ho fatto sesso con una sua compagna di scuola e lei mi ha giurato che in classe Schumi nessuna se lo filava.[10]
  • Io e Ayrton [Senna] eravamo coetanei. Classe 1960, entrambi. All'anagrafe eravamo divisi da appena tre giorni. Diventammo amici tramite un bravissimo fotografo bolognese, Angelo Orsi. Lui, il mago del click, aveva conosciuto Senna quando ancora era un aspirante pilota sui kart. Orsi mi presentò il brasiliano a fine anni Ottanta. Ricordo ancora la sua frase: voi due siete fatti per essere complici. Era vero. Io ho un rimpianto enorme, che rimarrà con me fino alla fine. Quel sabato, il 30 aprile 1994, un incidente sulla pista di Imola aveva appena spezzato la vita di Roland Ratzenberger, il milite ignoto della Formula Uno, un austriaco sconosciuto. Senna era stato l'unico, tra i suoi colleghi, a precipitarsi sul luogo dello schianto. E volevano pure multarlo, per quel gesto di umana disperazione. Bene. Anzi, male. Mezz'ora dopo, dietro i box di Imola, incrociai Ayrton. Era sgomento. Con un cenno gli feci capire che desideravo scambiare due parole. Con uno sguardo, mi segnalò che no, non era il caso, meglio domani. Non esiste domani! L'1 maggio Senna morì contro il muro del Tamburello e certo quello era il suo destino e nulla sarebbe cambiato se anche ci fossimo fermati a conversare. Ma io ho la traccia di quel dolore che non passa, non è passato mai. Sapete, non accade spesso, nemmeno a un cronista fortunato come me. Non capita spesso, intendo, di poter raccontare le imprese di un campione che ha la tua età, ha i tuoi stessi slanci, ascolta le stesse canzoni, vede gli stessi film, partecipa alle stesse emozioni generazionali. Con Ayrton è stato così. Lui era un grandissimo, un asso del volante. Gli ho visto fare cose meravigliose in pista, a Pasqua del 1993 a Donington, in mezzo ad un diluvio apocalittico, vinse in modo fantastico. Eppure, non me ne frega niente. Mi frega che quella sera, uscendo dal circuito, ci incontrammo per caso per un attimo e mi disse: beh, tua figlia Elena neanche ha tre anni, raccontale la storia di questa gara così quando sarà più grande e io guiderò la tua Ferrari avrà un motivo in più per tifare per me... [...] E invece finì tutto quella domenica 1 maggio 1994 a Imola e due giorni dopo, martedì 3, facemmo l'ultimo viaggio insieme. Volo Varig da Parigi a San Paolo. Business class. Lui nella bara, sistemata lì, tra i passeggeri, avvolta nella bandiera verde e oro del Brasile che amava tanto. E io di fianco. Ci siamo parlati tutta la notte, Ayrton. Non mi crederà mai nessuno, eppure la sentivo ancora, la tua voce. La sento ancora, sai?[11]
  • Italia 90 rappresentò qualcosa di simbolico. Nel male. E nel bene. Nel male, perché sprechi e ruberie e furberie confermarono la tendenza alla dilapidazione gratuita e ingiustificata. Ancora nel male, perché la scelte fatte sugli impianti furono un esempio di inesistente lungimiranza. Vennero costruite autentiche cattedrali nel deserto (il Delle Alpi di Torino, per dire), furono ampliate a sproposito strutture che ben potevano restare com'erano (l'Olimpico a Roma). E tutto mentre nel mondo si avvertiva l'esigenza, invece, di andare verso stadi più piccoli, a misura d'uomo. Nel bene, però, quel torneo per oltre un mese offrì a tantissimi il senso di una partecipazione ad una passione collettiva, unificante come talvolta solo lo sport, nello specifico il calcio, sa essere.[12]
