Giulia Blasi

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Giulia Blasi nel 2018

Giulia Blasi (1972 – vivente), scrittrice, conduttrice radiofonica e giornalista italiana.

«Dobbiamo guidare i giovani ma anche lasciarli sbagliare»

Intervista di Virginia Nesi, video.corriere.it, 22 settembre 2021.

  • Se noi andassimo ad applicare il femminismo fino in fondo il sistema patriarcale e capitalistico della società verrebbe smantellato pezzo dopo pezzo.
  • La società fa un cattivo marketing sul femminismo perché è antisistema.
  • Chi ha fatto un po' di lotta può insegnare un metodo, non le idee: quelle devono essere prodotte dalla generazione che le porterà avanti. [I giovani] hanno il diritto di fare errori.
  • Io devo essere critica con me stessa. Devo sentirmi inadatta. È stato scritto nel mio codice. È stato scritto nel codice di tutte. Vorrei conoscere una donna che abbia passato tutta la sua vita a sentirsi splendida sotto tutti i punti di vista, non credo di averne mai conosciuta una. Il nostro sistema è pensato per far in modo che le donne si sentano come dei cantieri aperti dal punto di vista fisico e intellettuale. Passiamo il tempo a dire alle ragazze cosa dovrebbero fare mentre ai ragazzi trasmettiamo l’idea di essere splendidi, nati già perfetti.
  • Più brave, più performanti, più intelligenti, più sicure di sé, devono rispondere meglio agli uomini che le molestano. Poi devono essere anche di meno perché devono dimagrire, occupare meno spazio, essere più piccole, però si devono vestire meglio. Se non riesci a trovare i vestiti belli spendendo molto, vai nei mercatini, devi anche sviluppare un gusto perché ricordati donna: tu devi essere prima di tutto decorativa.

Brutta. Storia di un corpo come tanti[modifica]

Incipit[modifica]

Questa è la storia del mio corpo, così come la ricordo e me l'hanno raccontata.
A volte sembrerà che parli d'altro, ma in realtà parlo di me. Le esperienze che racconto possono somigliare a quelle di altre persone, ma restano comunque prima di tutto la mia esperienza.
La storia del corpo di una donna è sempre qualcosa di più che la storia di un corpo: è la storia di tutto quello che su quel corpo si gioca, passa e lo attraversa. È un insieme di storie diverse, molto diverse, che convergono su un unico punto focale: se sei una donna non ti puoi mai dimenticare di avercelo, un corpo. Puoi al massimo prendere delle decisioni su come e quanto mostrarlo, e le prenderai, con maggiore o minore successo, e puoi essere sicura che non saranno mai soddisfacenti, come puoi essere sicura che tutti vorranno avere un'opinione in merito.

Citazioni[modifica]

