Julio Velasco
Julio Velasco (1952 – vivente), dirigente sportivo e allenatore di pallavolo argentino naturalizzato italiano.
Citazioni di Julio Velasco
[modifica]Citazioni in ordine temporale.
- Le olimpiadi sono ricordate per le storie umane che raccontano.[1]
- [...] l'allenatore conta poco o [...], se conta abbastanza, potrebbe vincere con qualsiasi giocatore. Beh, non è così. Si deve credere nel gioco di squadra. E in questo contesto è l'allenatore il punto fisso, l'unica garanzia di coerenza.[2]
- Ricordo ancora tutte le spiegazioni che si davano nell'89, che gli italiani non potevano vincere. La nazionale maschile [...] è la dimostrazione che, invece, non è facile ma è sempre possibile arrivare primi.[2]
- Si diventa fenomeni quando si ha un grandissimo talento e si lavora come se non lo si avesse.[3]
- Tutti parliamo di gioco di squadra, però poi il gioco di squadra lo fanno pochissimi, si pensa ai personaggi.[4]
- Io non vieto niente [...], tranne di allenarsi male.[4]
Citazioni non datate
[modifica]- [Su vittoria e sconfitta] Chi vince festeggia, chi perde spiega.[5]
- I miei giocatori che sono diventati allenatori, da De Giorgi a Bernardi, da Giani a Gardini, da Tofoli a Bracci e Cantagalli e tutti gli altri, tu non li vedrai mai alzare le braccia al cielo e sbuffare per un errore di un loro giocatore.[6]
- In partita non si molla mai, questa è una regola. Secondo, no alibi: non spiegatemi perché non potete fare le cose. Terza, l'errore è parte dell'apprendimento. Perché se non metto anche questa, siamo i Marines. E a me i Marines non mi piacciono. Come modo didattico, parlo.[7]
- [Sulla dittatura militare argentina] In quel periodo ho imparato a pensare una cosa e a dirne un'altra.[8]
- La prima regola che io metto è "Non si molla". Mai. Possiamo giocare male, possiamo avere una brutta giornata, però non si molla. Se si molla sono dolori. Una volta con la Nazionale siamo andati negli Stati Uniti: giocavamo con gli Stati Uniti due partite di World League, vincendo la prima eravamo già qualificati per le finali. Siccome io combattevo questa cosa ho detto: «Abbiamo vinto la prima, la seconda la giochiamo» che in gergo vuol dire "la giochiamo", non "stiamo in campo": la giochiamo, come le altre. [mima la risposta dei giocatori] «Sì, sì, sì, sì.» Siamo entrati in campo e tic, tic, tic [mima l'atteggiamento svogliato dei giocatori] perdiamo 3-0 la domenica. Martedì avevamo il volo, eravamo in California a Los Angeles, lunedì era programmata visita a Disneyland, che io non conoscevo. Abbiamo fatto pesi in albergo, lunedì. E Disneyland non l'abbiamo vista. Perché io metto poche regole, ma quelle lì sono sacrosante. Non si molla mai. Che vuol dire? Mai. Mai si molla. In partita, mai.[7]
- Le giocatrici e i giocatori non sono tutti uguali: ci sono giocatori più importanti, giocatrici meno importanti, la prima cosa chiara in questo è il conto in banca.[9]
- Non saprei che fare senza la genuinità, vivacità dello sport, cosi come senza la riflessione, i libri, lo studio.[8]
Citato in Aldo Cazzullo, corriere.it, 12 agosto 2024.
- Paola [Egonu] è un personaggio. E quando diventi un personaggio, il personaggio vive di vita propria. Non sei più tu. Non lo controlli. Appartiene ad altri. E questo può essere un problema. Paola forse è ancora di più: è un'icona.
- [...] il peggior regime è il regime che funziona.