  • [Sul Gran Premio di Francia 1990] La domenica in cui stavo all'Olimpico per la finale iridata [del campionato mondiale di calcio 1990] tra i tedeschi e gli argentini, la Formula Uno si esibiva al Castellet, in Francia. Dovevo occuparmi di Klinsmann e di Caniggia. Andò a finire che dovetti scrivere, fortunatamente e felicemente, della Ferrari. Prost vinse ancora e fu il successo numero 100 della Rossa nei Gran Premi. Vinse superando nel finale un magnifico Ivan Capelli, secondo con la Leyton House. La Leyton House? Ma cos'era, il nome di una casa di appuntamenti di lusso?!? No, era una macchina. Una monoposto con la quale aveva a che fare un ingegnerino dai pochi capelli. Come si chiama costui? Adrian Newey. Mentre l'interista Brehme chiudeva il mondiale trasformando il rigore che consegnava la Coppa alla Germania, di una cosa ero sicuro. Non avrei mai più sentito nominare Adrian Newey in vita mia, garantito. Sono sempre stato un gran profeta, io.[12]
  • [Su Fernando Alonso] Sul driver, niente da dire. Uno dei migliori che ho visto dal vivo. Un racer. Uomo da gara. Fortissimo. Sul personaggio, mi sono espresso tante volte. Pure troppo. Se hai 25 anni nel 2006, hai già vinto due titoli e arrivi a quaranta e i titoli sono sempre due, insomma, qualche domanda te la dovresti fare. [...] So che non è facile per nessuno esercitare l'arte dell'auto critica. A maggior ragione se sei circondato da adulatori. Spesso sciocchi. Dirò, paradossalmente, che l'Alonso migliore in pista è stato quello del 2007, quello che pareggiò il duello con Lewis Hamilton, in un contesto ambientale, dentro la McLaren, a lui progressivamente ostile. E dirò anche che il coinvolgimento nella spy story resta una macchia, anche se in circolazione ci sono sempre tanti... smacchiatori.[13]
  • Dell'Alboreto ferrarista molto è stato detto, talvolta anche a sproposito. Il Drake gli voleva bene e lo aveva voluto a tutti i costi. Ma Enzo ormai era molto anziano e non controllava più la situazione. Sia come sia, nel 1985 Michele andò vicino al titolo. Lo perse contro Prost anche per misteriosi azzardi tecnologici, roba di forniture vagamente farlocche, cose così. Ma mi colpì molto un dettaglio. A inizio stagione, Alboreto aveva promesso una vacanza al mare dei Caraibi, tutta pagata, alla gente della squadra. Come premio per l'eventuale conquista del mondiale. Il mondiale lo vinse la McLaren, ma Michele mandò comunque in vacanza, di tasca sua, i meccanici. Spiegò: fosse stato per voi, ce l'avrei fatta. Questo era il personaggio. Non sempre solare, talvolta brusco, ma autentico.[14]
  • [Su Antonia Terzi] La conobbi per errore all'alba del millennio. Nel box Ferrari, in piena era Schumi, aveva fatto la sua apparizione una ragazza bionda. In un mondo maschilista, pensai si trattasse della ennesima addetta alle comunicazioni. Fu meraviglioso scoprire che invece si trattava di un ingegnere aerodinamico. Una donna dentro e dietro le imprese di Michael! Le dedicai un articolo sui miei giornali. Il primo su Antonia, che aveva rotto in F1 un tabù.[15]
  • Ho sempre voluto bene a Frank Williams. Penso che con lui se ne sia andato l'unico "garagista" britannico che davvero meritava di essere avvicinato alla mitica figura di Enzo Ferrari. Del resto e non per caso, da giovane Frank era venuto a vivere nel modenese! Faceva il meccanico al servizio delle ambizioni corsaiole di De Tomaso, pittoresco e funambolico hidalgo d'Argentina calato sulla terra dei motori in un mix tra passione e rapacità. Di sicuro in Williams prevaleva la passione. Voleva assolutamente diventare un costruttore di Formula Uno. Fu bravo a trovare sostegni finanziari tra gli sceicchi e per due decenni buoni, dalla fine degli anni Settanta fin quasi al nuovo millennio, sue furono le macchine che vinsero di più nei Gran Premi. In mezzo