  • La storia del mio corpo è una storia a pezzi, perché a pezzi viviamo e siamo vissute: ogni parte di noi fa storia a sé, viene scomposta e ricomposta, accettata o modificata, isolata dal resto per essere accentuata o nascosta. A pezzi mi sono guardata e mi guardo anche adesso, pur essendo capace di riconoscere in quello sguardo l'impianto di un occhio che non è il mio, lo stesso che viene installato in tutte le femmine fin dalla più tenera età e con il quale costruiamo un rapporto di codipendenza che ci accompagna per tutta la vita. (p. 10)
  • Non è di vita sessuale che parliamo, qui, ma di come raccontiamo i corpi e le persone. Del potere che attribuiamo agli uni e alle altre. Di quale sia davvero la natura del potere, e in quanti modi per una donna sia impossibile non porsi il problema di come viene percepito il suo corpo. (p. 16)
  • Essere bella è talmente una necessità sociale che nessuno dirà mai di una donna che è brutta, a meno che non la voglia ferire. (p. 17)
  • Se non sei bella, non puoi occupare spazio nel mondo. Non ti puoi esporre allo sguardo altrui. Questa è la legge non scritta. Se lo fai, preparati a essere perfetta sotto ogni altro aspetto (e a quel punto: cosa ti costa darti una sistemata?) oppure sappi che al primo passo falso pioveranno gli insulti. [...] Il problema è occupare spazio nel mondo in un modo non conforme alle aspettative, tutto qui. (p. 21)
  • La bellezza è un requisito fondamentale per l'esistenza in vita, sentirsi belle è fondamentale per affrontare il mondo con il minimo della sicurezza di sé. Se bella non sei, bella se non altro ti devi sentire, bella a modo tuo. Ti devi piacere. Altrimenti non ti meriti il gradimento degli altri. (p. 22)
  • Occupare spazio in pubblico da brutte, sentendosi brutte, sapendosi brutte e fottendosene altamente, quello è l'obiettivo. In un mondo che ci chiede di farci piccole, di non disturbare, allargarsi e dilagare, tracimare e prendere spazio, alzare la voce, fare rumore. "Brutta", e quindi? Oggi sono brutta, domani sono bella, non ha importanza. Quello che importa è che sono qui, esisto, e non ho nessuna intenzione di sparire. (p. 23)
  • L'infanzia è l'unico momento nella vita di una femmina in cui sei bella in proporzione a quanto riesci a immaginare di esserlo, senza che lo sguardo dei maschi e l'ansia di non essere desiderata inizino a interferire con la tua fantasia. Vuoi le gonne ampie perché ti piace il movimento che fanno quando balli, i capelli lunghi per come ti sfiorano il viso, i brillantini perché luccicano. Vuoi essere bella per te stessa, ma davvero. (p. 34)
  • Piacetevi come siete! Amatevi come siete! Però se non vi piacete, cambiate! Non fermatevi a cercare di capire se il problema sia il vostro corpo, il fatto che il vostro corpo non ha un posto nel mondo, qualunque sia la sua forma, e che dovrete perdere ore settimane mesi della vostra vita a giustificarlo. Comunque, nel caso aveste fatto lo scatto di autocoscienza che serve almeno a smetterla di chiedere scusa, arriverà qualcuno a ricordare a tutte con un hashtag che esiste una normalità da normalizzare, #normalizenormalbodies, ok, ma se sono normale cosa c'è da normalizzare? E poi, che cos'è normale? E se una non è "normale", qualunque cosa significhi, che fa? Si deve nascondere? (pp. 78-79)
  • Il mondo ti perdona tutto, meno che la riluttanza ad allinearti senza fare storie. Se sei brutta, diventa bella. Se sei bella, camuffati un po'. Se sei grassa, diventa magra. Se sei magra, diventa tettona. Se sei intelligente, vola basso. Se parli molto, parla di meno. Se sei visibile, fatti piccola. Allora qua il problema, mi pare, non è quanto sei effettivamente scopabile, ma quanto ti sbatti per esserlo, con ogni mezzo, perché se no senti che non vali niente; e quanto sei disponibile a collaborare perché anche tutte le altre aggancino il loro valore alla scopabilità percepita. (pp. 87-88)
  • Una donna bella, che si vede riconosciuta la sua bellezza come un fatto indiscutibile, fa una vita diversa dalla mia. Entrambi i nostri corpi vengono prima di noi, ma il suo può essere offerto, utilizzato, guardato, ammirato. Il mio viene sottratto, minimizzato, per quanto possibile. Non è un argomento, non è oggetto di conversazione, non colora la mia presenza pubblica, non fa parte di quello che sono. (p. 90)
  • Non essendo bella, non posso essere "bella e brava", il massimo del complimento e il massimo della delegittimazione, della serie "è bella ma to', è perfino brava, che sorpresa, bastava molto meno". Quando sei bella, tutti si aspettano sempre che basti molto meno, che tu debba solo stare immobile ed emanare raggi di bellezza. Che tu sia brava, in qualsiasi cosa, è secondario. Bella, prima. Brava, poi. (p. 90)
  • Il punto: sapendo di non essere bella, avevo scelto di essere brava. È una scelta come un'altra, e non è la scelta di tutte, ma è una scelta, non un incidente di percorso. Una scelta che mette dei paletti al modo in cui mi presento e mi rappresento. Non è una scelta priva di costi, ma è la mia. (p. 93)
  • Il mio rapporto con i maschi non si gioca sull'essere guardata, ma sull'essere ascoltata e vista, come premessa o come conseguenza dell'ascolto. Le due cose, nella mia percezione, si escludono a vicenda: o sono (con un certo sforzo) figa, o sono (con molto meno sforzo) interessante. Questo al netto del fatto che allo sguardo maschile che tutto decide una donna appare comunque meno interessante di un suo pari maschi, ovviamente, cosa che noi ragazze di una certa età abbiamo imparato sulla nostra pelle. (p. 93)
  • Spesso ho fantasticato di essere così: splendente e priva di dubbi. Come se non sapessi che il dubbio è la base della vita di qualsiasi donna, bella o brutta, e che anche quelle che esibiscono una fiducia illimitata nelle proprie doti estetiche lo fanno spesso per mascherare un'insicurezza di fondo. Essere bella ti rende vulnerabile in altri modi, perché non c'è un modo per essere donna che sia davvero completamente, interamente giusto. (p. 94)
  • Quello che so è questo: che una donna che vada nel mondo come bella donna fa una vita diversa dalla mia, che ho provato ad andare nel mondo come se un corpo non ce l'avessi, come se fossi puro spirito, e ho fallito, perché il mondo stesso mi ha inchiodata anche a quello, alla mia rinuncia. (p. 95)
  • Non è che le donne in posizioni di potere siano più stronze degli uomini: è che dalle donne ci aspettiamo che non lo siano. L'asticella della stronzaggine è talmente bassa che ci inciampi. (p. 104)
  • Quello che in una donna è una Faccia da Stronza, in un uomo è espressione autorevole, severa, la faccia di uno che sa di cosa parla. Le rughe, le pieghe, le borse sotto gli occhi, le linee sulla fronte sono i segni dell'esperienza. Aggiungono gravitas, non malvagità. Sono facce da uomini maturi, facce vissute, stagionate da centinaia di abbronzature senza filtro solare, perché la protezione 50 è da femmine. (p. 105)
  • C'è un punto del discorso sul trucco in cui qualcuno tira sempre fuori il femminismo: truccarsi significherebbe cedere alle pressioni del patriarcato che ci vuole sempre belle e perfette e soprattutto giovani, e quindi se ti trucchi non sei abbastanza femminista. Come se per essere femministe fosse obbligatorio vestirsi come delle militanti del Partito Comunista Cinese degli anni Cinquanta. E come se essere femministe fosse una cosa che si misura sulla nostra personale liberazione definita secondo gli standard di qualcun altro, e non sulla solidarietà e la piena libertà di scelta, anche di comprarsi una matita color melanzana per sottolineare l'occhio quando si usano ombretti nella tonalità del ciliegia e del bordeaux. Io non voglio smettere di truccarmi: voglio smettere di sentirmi a disagio se non lo faccio. Voglio smettere di preoccuparmi di essere giudicata se la mia faccia mostra l'età che ho. (pp. 122-123)
  • Siamo talmente abituate a fare l'equazione "volersi bene" con "trovarsi belle" che ci sembra impossibile amarci per come ci sentiamo, piuttosto che per il nostro aspetto. (p. 150)
  • Non sta bene trovarsi belle, non lo fanno neanche le belle, è una cosa di cattivo gusto. Ho scritto pagine e pagine di autodeprecazione senza alcun problema, ma ora che devo dire che in fondo mi piaccio, e mi piaccio perché mi voglio bene, faccio fatica. Dire "sono brutta" mi pare meno impudico che dire "mi vedo bella". (p. 150)
  • Non ho il dovere di sentirmi bella, ma non ha senso nemmeno parlare di diritto, perché il diritto mi deve essere riconosciuto come fondamentale dalla comunità intorno a me, che quindi se ne deve fare carico: e invece io campo benissimo anche quando non mi sento bella, non ho bisogno di sentirmi bella, ho bisogno di poter vivere nello spazio pubblico senza che qualcuno pensi che insultarmi per il mio aspetto fisico sia un modo come un altro per dirmi che devo tacere. Una donna brutta non ha bisogno che la società le consenta di sentirsi bella, ha bisogno che la società le assicuri che sarà rispettata. (p. 151)
  • Essere (non sentirmi, che è una cosa diversa) bella o brutta non è dirimente per la mia sopravvivenza, ma lo è per la mia esperienza di vita, perché dal mio essere bella o brutta secondo il resto del mondo si giudica il valore di quello che dico, si giudicano le mie motivazioni, la mia emotività, la mia soddisfazione nei confronti della vita. (p. 152)
  • Forse voglio solo smettere di pensarci, ecco. Volermi bene quando capita, volermi male, ignorarmi quando va bene perché ci sono cose più importanti. Non ci riuscirò, pazienza. Vivrò lo stesso più a lungo che posso, più in largo che posso, più forte che posso, da bella, da brutta, finché non sarò stanca. (pp. 153-154)