- Sono ancora un uomo di sinistra, ma non ideologico; forse perché lo sono stato troppo in gioventù. Non voglio stare tra le veline intellettuali: per questo in Italia non ho mai fatto politica [...]. C'è un errore che la sinistra non dovrebbe commettere: rinunciare al merito, e anche all'autorità. In Italia se un maestro sequestra il telefonino all'allievo gli danno del fascista. Ci si atteggia ad anarchici, per poi rifugiarsi nell'autocrazia: vent'anni di Duce, vent'anni di Togliatti, vent'anni di Berlusconi...
Citato in Flavio Vanetti, corriere.it, 9 febbraio 2022.
- [...] un allenatore non è altro che la propria squadra. Tutto quello che un allenatore fa è aiutare i propri giocatori in modo che siano loro a fare. [...] mi ricordo di ognuno di loro. Non solo di quelli più forti. Perché molte volte un allenatore impara di più insegnando ai quei giocatori a cui le cose non vengono facilmente.
- Di Velasco avete costruito un personaggio. Io devo "uccidere" quel personaggio.
- L'attaccante schiaccia fuori perché la palla non è alzata bene. A sua volta l'alzatore non è stato preciso per colpa della ricezione. A questo punto i ricettori si girano a guardare su chi scaricare la responsabilità. Ma non possono chiedere all'avversario di battere facile, in modo da ricevere bene. Così dicono di esser stati accecati dal faretto sul soffitto, collocato dall'elettricista in un punto sbagliato. In pratica, se perdiamo è colpa dell'elettricista.
- [...] la politica è mediazione, io amo le scelte decise.
- Basta pensare che il patriottismo odora di fascismo: dovrebbe anzi essere una bandiera della sinistra.
Citato in Giuseppe Pastore, ultimouomo.com, 9 agosto 2019.
- [Nel 1989, all'inizio del ciclo della Generazione di fenomeni] Voi italiani siete i migliori del mondo per ciò che riguarda mangiare, bere e vivere bene. O almeno credete di esserlo. Ma tra queste righe gialle qui, quelle che racchiudono i 18 metri del campo, le beccate sempre dai sovietici, dai bulgari, dai polacchi, dalla Germania Est. Il vostro primo nemico siete voi. Da adesso si gioca per vincere.
- Gli argentini sono italiani che parlano spagnolo, pensano in francese e vorrebbero essere inglesi.
- Il mondo non si divide tra vincenti e perdenti, ma tra brave e cattive persone: tra le brave persone ci sono anche dei perdenti, tra le cattive persone ci sono anche dei vincenti.
Interviste
[modifica]Citazioni in ordine temporale.
- Vorrei che ogni giocatore fosse come Kiraly: sembra che ti mangi, ha le vene gonfie, non molla mai, ti urla in faccia, ti fa sentire che è lui il più forte.[10]
- A me piace proprio scandagliare l'animo umano, amo la psiche dei campioni, cerco di interpretarla il più a fondo possibile. Mi documento molto, ma con questo approccio. [...] comunque tengo per me queste valutazioni. Non voglio ridurre tutto a chiacchiere da bar, non mi piacciono i paragoni, le banalizzazioni.[11]
- Nel calcio è tutto più difficile rispetto alla pallavolo, non c'è confronto. Ci sono esasperazioni, i praticanti a livello planetario sono infinitamente di più. Ovunque i bambini hanno il pallone fra i piedi, a qualsiasi latitudine e in ogni contesto socio-economico.[11]
- Si vede sempre quello che manca, è uno sport tutto italiano, l'erba del vicino è sempre più verde. È una filosofia di vita [...]: ci sono tante squadre forti, si può vincere e si può perdere [...], godiamoci [...] quello che abbiamo e non quello che non abbiamo, poi è chiaro che daremo tutto quello che abbiamo per fare di più.[12]
Il vittorioso
Intervista di Pier Paolo Cioni, Guerin Sportivo nº 25 (647), 17-23 giugno 1987, pp. 94-95.