ci fu il terribile incidente stradale che lo condannò alla sedia a rotelle. Ma a quella condizione disperante reagì imponendosi di continuare a vivere per le corse. Dalla prima vittoria con Clay Regazzoni in Inghilterra nel 1979 fino all’ultimo mondiale con Villeneuve junior nel 1997, passando per le imprese iridate di Jones, di Piquet padre, di Mansell, di Prost, di Damon Hill, ecco, sempre io ho ritrovato in Frank l'entusiasmo del meccanico che a Modena campava di panini. [...] Quando pensate alla F1, a come era e come è e a come sarà, beh, ricordatevi sempre quanto sia stato grande quest'uomo, il meccanico che mangiava panini in una Modena che non c'è più.[16]
  • All'alba degli Anni Settanta, quando transitavo dalle elementari alle medie, Munari era un idolo generazionale. Lui nei rally, al volante della Lancia (HF, credo) sulle curve del Col de Turini, era come i gol di Gigi Riva, gli slalom di Gustavo Thoeni, le pedalate di Felice Gimondi. Un riferimento assoluto. Quando Enzo Ferrari chiamò Munari a vincere la Targa Florio del 1972, insieme ad Arturo Merzario, passai una domenica pomeriggio ascoltando le notizie su Radio Rai, che poi all'epoca era l'unica radio, a onde medie. E la Stratos? E le delusioni del Safari? A volte penso che chi è nato molto dopo di me abbia sì la gioia dei troll su Internet, povere infelici teste di cazzo protette dal nickname, e via delirando. Ma che cosa si sono persi?!? Mi si obietterà: sei un barbogio nostalgico. Infatti lo sono e non me ne frega una beata mazza.[17]
  • [Sul Gran Premio di San Marino 1983] Era il 1983. Come potremmo dimenticare? Per la prima volta Imola ospitava il Gran Premio di Formula Uno senza Gilles. Il mitico Villeneuve era volato via in un triste pomeriggio a Zolder, dodici mesi prima. Ma aveva cominciato a morire proprio sul tracciato del Santerno, quando si era sentito tradito dal compagno di squadra in Rosso, il francese Pironi. Si disse che era stato proprio quest'ultimo, Didier, a suggerire Tambay come sostituto del compianto canadese. Patrick era un pilota veloce, elegante nei modi ma tosto di carattere. Non poteva eguagliare Villeneuve come carisma, ma gli orfani di Gilles lo scelsero subito come simbolo, come erede, come l'alfiere chiamato a risollevare la bandiera caduta. [...] E fu proprio a Imola che Patrick fuse la sua identità con quanto restava del Mito. La gente lo aspettava, il francese guidava la stessa macchina, sulla griglia di partenza era stata tracciata una scritta. Salut, Gilles. Io non so se esista un Dio dell'automobilismo. So in compenso che quella domenica guardò giù e sentì battere all'impazzata il cuore di un popolo. Il povero Patrese, che era al comando con una Brabham, finì fuori pista e la folla, ingenerosa, esultò. Ma lo fece senza cattiveria, lo fece per Gilles e quindi lo fece per Tambay, trionfatore a nome di una istanza collettiva. Me ne rendo conto: racchiudere una carriera in una domenica suona vagamente ingeneroso. [...] Ma che ci volete fare? Tambay ha fatto la storia quello domenica a Imola e ne era consapevole.[18]