Prefazione a Rossella Dolce e Fiorenzo Pilla, Il web che odia le donne[modifica]

  • La misoginia non è fatta solo di episodi parossistici. Il misogino non è solo quello che picchia, violenta, aggredisce verbalmente le donne. Non è solo chi esprime rabbia. La misoginia è intessuta nelle nostre vite, ci accompagna quotidianamente: il disprezzo per le donne e più in generale per il genere femminile e per tutto quello che è associato alla femminilità è parte del nostro pensiero quotidiano, sono mine disseminate nel linguaggio, nel modo di relazionarci gli uni con gli altri che vanno disinnescate una per una, con pazienza. (p. 4)
  • Il tentativo di patologizzare, di isolare, di allontanare da sé l'atto misogino ha una funzione autoassolutoria: se mi dissocio, non sono complice. Se mi dissocio, non devo cambiare nulla del mio vissuto quotidiano. Non devo mettermi in discussione. Mi basta mantenermi appena sopra la soglia della decenza minima per essere dalla parte dei giusti. (p. 4)
  • Per prosciugare le sacche di misoginia estrema e impedire che altri uomini, soprattutto giovanissimi, ci finiscano dentro è essenziale costruire una società che tratti ogni individuo con il medesimo rispetto, consenta agli uomini di esprimere la propria emotività senza andare incontro allo scherno delle persone che hanno vicino, e soprattutto smetta di collocare le donne in posizione funzionale. Finché continueremo a parlare di "mogli, madri, sorelle, figlie" e a riconoscere la dignità delle donne solo in quanto parenti o compagne di un uomo, non usciremo mai dal corto circuito che ci impedisce di riconoscerne l'umanità. Finché continueremo a pensare che le donne debbano tenute a essere qualcosa per qualcuno, e non a esistere per se stesse, senza il dovere di mettere corpo, attenzione ed emozioni al servizio di qualcun altro, la misoginia sarà sempre un fenomeno sociale. (p. 6)

Bibliografia[modifica]

  • Giulia Blasi, Brutta. Storia di un corpo come tanti, Rizzoli, Milano, 2021. ISBN 9788817159111
  • Giulia Blasi, Prefazione a Rossella Dolce e Fiorenzo Pilla, Il web che odia le donne, Ledizioni, Milano, 2019. ISBN 9788867059881

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