Giorgio Barberi Squarotti

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Giorgio Bárberi Squarotti (1929 – 2017), poeta e critico letterario italiano.

Citazioni di Giorgio Barberi Squarotti[modifica]

  • È, Gullo, un poeta raffinatissimo, suasivo, giocoso e ironico, avventuroso e amoroso, ma, in fondo, con il ritmo agile, e profondo al tempo stesso, della "divina malinconia" del cuore. Sfarzo d'inesistenza, nella vicenda di due anni, narra ed evoca due estati di mare, di luce, di presenze rapide e argute di corpi amorosi, con l'aggiunta, a tratti, di memoria e di racconto di luoghi paesani, non tuttavia proposti come descrizioni realistiche, ma piuttosto come fulminee e gioiose esperienze d'infanzia o come visioni un poco fantastiche, in quanto partono dal nome per giungere fino alla sicura musica del sogno preziosissimo della parola. [...] Tutta la raccolta di Gullo si svolge in tanto fervore di immagini, di segni di vita, di piacere della descrizione della stagione della piena creatività dell'anima, sempre. Mare, estate, baci sono le allegorie supreme del valore e della persistenza del tempo, per il tramite di una poesia essenziale e sicura. Così il trascorrere delle ansie del cuore viene superato dalla musicalità e dalla giocosità della parola. È un risultato poetico davvero raro di trionfale conquista della poesia.[1]
  • Fra racconto, memoria, sentenziosità secca e desolata la poesia di Francescotti – in Morte di Manitou – usa strumenti estremamente semplici anzi perfino in litote, proprio perché enorme è la tragedia indiana e ogni tentativo di uguagliarla con lo stile non può che essere destinato al fallimento o nell'errore dell'oratoria.[2]
  • Il discorso è alacremente intenso e inventivo, trascorrendo dal distacco ironico del commento e della critica alla rappresentazione d'orrore e di morte. L'opera è di straordinaria originalità, e la pubblicherei subito, con entusiasmo: ne potrà derivare un salutare scontro con la banalità e la povertà della letteratura di moda. Io sono con Gualberto Alvino, appassionatamente. Egli ha ridato verità al tragico e al "grande Stile".[3]
  • Il nome di Giovanni Guareschi è stato, per qualche tempo, un segno di contraddizione non soltanto nella vicenda politica e del costume del dopoguerra, ma anche per quel che riguarda il discorso della letteratura, vittima, almeno in parte, di quest'ultimo ambito, dello stolto sillogismo che uno scrittore di destra, figuriamoci poi un fascista, non può mai essere «grande», e neppure merita di essere preso in considerazione. [...] Guareschi, forse è molto miglior narratore nei romanzi e nelle pagine francamente umoristiche, che hanno sempre quella nota di passione e di serietà che vi collocano dentro la «divina malinconia» lirica.[4]
  • [Matelda, il personaggio del Purgatorio di Dante, rappresenta] l'allegoria della natura nella condizione di suprema perfezione e innocenza.[5]
  • La poesia di Gino Geròla si svolge secondo le esperienze e le situazioni del tempo, ma non cede mai ad avventure di forme: il fondamento è costituito dall'alta meditazione della parola sui paesaggi, quelli così profondamente concretati nel suo Trentino di valli, monti, colline, venti, brevi e impervi paesi, avare coltivazioni e vaste selve, rocciose cascine, tenace e affaticato lavoro, lucido, senza disperazione, eroico, come una suprema sapienza e verità della condizione dell'uomo. L'endecasillabo e il settenario sono la struttura specifica di tutte le sue raccolte poetiche, e soltanto forse Telegiornale e Notizie di cronaca comportano qualche ampliamento metrico per esprimere più affannosamente il giudizio degli errori e dei mali della storia che coinvolgono il poeta, indotto allora a reagire con la partecipazione dolorosa di un tempo che, sì, si è mutato, ma moltiplicando le indifferenze, le violenze, gli orrori. La valle di Geròla, e tutto il suo paesaggio ripercorso, ridescritto e contemplato, sono, insieme, l'esperienza della vita e del cuore e l'emblema della condizione umana.[6]
  • La poesia di Lillo Gullo è, al tempo stesso, elegantissima e ingegnosa, giocosa e sapiente, con l'eco sempre di divina malinconia e di saggezza che dà un sapore antico di vita di ricapitolata esperienza. I testi, per lo più, sono brevi, essenziali, nettissimi nel fissare il punto decisivo di un evento del tempo e del luogo, di una reazione dei sensi e dell'anima, di una lezione incisiva, di una fulminea comprensione di un'occasione da non perdere perché si offre come una prova per un istante e, se non è colta, allora subito prevarica nel senso della perdita, con il rimpianto che ne consegue. La parola poetica è data proprio per non perdere il momento decisivo della verità che si ha, d'improvviso, per dono divino. Come rapido è il testo, così il metro è breve, sempre sorretto da una suasosa musica che alacre suona e dice attesa, gioia, avventura, riflessione, soprattutto emozioni d'amore.[7]
  • La stilistica delle strutture parte da quelle più generali e al tempo stesso generiche: il genere letterario, il metro. Il discorso stilistico sul genere non può che essere fondato sull'esame dei caratteri interpretativi, da parte di un determinato scrittore, degli elementi costitutivi, strutturali, del genere stesso.[8]
  • Quando Italo Calvino pubblicò, nel 1947, Il sentiero dei nidi di ragno, in pieno trionfo neorealista, aprì il primo caso (che a pochi, per la cecità complessiva dell'ora, apparve tale) di crisi della concezione realista della realtà: nella direzione della richiesta disperata di rendere ragione dell'angoscia della morte, dell'orrore dell'uccidere, della violenza che colpisce dentro, a fondo, e nella decisione di conoscere, del reale, anche il "negativo" come non volontà, rifiuto di scegliere l'azione, il gesto, il vivere stesso.[9]