  • Per chi era al liceo nella seconda metà degli anni Settanta, il turbo in F1 rappresentò una rivoluzione epocale. [...] ai box dei Gran Premi accadevano cose che accendevano la fantasia. Pensate alla Tyrrell a sei ruote, che riuscì pure a vincere una gara. Del turbo targato Renault, Jabouille fu all'inizio il Moschettiere solitario. Io seguivo incuriosito quella macchina rumorosa, annotavo le sistematiche rotture, eppure eravamo in tanti a sospettare che quella fosse la via (in anticipo sul Mandaloriano). E accadde, anche se a goderne non fu il turbo Renault. Forse c'era un destino già scritto, anche per Jabouille. Se ne rese conto anche lui, mi raccontò una volta Arnoux. Se ne rese conto quella domenica a Digione nell'estate del 1979. Un giorno storico, perché finalmente un turbo vinse un Gran Premio e lo vinse con Jabouille nell'abitacolo. Ma non se ne ricorda nessuno, perché alle sue spalle andò in scena l'epico duello tra Renatino e Gilles. La sera, a Digione, Jabouille disse ridendo ad Arnoux: ma proprio stavolta dovevi combinare tutto 'sto casino? Era un mondo così.[19]
  • [Sulla Ferrari 640 F1] Quella disegnata da Barnard. Quella di Mansell e Berger. Quella, come si scriveva allora, dotata di cambio elettroattuato. Una rivoluzione! L'idea, alcuni lo ricorderanno, veniva da un cassetto di Mauro Forghieri. In un certo senso, la Rossa del 1989 fu l'ultimo regalo di Furia al Cavallino. Aggiungo che quella vettura segnò, senza più repliche!, l'innovazione Ferrari poi da tutti copiata, in fretta e furia (appunto). [...] ci vedevo l'estrema testimonianza di una genialità italiana, anzi, se posso permettermi, modenese.[20]
  • Poi uno si chiede cosa sia la Ferrari, tra mito e tradizione, tra fascino e sogno. Beh, ve lo spiego subito, con un esempio fresco fresco. Stavo finendo di pranzare al Montana, il tempio gastronomico della Rossa, meravigliosamente governato da Maurizio e Rossella. Ero con quattro amici carissimi [...]. Quando sulla porta del ristorante si è affacciato lui. Carletto. Per l'anagrafe, Charles Leclerc. Il Predestinato o come diavolo preferite chiamarlo, sebbene il detentore del titolo sia ancora Max Verstappen. Leclerc ha vinto appena cinque Gran Premi in carriera. Eppure, sin dalle primissime apparizioni in sella al Cavallino ha incendiato i cuori della gente comune. Sarà l'aria da ragazzino, sarà la genuina sfrontatezza di un giovane rampante, sarà quello che vi pare. Ma raramente io ho visto tanto affetto intorno ad un pilota della Scuderia. La prova ultima? Beh, i miei quattro commensali non gliel'hanno mandata a dire. Tra un selfie e un abbraccio, il messaggio è stato corale: "Vedi di vincere il Mondiale, hai diritto ad una macchina che ti permetta di mostrare il talento che hai, perché tu sei più forte di quel diabolico olandese..." Onestamente, Leclerc è un ragazzo d'oro. Invece di evitare i fans, ha sorriso con il garbo di chi sa che non esiste una via di scampo. La Ferrari è una ossessione. Fine delle trasmissioni.[21]
  • [Sul Gran Premio motociclistico delle Nazioni 1973] Quel giorno finì la mia innocenza di bambino. Stavo allo stadio a vedere una partita del Sassuolo, allora in serie D. Una radiolina portatile annunciò la tragedia di Monza. La primissima informazione dava per morto anche Walter Villa [...]. Certo Saarinen e Pasolini non erano i primi eroi della velocità a perdere la vita in pista. Nemmeno sarebbero stati gli ultimi. Eppure, per me quella catastrofe di Monza segnò uno spartiacque. Fu il passaggio dalla spensieratezza alla malinconica consapevolezza. Pasolini portava gli occhiali, saliva in sella a una moto della sua terra, la Benelli. Era l'anti eroe rispetto a Giacomo Agostini, la leggenda assoluta. Io tifavo per il Paso perché stare con chi vince (quasi) sempre, dal calcio alla F1 eccetera, è una comodità alla quale ho scelto di rinunciare sin da moccioso. E poi c'era Jarno. Saarinen! Credo che [...] sia stato lui a trasmettermi la passione per i finlandesi. Quando il 19 marzo, festa di San Giuseppe, le moto gareggiavano sul vecchio circuito di Modena, i ragazzi più grandi del quartiere si fiondavano nel capoluogo e si aggrappavano alle recinzioni pur di vederlo, Jarno. A sera tornavano e mi raccontavano le mirabolanti "pieghe" del finnico. Io spalancavo gli occhioni e mi dicevo: appena potrò, appena avrò un motorino per me, andrò anche io a vederli dal vivo, Jarno, Paso e Ago. Poi arrivò quella notizia dalla radio. E la mia innocenza volò via con Jarno e Renzo.[22]
