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Franz Altheim

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Franz Altheim (1898 – 1976), storico delle religioni, filologo classico e storico dell'arte tedesco.

Il Dio invitto[modifica]

  • La storia dell'antico dio del sole, considerata a grandi linee, è quella di un progressivo raffinamento. Il culto, di origine beduina, si stabilisce in una città della Siria. Per la sua singolarità e la sua assolutezza mette a rumore il mondo occidentale, ne provoca la più appassionata ripulsa. Ma la sua rappresentazione letteraria, la filosofia neoplatonica, e, non ultima, la capacità assimilatrice della religione romana e della concezione romana dello stato, compiono il miracolo: dalla divinità di Elagabalo (218-222 d. C.), inquinata dalle orge e dalla superstizione orientale, nasce il più puro degli dèi, destinato ad unificare ancora una volta la religiosità antica. (Premesse, pp. 10-11)
  • Come imperatore portava il nome di Antonino, in cui s'esprimeva la discendenza da Caracalla. Ma i contemporanei e i posteri lo chiamarono Elagabalo. In verità egli non portò mai questo nome: "Dio della montagna" era attributo dell'Helios di Emesa, non del suo sacerdote. Ma questa traslazione di nome era in certo senso legittimata dal modo di vivere dell'imperatore, completamente dedito al servizio del suo dio. Tutto era stato concepito in modo da fare di quest'ultimo il signore di Roma: anche fra gli dèi romani egli doveva occupare il posto che gli spettava. L'imperatore quindi non era contento di averlo sposato con la dea del cielo di Cartagine, e preferì unirlo alle più venerate reliquie della religione romana. Fece portare nel tempio del nuovo dio la pietra della Gran Madre, gli scudi dei Salii e il sacro fuoco di Vesta. (cap. II, pp. 58-59)
  • Siamo ben lontani dal voler negare le dissolutezze di Elagabalo. Ma sensualità e pietà religiosa si intrecciano in lui in modo particolare. T. E. Lawrence cosi ha definito i semiti: un popolo "immerso fino agli occhi nella cloaca, ma che con le ciglia tocca il cielo." (cap. II, pp. 61-62)
  • Anche Mani (ca. 218-276) aveva i suoi predecessori, che egli nomina spesso e con insistenza. Budda, Zarathustra e Gesù si trovano in tal veste all'inizio dello scritto che Mani aveva appositamente redatto per il sasanide Shapur I (241-272). L'avvento della saggezza e delle opere di Dio, così egli fa intendere, si è compiuto "in una certa epoca per la mediazione di un messo, che è Budda, nei paesi dell'India, in un'altra epoca per opera di Zarathustra in terra persiana e in un'altra ancora per opera di Gesù nelle terre dell'Occidente." Poiché "a ogni generazione Iddio ha comunicato il retto agire e il retto sapere." Perciò Mani riconosceva nei più antichi profeti i suoi predecessori, e adattava le loro dottrine alle proprie. La sapienza divina era una sola, indipendente dalle diversità temporali, nazionali e di lingua. (cap. III, pp. 71-72)

Bibliografia[modifica]

  • Franz Altheim, Il Dio invitto (Der unbesiegte Gott), traduzione di Simona Vigezzi Marini, Feltrinelli editore, Milano, 1960.

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