- Prima della pallavolo avevo praticato altri sport come il rugby, il nuoto, un po' di basket e soprattutto il calcio. Ho giocato fino al livello più alto delle giovanili dello Estudiandes de La Plata. [...] [«Come sei arrivato alla pallavolo?»] Quando avevo 15 anni frequentavo il club privato della Plata, in cui c'erano diversi impianti sportivi dove mi cimentavo per pura passione. E questo finché non arrivò un allenatore, oggi il mio più caro amico, Jorge Taboada. Fu lui a prospettare a me e ad altri miei coentanei la possibilità di costituire una vera squadra di volley. Mi ricordo che molti di noi accettarono l'invito per poter giocare prima e battere poi un gruppo di ragazzi più grandi che ci impediva costantemente di usufruire del rettangolo da pallavolo del circolo. Infatti, dopo solo un mese li abbiamo sfidati e battuti.
- [«Per quale motivo, secondo te, molti alzatori diventano tecnici?»] Sicuramente il regista ha più predisposizione a ragionare sul gioco perché, molto spesso, parla più degli altri con l'allenatore ed è quello che si interessa maggiormente delle varie tematiche. Il mio caso è stato doppiamente motivato. Infatti, oltre alla mia naturale predisposizione che mi aveva portato [...], inevitabilmente, a diventare un buon frequentatore di tavole rotonde, è intervenuto anche il caso: avevo perso il mio lavoro. Trovatomi disoccupato per un'epurazione politica (lavoravo come insegnante in una scuola molto affiatata e sindacalmente molto compatta), partecipai e superai il mio primo corso da c.t. Era il 1974 e questo attestato mi permise di trovare subito lavoro.
- [«Quali sono le caratteristiche di un c.t. perfetto?»] Deve amare pazzamente la sua professione. Non si deve porre limiti di orario. Deve essere mosso da un'autentica passione. La dedizione deve essere totale. Per diventare bravi bisogna investire molto, molto tempo e fare immensi sacrifici. Parlare di volley deve essere un piacere come andare a ballare. Non bisogna essere dei ragionieri. Un giovane che vuole diventare un buon c.t. deve essere sempre disposto, e ben volentieri, a rinunciare al suo tempo libero per partecipare a discussioni tecniche anche improvvisate. Questi "comandamenti" – chiaramente – vengono per tutti gli sport.
- Dovremo smettere di giustificare l'errore e pensare solo a correggerlo.
- [...] con i grandi mezzi di comunicazione, lo sport si è trasformato in un grande spettacolo. [...] Sotto questa nuova luce si è avuta una trasformazione generale e tutti sono diventati professionisti al servizio del diletto del pubblico. Del resto ora lo sport è un prodotto da commercializzare. Un'altra conseguenza dirivata da questi mutamenti, è la sparizione delle scuole come caratteristica di gioco. Ora come ora tutti copiano il meglio dagli altri Paesi. Fatto sta che ormai tutti giocano quasi alla stessa maniera.
- [Ai prodromi della Generazione di fenomeni] Ci sono atleti che in Italia non ci sono, tipo uno schiacciatore puro [...]. Solo recentemente anche qui da voi stanno crescendo un maggior numero di atleti di caratura mondiale moderna. Avete pochi pallavolisti specialisti in un ruolo e tanti universali. Sono convinto che l'Italia possa e debba entrare nelle prime quattro nazioni del mondo. E questo lo dico non per gratitudine, bensì per convinzione. Del resto non ho mai visto un paese che abbia un tale patrimonio di giocatori.
- [«Cosa rispondi a chi dice che sei molto fortunato?»] Che è vero. Del resto la fortuna ha sempre aiutato le grosse imprese.
Cuor di computer
Intervista di Simonetta Martellini, Guerin Sportivo nº 42 (766), 18-24 ottobre 1989, pp. 125-127.