  • Avevo conosciuto per la prima volta le emozioni del Principato nel 1989. L'impatto era stato bizzarro, su un provinciale come me. Dopo due giorni, avevo riconosciuto nei paraggi delle monoposto almeno una dozzina di noti latitanti! Ma non ero lì per conto dell'Interpol, dunque presi atto della vittoria di Ayrton. Poi con Senna diventai amico. Lui rivinse nel 1990. E nel 1991. E nel 1992, respingendo un furibondo assalto finale del Leone Mansell. Quella volta lì [...] incontrai Ayrton in sala stampa. Ti rendi conto, gli dissi ridendo, che qui io ho visto solo te sul gradino più alto del podio [...]? Mi rispose con quel tratto sghembo del viso che riservava agli amabili scocciatori. Però, ecco, nel 1993 ero sicuro che finalmente avrei ammirato un altro vincitore. La Williams di Prost pareva invulnerabile. Anche per Ayrton. Per giunta, manco pioveva. Invece. Senna primo, per la quinta volta consecutiva. La sesta in assoluto, record storico e stellare. Non che mi dispiacesse, tutt'altro. [...] Incrociai Senna nel dopo gara [...]. Doveva avere una gran memoria. Beffardo, mi bisbigliò: sappi che vincerò anche l'anno prossimo, nel 1994. Non avrai altro vincitore all'infuori di me, pensai divertito. Dodici mesi più tardi, lui a Montecarlo non c'era. Mi rammentai all'improvviso di quelle frasi allegre e andai a piangere da solo in un angolo isolato della sala stampa.[23]
  • Quando, poco più che ventenne, iniziai a frequentare i circuiti della F1, ero ovviamente circondato da colleghi che avevano trenta, talvolta anche quarant'anni più di me. Naturalmente, questi adorabili compagni di viaggio non la smettevano mai di spiegarmi quanto diverso e migliore fosse l'automobilismo della loro giovinezza. Avevano visto guidare Clark, Stewart, Fangio, qualcuno addirittura millantava di aver fatto in tempo ad ammirare dal vivo Nuvolari. Altro che i "miei" Prost, Piquet, Alboreto, Mansell! E il pubblico, signora mia! Che decadenza! Nella seconda metà degli anni Ottanta la gente andava negli autodromi con bandiere, fischietti, tamburi. Talvolta per la gioia invadeva pure la pista. Barbari! Vuoi mettere con la compostezza dei tifosi degli anni belli? Inoltre, una volta sì che gli appassionati di corse erano preparati. Mica come nella mia era, quando freschissimo e lancinante era il ricordo delle mattane di Gilles. Perbacco, si era proprio abbassato il livello della competenza, se ci eravamo innamorati di uno che sbrindellava sempre semiassi, motori, fiancate... Infine, per carità, c'era un degrado persino filosofico. A Ecclestone interessavano solo i soldi. A Ferrari e ai suoi competitors pure. [...] Era ormai tutto un wrestling, infatti la definizione Circo a quattro ruote nacque allora. E noi giovani degli anni Ottanta non capivamo che era tutto un grande imbroglio, dagli ottani delle benzine alle furbate aerodinamiche di Ducarouge, non capivamo, noi giovani del 1985 e dintorni, perché eravamo ignoranti, ci bastava dire di essere stati fisicamente a Imola o a Monza o a Zeltweg ma non eravamo degni di confrontarci con chi era stato, per sua fortuna, giovane decenni prima. Siamo nel 2023, mi sento raccontare le stesse cose, sebbene vecchio sia diventato io.[24]