I sambuchi di San Sebastiano[modifica]

Incipit[modifica]

IL MOLO DI VARIGOTTI

Al culmine del molo, una ragazza
nella notte che appena un poco lascia
all'occidente la striscia estrema della
luce candente, che, crudeli, tagliano
le punte delle rocce che sacrificano
la fragile giovinezza del monte:
luminoso il fremito sui capelli,
il volto verso il rumore enigmatico
del mare senza riflessi e luna
e stelle, e forse soltanto l'ingannevole
trascorrere di un sogno verso l'oltre,
chiare le cosce nude e forti e minima,
non altro, la sua gonna, ma celeste,
come quella del vero sogno, sempre.

Citazioni[modifica]

  • Sì, l'ottobre, le vigne vendemmiate, | ma acutamente verdi ancora, e, in mezzo, | le rose strenue e le persiche accese, | e tutti gli altri fiori dell'autunno, | viola sui greppi o pallidamente | fragili nei giardini intorno al lago, | e tiepida la notte, senza fremiti | l'acqua luminosa sotto la luna | intatta, pura. Dubitosa, tenta | Valentina l'immobile silenzio | nella luce ferma, si guarda intorno | dove soltanto un cane bianco guarda | curioso, poi si spoglia in fretta nuda, | e subito è nel centro della baia | minima, nuota lieve, apre e deforma | un poco il centro perfetto dell'astro | e lo fa animato e vivo, e allora | dal fondo delle acque per allegro | gioco sorge Narciso, ne contempla | prezioso e attento il corpo, poi la bacia | a lungo e l'accarezza, la sospinge | fino all'isola tenebrosa... (da Il lago di Narciso, p. 16)
  • Lo specchio è uguale, eterno. Dove sia | la sua vita (come ogni altra, allora) | chi può saperlo, se almeno non lo invento | con la parola? (da Lo specchio di O, p. 42)
  • Sì, i lamenti, le lacrime copiose, | il volto disperato, il seno niveo | che trema nei singhiozzi, invano | gli occhi rivolti all'alta vela nera | che già scompare fra i canuti flutti | e la nebbia lontana. E se invece | è la recita sapiente? ed è giovane | e bella, non è vero? e nell'angoscia | si è strappata via i veli e gli abiti, | e nella pienezza dell'aurora si offre | inconsapevole (ma furtivamente | si è guardata, in realtà, intorno, | e ha visto che arrivava l'auto rossa | e c'è, dentro, il pingue re del futuro | convito sulla verde cima della | collina di Monforte?). Ah, è facile | inventare la vita e raccontarla | fino al lieto fine, ai vecchi amici, | a due ragazze timide e giocose | che preparano l'esame di greco, | ma che mai ha la cameriera bionda | che ha le guance arrossate e i fianchi candidi | disegnati da lunghe striature, | e che anch'egli, il brillante narratore, | che cerca, a tratti, invano intorno il segno | della decenne sete, che nessuna | rinascita di immagine o parola | bizzarramente rapinosa più | sazierà. (La recita di Arianna, p. 45)

Explicit[modifica]

ed ecco infine al centro la fontana
delle acque spumeggianti e fragorose,
e in piedi (oh stupore!) vide sé
nuda, che lo zampillo capriccioso
irrorava, e il dio biondo con il volto
raggiante lentamente governava
i suoi cavalli in tondo per guardarle
con cura tette e natiche e, tremante
per la brezza salace, il ciuffo bruno.