- Non sono io ad usarlo [il computer], è il mio collaboratore Paolo Giardinieri. A Jesi, lo stesso lavoro veniva svolto a mano da due persone. Il metodo non l'ho inventato io. Però il computer è una prerogativa degli americani e nostra. Certo, fa notizia: noi, figli della cultura calcistica, non siamo abituati. [...] [«[...] si narra di un utilizzo molto... latino delle statistiche, nel corso dei recenti Europei»] Siamo stati tanto ingenui da chiedere il permesso di usufruire dei dati durante le partite, a ogni time out e alla fine del set. Prima ci hanno detto sì, poi una protesta, non si sa di chi, li ha fatti tornare sulle loro decisioni. Allora per tre giorni abbiamo ricevuto i fogli della stampante di nascosto, i giocatori in panchina li mettevano sotto la maglia... dopodiché gli svedesi che dovevano giocare con noi la quarta partita ci hanno marcato stretto, ci hanno denunciato... Allora siamo andati a comprare una piccola radio, Giardinieri trasmetteva dalla postazione di Telemontecarlo, il secondo allenatore ascoltava da una ricevente sistemata nel polsino.
- Quando ho un'impressione, chiedo sempre aiuto alle cifre. E poi sono io a decidere. Ma non bisogna fidarsi della soggettività, ecco tutto.
- Non dico: possiamo? Questo va fatto, così e così.
- Basta poco per far emergere le risorse morali che hanno i giocatori [...]. Io credo nell'uomo, nelle cose inspiegabili. Credo nella volontà, in particolare, nel carattere, nell'energia che viene fuori nei momenti meno pensabili.
- [...] io sono fermamente convinto che non si debba mollare mai, è la mia mentalità.
- [«Cosa si nasconde dietro il – dichiarato – rifiuto di essere amico dei giocatori?»] "Amico", per me, ha un solo significato. Se io sono amico di uno, lo difendo perfino quando ha torto, non mi interessa se ha ragione o no. Se fossi amico-amico di un giocatore non lascerei che la società lo mandasse via, anche in caso di scarso rendimento. Molte volte ho avuto voglia di approfondire la conoscenza con un giocatore, e mi sono detto "no": perché quell'amicizia avrebbe potuto condizionare il mio lavoro.
- [«Se non è amico dei giocatori, come si pone nei loro confronti?»] Il rapporto con l'allenatore deve essere di rispetto, anche di affetto. È importante, tuttavia, che i giocatori siano uniti tra loro. Uniti perfino contro l'allenatore. A volte faccio arrabbiare la squadra apposta, quando vedo che molla. In questo ho anche ecceduto, è stato il gruppo a dirmi: stai esagerando. E io sono tornato sui miei passi. Si riallaccia tutto al discorso dell'amicizia: il nostro è un lavoro di stress, ma non basta fare le cose per bene, bisogna farle meglio degli altri. Come posso essere amico e mettere sotto stress i giocatori? Magari uno non ha voglia, ha appena vinto e vorrebbe riposare, ha problemi familiari, ha problemi personali... Ecco, io non devo ascoltare niente. Io devo mettere i ragazzi sotto pressione, sia quel che sia: perché devono giocare, devono vincere.
- Lo sport ad alto livello è spettacolo, come la musica. Se uno vuole che i bambini facciano sport, bisogna poter disporre di strutture, di scuole. Però il giovane deve essere entusiasmato, incentivato dal grande spettacolo sportivo. E lo spettacolo ha bisogno di bravi (e ben pagati) professionisti, di soldi, del grande palazzetto, delle ragazze pon pon. Lo sponsor consente di realizzare proprio questo. Poi il problema della deformazione del messaggio sportivo non riguarda i finanziatori. E comunque non è problema solo dello sport. È l'essere umano, a rivelarsi spesso poco puro.
Un uomo solo ai comandi
Intervista di Marco Strazzi, Guerin Sportivo nº 32-33 (1008), 10-23 agosto 1994, pp. 56-59.
- Mi ritengo un grande lavoratore, che cerca sempre di approfondire e di imparare. [...] Poi sono un tipo determinato, che conosce le proprie responsabilità e non delega nulla agli altri. Quando dicono "vuole fare tutto lui", posso rispondere solo che è vero. E aggiungo: ci mancherebbe altro. Sono l'allenatore, le decisioni spettano a me.