  • Primavera 2004. Storicamente la stagione più bella per la Ferrari in F1. Il comune di Fiorano mi invitò a condurre una cerimonia pubblica: a Todt, a Barrichello e a Schumi veniva conferita la cittadinanza onoraria. C'era un delirio di gente. Bambini, nonne, operai. Tutti. Prima di andare in scena, il Pinguino di Francia, con la rituale ferocia, mi prese da parte. "Turrini, lei sa che Schumi non ama parlare in italiano in pubblico, dunque non rompa i coglioni e lo intervisti in inglese, grazie e non mi faccia incazzare come è suo costume". Simpaticissimo, as usual. Dunque, ci troviamo sul palco e obbedendo al sosia di Alvaro Vitali mi rivolgo a Michael nella lingua di Churchill. Prima domanda banalissima: dopo tanti anni spesi qui, cosa ti piace di questa terra, al netto della Ferrari? E non lo so che cosa è accaduto. Non l'ho mai capito, sul serio. Davanti a tutta quella gente, Michael Schumacher rispose in italiano. Parlò di cucina, di pallone, di automobili da strada. Nella lingua di Dante. Venne giù il teatro. È la memoria più bella che ho di lui.[25]
  • Io cerco di adattarmi alla modernità, pur venendo da un'altra generazione. Scrivo in luoghi "pubblici", con la firma mia, ormai da mezzo secolo. Mi hanno insegnato, quando ero adolescente, che una opinione è una opinione. Una lettera anonima è anonima e va cestinata.[26]

Lauda sulla Ferrari, cinquant'anni fa

quotidiano.net, 10 gennaio 2024.

[Su Niki Lauda]

  • [...] il 13 gennaio 1974, sulla pista del Gran Premio di Argentina iniziava l'epopea ferrarista di Niki Lauda. Credo, con tutto il rispetto per chi è venuto dopo, che quell'evento abbia inciso in maniera non replicabile sulla storia del Cavallino. [...] È con la Rossa dell'austriaco (e di Montezemolo diesse e di Forghieri dt e di Regazzoni al volante) che la Ferrari del Drake diventa davvero un fenomeno nazionalpopolare. Non che prima non lo fosse: ma con Niki avviene il salto di qualità. Ero un adolescente, [...] fu allora che mi accorsi che attraverso Lauda una generazione nuova stava appassionandosi ai Gran Premi. Contribuirono tante cose, per carità: ad esempio, latitando ancora la Rai in vaste zone d'Italia arrivava il segnale della Televisione Svizzera Italiana, TSI in codice. I ticinesi, le corse le trasmettevano tutte in diretta. Pure a colori, se avevi la fortuna di permetterti l'apparecchio. E poi c'era lui. Lauda.
  • Posso paragonarlo a pochissimi, come campione. Ma la sua popolarità non dipendeva soltanto dal talento. Avevo un vicino di casa, una dozzina d'anni più vecchio di me, che lavorava come meccanico al reparto corse. Si chiamava Ermes Gambarelli. Andava a tutte le gare. Fu lui, all'inizio del 1974, a raccontarmi che Niki era un fenomeno. Non solo di piede, mi spiegò. Di testa.
  • Cosa sia stato Lauda per i ferraristi non starò a ripeterlo. Il dramma del Ring lo sublimò nell'immaginario collettivo: ero ai box a Fiorano, imberbe cronistello sedicenne, quando venne a dirci, sfigurato dalle ustioni, che sarebbe andato a correre a Monza. C'è da qualche parte una foto in cui si coglie uno stupore sbigottito sulla mia faccia, lì accanto a lui: non credevo a quanto stavo vedendo. Niki è stato tutto questo e ancora molto altro. Il ritiro del diluvio nel Fuji non fu solo un episodio da dibattito. Fu l'esaltazione di una identità: perché quando Forghieri, per salvarne l'immagine, gli disse che si sarebbe preso lui la colpa, inventando un guasto tecnico, beh, Lauda rispose che no, grazie, lui si era fermato perché aveva paura di morire e tutti lo dovevano sapere. E il resto, fino al suo ruolo in Mercedes passando per la McLaren divisa con Prost, appartiene al repertorio di una esistenza da romanzo.