Parodia e pensiero: Giordano Bruno[modifica]

  • Il De immenso, insomma, non va letto soltanto come una pura e semplice versificazione della dottrina filosofica del Nolano, ma come il risultato della suprema ambizione di raggiungere la perfetta armonia e consonanza di poesia e pensiero attraverso la mediazione dell'«eroico furore» che muove la ricerca filosofica e, al tempo stesso, l'elaborazione poetica. (p. 19)
  • Il Candelaio costituisce, nell'intera opera di Bruno, l'esempio, fin dalla dimostrazione del genere, del peso e dell'importanza che la letteratura ha per il filosofo: la commedia, anzitutto, con l'amplissima parodia del linguaggio del Petrarca e del petrarchismo cinquecentesco nel proprologo e nel prologo, quale poi ritornerà nella dedicatoria e nell'argomento degli Eroici furori, a testimonianza di un impegno particolarmente accanito e prolungato del Bruno nei confronti della situazione letteraria contemporanea. (pp. 30-31)
  • La letteratura, con le sue figure e le sue forme e, soprattutto con il suo linguaggio, viene a essere, per il Bruno dei dialoghi italiani, un impegno fondamentale che finisce per andare oltre la semplice ricerca dell'efficacia migliore per la presentazione e l'esposizione delle idee e anche oltre la gratificazione della varietà e del gioco fantastico per accattivarsi più avvicentemente l'attenzione dei lettori. Nella Cena letteratura e filosofia vengono a costituire un nesso strettissimo. La presentazione dell'interpretazione che il Nolano dà alla teoria copernicana con le conseguenze filosofiche che ne trae è anche la commedia grottesca dei due dottori inglesi che difendono, invece, la concezione aristotelica dell'universo ed è anche l'allegorico libro del viaggio nella notte londinese. (p. 48)

Citazioni su Giorgio Barberi Squarotti[modifica]

  • Verso una totalità [...] più interna alla logica dell'esperienza letteraria e meno incline a una esibizione di strumenti metodologici, si muove la critica di Giorgio Bárberi Squarotti. (Giulio Ferroni)
  • Giorgio Bárberi Squarotti è un critico che ha lavorato molto e bene all'inizio degli Anni Sessanta con gli strumenti più scandaglianti della stilistica, che, alternati e alleati agli altri metodi, hanno fruttato i saggi tuttora assai efficienti di Astrazione e realtà e di Poesia e narrativa del secondo Novecento. (Walter Pedullà).

Note[modifica]

  1. Da Tra gioco amoroso e 'divina malinconia' del cuore, prefazione a Lillo Gullo, Sfarzo d'inesistenza, Nicolodi, Rovereto (TN), 2004, pp. 5 e 7-8.
  2. Citato in Adige Panorama, Trento, dicembre 1978.
  3. Citato in Gualberto Alvino, Là comincia il Messico, Firenze, Polistampa, 2008.
  4. Da Tutto Mondo piccolo, un fragile monumento, La Stampa, 19 febbraio 1999.
  5. Da L'Ombra di Argo. Studi Sulla Commedia, Genesi, Torino, 1992, pp. 333-334; citato in Emilio Filieri, Matelda una e "trina". Sull'ideologia edenica di Dante, kadmos.info, maggio 2022.
  6. Da Prefazione a Gino Geròla, La valle e periferia (1943-1995), Edizione Osiride, Rovereto (TN), 2001, p. 5.
  7. Da La parola poetica che inventa la vita, prefazione a Lillo Gullo, Lo scialo dei fatti, LietoColle, Faloppio (CO), 2012, p. 7.
  8. Da Il codice di Babele, Milano, Rizzoli, 1972, p. 46.
  9. Da La narrativa italiana del dopoguerra, Bologna, Cappelli, 1965, p. 157.

Bibliografia[modifica]

  • Giorgio Barberi Squarotti, Parodia e pensiero: Giordano Bruno, Greco & Greco Editori, 1997.
  • Giorgio Barberi Squarotti, I sambuchi di San Sebastiano[1], postfazione di Ciro Vitiello, Oèdipus Edizioni, Salerno-Milano, 2010. ISBN 978-88-7341-132-1

Note alla Bibliografia[modifica]

  1. Nota dell'Autore: San Sebastiano è una frazione molto amabile di Monforte d'Alba, che è il mio paese dell'anima.

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