- [«Viene accusato anche di scarsa propensione alla diplomazia...»] È l'aspetto negativo di un carattere forte. È un'arma da usare con cautela: ci sono giocatori che vanno trattati con durezza, altri che richiedono un approccio più tranquillo, altri ancora che a volte devono essere avvicinati in un modo, a volte in un modo diverso. Non è facile, a volte si sbaglia. Però cerco di rispettare sempre questa regola: mai essere duro con i deboli e diplomatico con i forti.
- L'errore più comune, nel presentare un personaggio dello sport, è la semplificazione, il volerlo far sembrare un uomo speciale. Nessuno è perfetto, tanto meno nello sport. Il problema è che, anche quando abbiamo dei dubbi, dobbiamo cercare di nasconderli. Spesso capita di dover prendere decisioni importanti in poco tempo. Per esempio, escludere un giocatore forte quasi quanto quelli che occuperanno il suo posto. In Nazionale capita frequentemente. Ma è una cosa normale, anche i dirigenti d'azienda sono costretti a prendere iniziative delicate senza poter riflettere a lungo. I dubbi sono positivi se servono a meditare con più attenzione; ma diventano un handicap se impediscono di decidere.
- Ho sempre detto che ammiro molto i miei colleghi del calcio. Operano in un mondo totalmente irrazionale, dove nessuno vive lo spettacolo solo per divertirsi. C'è spazio solo per il primo, gli altri non contano niente. Nella pallavolo non è così, le esasperazioni sono lontane.
- Chi "fa" lo sport è portato a giudicare in modo assai diverso da chi se ne sta comodamente seduto in poltrona e magari inveisce contro un calciatore perché "un gol così non si può sbagliare". Se avesse giocato, anche a livelli bassi, saprebbe che invece "si può"; e che chi ha fatto un buon campionato non necessariamente si ripeterà sugli stessi livelli per tutta la carriera. Altrimenti, mi chiedo, come mai Dante ha scritto un solo capolavoro come la Divina Commedia e non altri dieci? Perché certi musicisti jazz sono fantastici in alcuni concerti e solo "normali" in altri? L'uomo è fatto così, non è perfetto; [...] questo vale anche per lo sport.
- Il problema è che in Italia si tende a confondere gli obiettivi con i pronostici. Siamo presuntuosi, insomma. [...] La vittoria non è certa nemmeno se si è fatto il possibile per conquistarla. Ci sono altri fattori: la fortuna, il rendimento degli avversari.
- Secondo me, i giocatori hanno già anche troppi privilegi rispetto ai tecnici: dopo l'allenamento si riposano, noi continuiamo a lavorare; hanno fama, soldi, contratti pubblicitari; la loro attività è più divertente della nostra. E allora che ci lascino almeno prendere le decisioni! [...] trovo comprensibile che un giocatore manifesti il proprio disappunto; ma entro certi limiti.
- [...] le ditte che investono nello sport cercano di esercitare un'influenza anche sulla parte tecnica. Sono loro, in un certo senso, a decidere quali sono i campioni. Per questo, togliere Lucchetta [dalla Nazionale], significa scatenare un casino; mentre escludendo Cantagalli non succede niente, anche se Luca ha vinto quanto Lucchetta, alla Panini e poi in Nazionale. Trovo giusto che i giocatori diventino famosi se sono bravi. Ma non posso accettare che li si voglia far credere bravi solo perché sono famosi.
- Mi ritengo di sinistra, anche se non condivido in pieno le idee e i programmi di chi rappresenta la sinistra in Italia. Da giovane ero un marxista convinto; poi ho cambiato idea, molto prima che il sistema comunista crollasse, e – come altri che hanno vissuto la stessa esperienza – sono diventato decisamente contrario a certi aspetti del comunismo. Aspetti che, temo, non sono semplici degenerazioni di natura staliniana, ma caratteristiche innate. In realtà, quando parlo con gente di sinistra, mi trovo spesso in disaccordo; non come se l'interlocutore fosse di destra, ma quasi. E allora preferisco fare a meno delle etichette: non mi servono [...].
