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Giovanni Zibordi

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Giovanni Zibordi

Giovanni Zibordi (1870 – 1943), politico e giornalista italiano.

L'idea divina e la Chiesa nella poesia di Carducci

conferenza tenuta il 30 dicembre 1909 al Ginnasio Beccaria per iniziativa dell'Università Popolare; citato in Il buon cuore, anno IX, n. 2, 1910, pp. 12-14

  • Dio, questo enorme mistero che agita le menti degli uomini, questa forma alta o misera ch'essi sembran foggiarsi a loro immagine; che appare a Dante quale una legge suprema e terribile, d'ordine e d'equità, quale l'armonia meravigliosa dell'universo; che si rivela nell'Innominato manzoniano come la legge morale, che ciascun uomo porta in sé, come la voce stessa e la coscienza della giustizia e del bene; Dio che a Mazzini fu segnacolo di battaglia e di libertà, Dio in cui Garibaldi credette, Dio che ad altri spiriti magni fu simbolo e sintesi d'ogni più eccelsa virtù ed aspirazione umana; Dio che agli uomini piccoli e timidi appare come un padrone fiero e crudele, come un duro destino, contro cui è vano combattere, o come il gendarme celeste del loro privilegio contro altri uomini miseri e servi; Dio che ad altri appare come il custode irremovibile delle porte della luce, della verità e del sapere [...].
  • Quando niun conforto umano è possibile; quando il bisogno di un'illusione ci solleva gli occhi al Cielo, dove rivedremo coloro che non vediam più sulla terra; quando il dolore si tramuta in rimorso e noi troviam quasi un'amara consolazione nell'accusare noi stessi della sventura che ci colpisce, allora l'idea di una vita immortale e di un Dio castigatore balena alla mente anche d'uomini di forte animo e da molt'anni liberati da ogni idea metafisica.
  • È il concetto realista della morte, contrapposto al concetto idealista definitivo della vita: il concetto che ci induce ad amarla, questa vita che i preti ci insegnarono a disprezzare, a sanamente goderla anche contro le paurose rinuncie dell'ascetismo, ma sopratutto ad ornarla ed onorarla con opere alte e degne, ad intenderla con retta coscienza del nostro destino e di ciò che dobbiamo agli altri, ai venturi, a quel magnifico mondo, di cui siamo atomi e che è la civiltà umana; a lasciare, piccola e grande, la nostra orma di bene, a dar, come onde che passano, il nostro colpo umile o forte alla ruota perenne della storia: onde quel che altri ci imputa come materialismo di bruti, si traduce nel più nobile e fecondo idealismo.
  • Gli è che la Chiesa fu anch'essa una grande energia morale, quando, col vincolo di una fede sinceramente sentita, unì gli uomini dispersi, soddisfece il loro bisogno d'idealità, diede all'individuo la coscienza della sua comunione con i suoi simili, il senso di non esser solo e smarrito sulla terra, ma di essere parte di un tutto, in una continuità ed ampiezza di vita, che lo avvince ai lontani, agli antenati ed ai venturi, nella grande catena della Storia.
  • Due dii dunque, due Cristi, due Chiese sembrò, avere il Carducci, nella complessa visione della sua opera storica e poetica: quelli, su cui ebbe un giudizio solo e un odio unico, furono i preti come organizzazione chiericale. Egli gli odiò, soprattutto, egli idealista nobilissimo, — perchè per lui rappresentavano il commercio della fede.
    Ma combattendo, con immutata fierezza i preti nemici di ogni civiltà [...], ammoniva che bisogna credere in qualchecosa, aver un ideale che trascenda l'io, l'interesse proprio e immediato: e in ciò è, in fondo, la legge stessa della civiltà, della «Società» della solidarietà umana, che è senso dei diritti e dei doveri, ch'è bontà, ch'è giustizia, che si fa eroismo, sacrifizio, martirio.
    Or questo nobilissimo Dio noi facciam nostro, e l'adoriamo come la ragione stessa e la forza delle nostre aspirazioni e del nostro lavoro verso una ideale civiltà superiore, in cui diritto e dovere, uomo e società, cittadino e nazione, patria e umanità si armonizzino in un ordine e in un equilibrio universale e mirabile: in cui l'anima umana, liberata dal Dio fosco tenebroso e crudele alleato dei tiranni, «risorga e regni!»

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