Giovanni Arrivabene
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Giovanni Arrivabene (1787 – 1881), patriota, politico ed economista italiano.
Memorie della mia vita
[modifica]- In quella occasione [ad un ballo in casa del marchese Tullio Guerrieri, nell'estate del 1812] per la prima volta vidi Camillo Ugoni, e legai amicizia con lui; amicizia la quale durò fino ch'egli visse. Era letterato di non comune ingegno e lavoratore indefesso; allora nel fiore degli anni, alto della persona, folta la nera capigliatura, una testa quale si vede sui busti di Imperatori romani. (cap. I, p. 19)
- Passavo le intiere serate con Camillo Ugoni e con Scalvini, che conobbi allora. Si leggevano libri seri, si discutevano interessanti quistioni. Ugoni era un letterato della vecchia stampa e si occupava, allora intorno alla traduzione dei Commentari di Giulio Cesare. Aveva pubblicati tre volumi delle vite di letterati illustri italiani in continuazione all' opera del Corniani.
Lo Scalvini debole di corpo, era altrettanto forte di mente; di delicato e fine gusto e giudice competentissimo in fatto di lettere e di belle arti. Una volta egli criticò l'opera di Ugoni, e questi gli rispose: Tu l'avresti fatta meglio, ma io l'ho fatta. (cap. I, pp. 20-21)
- Mio fratello [Francesco] mi dice sottovoce: "Hanno arrestato Scalvini." – "Per qual motivo?" – "Per una lettera trovata a Mantova..." [...].
Io torturai lunga pezza la mente affine di scoprire qual lettera avesse potuto dar motivo ad un[1] sì severo provvedimento. Scalvini slanciava bensì di quando in quando nelle sue lettere dei tratti sardonici sul governo austriaco, ed io faceva altrettanto scrivendo a lui, ma non avevamo mai tessuto in esse alcuna trama, nemmen l'ombra di una trama; e noi le affidavamo bonariamente alla posta! Pensa e ripensa, mi sovviene alla fine, che in una scrittami nel 1819 da Milano, Scalvini avea parlato in termini irriverenti dell'Imperator d'Austria. Questa, dissi a me tosto, questa è certo la lettera che ha cagionato l'arresto di Scalvini; e ben mi apposi. (cap. III, p. 59)
- Scalvini soffrì assai in prigione. Vi cadde gravemente ammalato, e forza fu trasportarlo nella infermeria, ove ebbe a vicini di letto, assassini; per infermieri, assassini. Egli ebbe molto a lodarsi di essi. Gli portarono grande rispetto, gli mostrarono gran deferenza ed ebbero di lui affettuosa cura. Egli trasse partito da una sì dolorosa e strana vicenda per istudiare una natura d'uomini, che altrimenti avrebbe sempre ignorata; ed ebbe occasione di conoscere, che pochi umani, o nessuno forse, è mai tanto abbandonato dal cielo da essere interamente diseredato della bontà del cuore. La povera sua madre lo vide in quel luogo, fra quelle miserie, in quella compagnia! (Cap. III, p. 60)
- Foscolo non era certo un bell'uomo. Di mezzana statura, col naso schiacciato, con chioma scapigliata, più rossa che bionda; ma due occhi fulminanti tradivano il di lui ingegno. Egli aveva al suo servizio tre sorelle che non erano certo le tre grazie, e un segretario. Scriveva molto, e posta giù una frase, la dava da copiare al segretario; questi gliela portava copiata; egli la correggeva e la dava da copiare di nuovo. Questa giuoco veniva più volte ripetuto; tanta era la sua incontentabilità, il suo ideale di perfezione. (cap. IV, p. 121)
- Santarosa! quale contrasto fra questi due uomini [entrambi esuli in Inghilterra]! L'uno [Ugo Foscolo], tutto immaginazione, oserei quasi dire tutto violenza; l'altro, uomo religioso, idolatra della sua famiglia, dalla quale non sapeva tollerare la separazione. [...].
Entrambi questi due nomini perirono prematuramente con danno dell'Italia. L'uno abbandonato solo in un villaggio d'Inghilterra, l'altro combattendo in Grecia contro i Turchi. Ma le ceneri del Foscolo furono tardamente sì, ma trionfalmente portate in Italia, e giacciono nell'onorata sepoltura di Santa Croce in Firenze. La salma di Santarosa, insepolta con quella di oscuri combattenti, divenne preda dei lupi e degli avvoltoi. (cap. IV, pp. 121-122)
Note
[modifica]- ↑ Nel testo "una".
Bibliografia
[modifica]- Giovanni Arrivabene, Memorie della mia vita 1795-1859, G. Barbèra editore, Firenze, 1879.
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