Intervista di Gian Luca Pasini, dal15al25.gazzetta.it, 4 agosto 2022.
- [...] si può vincere o perdere: dato che anche gli avversari fanno le cose per bene.
- Il volley femminile [...] rappresenta per le ragazze quello che per i maschi è il calcio. Ed è così a livello mondiale. Oggi sembra scontato, ma non lo era.
- Lo dico da anni: se tratti i giovani da deboli, saranno deboli. Dobbiamo trattare i giovani avendo fiducia in loro: tutti. Figli, nipoti e giocatori. Dobbiamo avere fiducia che siano forti, anche a livello mentale. Poi gli va detta la verità: qui si fa sport di competizione, prevarranno i migliori. Il nostro compito è prepararli. Quello che noto e non è cambiato dagli anni 80, nei giovani italiani si notano molto più i difetti di quanto non si esaltino i pregi. Cosa che in altri Paesi [...] non accade. E questo fa parte della cultura generale italiana, non solo dello sport. Ma quello che non può accadere è che i giovani di casa nostra non credano in loro stessi per primi. Questo è un tema centrale nei discorsi che faccio con loro.
- Bisogna sviluppare l'orgoglio, la fiducia, la competitività, senza superbia. Ne parlo spesso con gli allenatori. È come si trattano gli atleti, come li correggi. Questo non vuole dire vinceremo sempre, ma che saremo sempre competitivi sì.
Intervista di Pierfrancesco Catucci, corriere.it, 6 agosto 2022.
- [...] bisogna insistere e lavorare ancora di più sul reclutamento. Lo so che gli allenatori preferiscono tecnica e tattica, ma se non hai a chi insegnarle, a che servono?
- Rivincere è la cosa più difficile. Per questo, da sempre, insisto su un concetto: il momento in cui arrivano i primi successi è quello in cui bisogna essere più esigenti. Ma spesso succede il contrario: le vittorie portano autocompiacimento ed è lì che si cade e bisogna ricominciare. Quando vinci, sei osannato; quando perdi, sono tutti pronti a evidenziare ciò che non ha funzionato e a discutere di massimi sistemi per suggerirti come ricostruire. [«Quindi, qual è la ricetta per rivincere?»] Lo sport è scienza complessa e semplificarla è ingiusto e inutile. Hai vinto? Bravo. Ora, però, vai oltre, lavora sulle criticità, senza lasciarti distrarre dal resto, anche perché al prossimo torneo diranno che sei favorito. E la storia dello sport è piena di favoriti che non hanno vinto.
- La missione di chiunque insegni qualcosa è produrre allievi che lo superino.
- È difficile definire il talento. L'immagine più comune è di chi riesce a fare in maniera naturale anche le cose più complesse, ma secondo me non basta. Credo che il talento sia chi, oltre a questo, abbia una spiccata capacità di apprendimento.
Intervista di Alberto Brandi, sportmediaset.mediaset.it, 25 aprile 2024.
- Nessuno è uguale all'altro. Non ci sono privilegi per questo, ma sì, ci sono differenze. Come può essere successo con Totti, Platini o Maradona, non si può pretendere che Egonu faccia la stessa vita delle compagne, tra attenzioni, procuratori, sponsor e tutto quello che gira intorno. Ma niente favoritismi, quando è l'ora dell'allenamento e di giocare lì tutti devono dare il loro massimo. Fuori dal campo... la libertà va concessa, gli sportivi importanti sono personaggi come non sono mai stati in passato.
- [«È arrivato in Italia nell'83, come sono cambiati i giovani?»] Il nostro è un paese saggio, ricco, straordinario a cui piace l'autocritica. I giovani sono quelli di sempre, ma vivono in un mondo diverso. I giovani non sono una categoria. È un errore considerarli così. Come quando li giudichiamo dicendo "ai miei tempi..." facendo passare il messaggio che eravamo meglio di loro. Come può sentirsi un adolescente sentendo questo? Io sarei arrabbiatissimo. Come la storia dei giovani che in quest'epoca non parlano e non comunicano tra di loro... ma chi lo ha detto?