  • Io ho fatto il mestiere che ho fatto perché Niki Lauda entrò nelle mie fantasie di ragazzino. Un giorno glielo dissi pure. Mi rispose ridendo: "Beh, anke io sbagliato, talvolta..."

Note[modifica]

  1. Da Bello e possibile, Pallavolo Supervolley, giugno 1991; citato in Amarcord 1991: Il personaggio Karch Kiraly, volleyball.it, 30 marzo 2020.
  2. Da Pazza Inter, Milano, Mondadori, 2007, ISBN 978-88-04-56701-1.
  3. Da Formula 1, Turrini: "Ho un rimorso: non aver parlato per l'ultima volta con Ayrton Senna", sport.sky.it, 24 aprile 2019.
  4. Dall'intervista di Daniela Bertoni, Turrini a CM: "Valentino Rossi come Coppi, Bartali e il Grande Torino. L'Italia si è piantata, lui no", calciomercato.com, 22 ottobre 2021.
  5. Da Schumacher, 16 anni da Re, blogquotidiani.net, 11 settembre 2006.
  6. a b Da Perché la Ducati è meglio della Ferrari, blogquotidiani.net, 26 settembre 2007.
  7. Da L'ultimo Gp di Carlo Marincovich, 18 novembre 2008; citato in Antonio Azzano, Carlo Marincovich: Vela e Ferrari , formulapassion.it, 18 agosto 2012.
  8. Da Adios, Maria, quotidiano.net, 11 ottobre 2013.
  9. Da Il mio amico Furbatto e il motore Mercedes, quotidiano.net, 3 ottobre 2015.
  10. Da 1999, tutti i segreti del mondiale F1 che cambiò le nostre vite, quotidiano.net, 19 marzo 2020.
  11. Da Ayrton Senna compie 60 anni, quotidiano.net, 20 marzo 2020.
  12. a b Da Italia90 e Adrian Newey, quotidiano.net, 15 aprile 2020.
  13. Da Alonso e la favola incompiuta, quotidiano.net, 7 luglio 2020.
  14. Da Imola e Alboreto, quotidiano.net, 14 aprile 2021.
  15. Da Addio ad Antonia Terzi, la donna che cambiò la F1, quotidiano.net, 1º novembre 2021.
  16. Da Addio a Frank Williams, il Ferrari inglese, quotidiano.net, 28 novembre 2021.
  17. Da Cosa debbo a Sandro Munari, quotidiano.net, 14 gennaio 2022.
  18. Da Adieu, Patrick Tambay, quotidiano.net, 4 dicembre 2022.
  19. Da In memoria di Jabouille, il Mandaloriano della F1, quotidiano.net, 2 febbraio 2023.
  20. Da L'ultima Ferrari a fare la Storia, quotidiano.net, 11 febbraio 2023.
  21. Da Io, Leclerc e Rosa Chemical, quotidiano.net, 16 febbraio 2023.
  22. Da 50 anni senza Pasolini e Saarinen, quotidiano.net, 19 maggio 2023.
  23. Da L'ultima di Ayrton a Monaco, 30 anni fa, quotidiano.net, 21 maggio 2023.
  24. Da Il Sainz del venerdì e KR7 viene a vivere in Italia, quotidiano.net, 1º settembre 2023.
  25. Da Dieci anni senza Schumi, quotidiano.net, 19 dicembre 2023.
  26. Da Che Horner sia con voi, quotidiano.net, 28 febbraio 2024.

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