- [«Lei è famoso per le sue massime, le sue frasi sono diventate di culto sul web e sui social...»] Pensi che alcune di quelle che mi attribuiscono, bellissime, non sono nemmeno mie!
Intervista di Pierfrancesco Catucci, corriere.it, 19 luglio 2024.
- [...] non serve essere amiche per vincere. Serve lavorare di squadra, aiutarsi. Quando sento il ritornello "abbiamo vinto perché siamo un bel gruppo" mi viene da ridere: e se avessi giocato male, il gruppo non sarebbe bastato? La verità è che bisogna essere squadra, non andare a cena insieme.
- A volte girare troppo attorno alle cose alla ricerca delle cause le complica, anziché risolverle. Non sempre serve la psicanalisi.
- [«[...] ha capito perché la pallavolo femminile non riesce ad avere allenatrici di livello?»] È più complicato da spiegare ed è un problema globale. Forse perché bisogna avere sempre la valigia pronta. O anche per questioni culturali: gli allenatori devono decidere anche quando non sono sicuri e non possono mostrare insicurezza. Certo, ci sono tante straordinarie donne manager o in ruoli apicali della politica, ma in generale l'uomo si assolve più facilmente, la donna fatica di più a perdonarsi per un errore.
- [Sulla gestione dell'errore] [...] ho detto che non avrei più voluto vederle autoaccusarsi di un errore perché vuol dire portarselo nell'azione successiva. Bisogna essere concentrati solo sul qui e ora e imparare a vincere anche quando si gioca male.
- [...] spesso i genitori giustificano e difendono troppo i figli, rallentando l'allenamento alla vita vera.
Citazioni su Julio Velasco
[modifica]- Carismatico guru che ad una grandissima competenza tecnica somma una capacità di affabulazione degna di Cicerone. (Leo Turrini)
- [«Cosa vi ha insegnato Julio Velasco?»] Ci ha insegnato l'obiettività. Lui sa tutto di tutto. Alle volte anche eccede. Ma quando lui ti parla e vede una cosa di te, te la dice profonda. Può essere anche negativa. Poi sta a te elaborarla. (Andrea Giani)
- Diciamo che a capirne la grandezza ho impiegato un po' di tempo. Sai, Julio è uno che si ama e al tempo stesso si odia, perché lui, se lo ritiene opportuno, si fa detestare dai suoi giocatori, per arrivare al risultato... Mi ci è voluto a capirlo, sì. Ma tra noi è nato un rapporto splendido. È suo il merito della mia longevità. [...] È stato lui a trasmettermi stimoli nuovi, con quelle frasi che magari oggi fanno sorridere, le vene gonfie nel collo, gli occhi della tigre, e che però ascoltate per la prima volta erano messaggi che colpivano, slogan che arrivavano a bersaglio... (Franco Bertoli)
- Una delle grandi doti da intervistato di Velasco è la capacità di dirottare con grande garbo la domanda sbagliata dando la risposta che avrebbe dato se avessero saputo fargli la domanda giusta. (Guia Soncini)
- Velasco è una delle tre persone più intelligenti con cui abbia avuto il privilegio di parlare, nella mia vita; ed è un'intelligenza meravigliosa perché è un'intelligenza portata sempre e in maniera inesauribile a "costruire", e non a distruggere. (Paolo Condò)
- È un tecnico attento, preciso. Devo essere sincera, non ha migliorato il nostro bagher o la nostra schiacciata, ha migliorato proprio il nostro modo di approcciarci al team, alla squadra, a collaborare.
- Il cambiamento nasce dalla volontà di capire chi siamo in quel momento e dalla capacità di capire come possiamo diventare grandi. Quando arrivò Velasco noi eravamo una nazionale che non aveva nulla da invidiare alle cosiddette grandi del momento, Cuba, gli Stati Uniti, la Cina, la Russia. Quello che Julio fece fu un cambio soprattutto mentale. Con lui ci allenavamo moltissimo e facevamo molti sacrifici che ci consentirono di diventare un gruppo. Prima eravamo un po' come quei turisti che vedi spesso a Venezia, tutti in fila diligentemente a seguire il capo gruppo con l'ombrello, e che sembrano un gruppo ma che in realtà sono solo tante persone che eseguono tutte la stessa cosa. Senza contare che mancava comunicazione, intesa come comunicazione assertiva, efficace. Velasco lavorò molto più sulla nostra testa che sui nostri bagher, voleva che noi giocatrici trovassimo proprio quella comunicazione assertiva che ci mancava. All'inizio noi eravamo un po' resilienti a questo nuovo approccio, dire pubblicamente alle compagne cose come "Francesca (Piccinini), hai schiacciato male" mi sembrava quasi offensivo. Invece col tempo mi resi conto che quelli erano i primi fondamentali passi per migliorarci come gruppo, perché fino ad allora i silenzi non ci avevano portato da nessuna parte. Il nostro è stato un percorso lungo ma che ci ha portato nel giro di un anno a competere con le nazionali al top a livello mondiale. E quando dico competere intendo anche perdendo, ma era una maniera differente di perdere, molto più matura.
- Velasco mentalmente è un uomo che ha una marcia in più. È anche uno straordinario speaker per le aziende, un motivatore, un uomo molto intelligente e di grandissima cultura. È una persona che ti insegna veramente tanto
Note
[modifica]- ↑ Durante i Giochi della XXVI Olimpiade di Atlante 1996; citato in Velasco, percorso netto, la Repubblica, 30 luglio 1996.
- ↑ a b Dopo avere lasciato la guida tecnica della nazionale di pallavolo maschile italiana; citato in Lorenzo Briani, Velasco passa e chiude «Ora devo voltare pagina», l'Unità, sez. l'Unità2, 4 dicembre 1996, p. 11.
- ↑ Da un intervento alla presentazione del campionato di Serie A1 2023-2024; citato in Pierfrancesco Catucci, Julio Velasco nuovo c.t. dell’Italia femminile di volley, corriere.it, 8 novembre 2023.
- ↑ a b Dalla conferenza stampa di presentazione della stagione 2024 delle nazionali pallavolistiche italiane, Milano, 2 maggio 2024; citato in Eugenio Peralta, Julio Velasco: "Alle ragazze consiglierò di non farsi mettere sotto pressione", volleynews.it.
- ↑ Citato in Leo Turrini, Pazza Inter: cento anni di una squadra da amare, Mondadori, 2007, p. 154. ISBN 8804567015
- ↑ Citato in Giuliano Bindoni, La reunion dei 'Fenomeni' a Parigi porterà a un'altra rivoluzione epocale nella pallavolo italiana?, volleynews.it, 23 luglio 2024.
- ↑ a b Video disponibile su youtube.com.
- ↑ a b Citato in Vanni Masala, In Argentina contro i Generali. A Modena amico degli immigrati, l'Unità, 31 ottobre 1990, p. 28.
- ↑ Citato in Guia Soncini, Velasco contro la cultura del piagnisteo, e il desiderio di essere scemi come tutti, linkiesta.it, 14 agosto 2024.
- ↑ Dall'intervista di Corrado Sannucci, "Comando così", il señor volley e le sue regole, la Repubblica, 6 aprile 1989.
- ↑ a b Dall'intervista di Vanni Zagnoli, «In vent'anni sottorete è cambiato tutto intorno non solo la pallavolo», l'Unità, 1º settembre 2009, pp. 46-47.
- ↑ Da un'intervista al termine di Italia – Turchia 3-0, semifinale del torneo femminile di pallavolo ai Giochi della XXXIII Olimpiade, 8 agosto 2024; citato in Giuliana Lorenzo, Il miracolo di Velasco è stato far giocare l'Italia come poteva e sapeva fare, rivistaundici.com, 11 agosto 2024.
Voci correlate
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