Isaiah Berlin

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Sir Isaiah Berlin nel 1983

Isaiah Berlin (1909 – 1997), filosofo, politologo e diplomatico britannico.

Citazioni di Isaiah Berlin[modifica]

  • Ciò che rese de de Maistre così affascinante agli occhi della sua generazione è che la costringeva a guardare il lato sgradevole delle cose. La costringeva ad abbandonare il suo blando ottimismo, la psicologia meccanicistica, tutti quei levigati ideali settecenteschi che nel corso della Rivoluzione francese avevano patito una così schiacciante catastrofe. Al termine dei periodi ottimistici, positivistici, costruttivi della storia umana [...], quando diventa evidente che la soluzione non ha funzionato, una tendenza alla reazione affiora sempre nella gente comune, disgustata da tanto falso ottimismo, da tanto pragmatismo, da tanto idealismo positivo, screditati dal fatto che la bolla s'è sgonfiata, e tutti gli slogan si sono rivelati privi di senso e inadeguati quando il lupo ha davvero bussato alla porta. [...] il contributo di de Maistre è un violento antidoto alle dottrine sociali settecentesche, con le loro pretese esagerate, il loro eccessivo ottimismo e la loro formidabile superficialità. De Maistre si guadagna la nostra gratitudine come profeta delle forze più violente e più distruttive che hanno minacciato, e tuttora minacciano la libertà e gli ideali dei comuni esseri umani.[1]
  • [Gli idealisti romantici] Credevano nella necessità di battersi fino all'ultimo respiro per le proprie convinzioni... Non erano disposti a vendersi, ma erano pronti a salire sul rogo per qualcosa in cui si crede, per la sola ragione che ci si crede, ammiravano la dedizione incondizionata, la sincerità, la purezza dell'anima, la capacità di dedicarsi al proprio ideale, qualunque esso fosse. (da Le radici del romanticismo, traduzione di G. Ferrara degli Uberti, Adelphi, 2001; citato in Giampaolo Pansa, Sconosciuto 1945, Sperling & Kupfer, 2005)
  • L'essenza della libertà sta nel diritto di opporsi di difendere le nostre convinzioni solo perché sono le nostre convinzioni. (da La libertà e i suoi traditori, 2002)
  • La volpe sa tante cose ma il riccio ne sa una grande.[2]
  • La tesi semplice, a cui mi attengo, è che dove i valori ultimi rimangono inconciliabili, in linea di principio non si possono trovare soluzioni univoche. (citato in Ralf Dahrendorf, Erasmiani, traduzione di M. Sampaolo, p. 47)
  • Ma non si guadagna nulla a confondere i concetti... Un sacrificio non accresce ciò che viene sacrificato, cioè la libertà, per quanto grande possa essere la necessità morale del sacrificio o il vantaggio morale che ne deriva. Ogni cosa è quello che è: la libertà è libertà, non uguaglianza o gentilezza o giustizia o cultura, o fortuna umana o una tranquilla coscienza. (citato in Ralf Dahrendorf, Erasmiani, traduzione di M. Sampaolo, p. 46)
  • [Marx è] il vero padre della sociologia moderna, nella misura in cui qualcuno può rivendicare questo titolo. (citato in AA.VV., Il libro della sociologia, traduzione di Martina Dominici, Gribaudo, 2018, p. 31. ISBN 9788858015827)
  • L'essenza della libertà è sempre consistita nella capacità di scegliere come si vuole scegliere e perché così si vuole, senza costrizioni o intimidazioni, senza che un sistema immenso ci inghiotta; e nel diritto di resistere, di essere impopolare, di schierarti per le tue convinzioni per il solo fatto che sono tue. La vera libertà è questa, e senza di essa non c'è mai libertà, di nessun genere, e nemmeno l'illusione di averla. (da Libertà)
  • [Su Franklin Delano Roosevelt] Possedeva il carattere, l'energia e l'abilità dei dittatori, ma era dalla nostra parte. (citato in Henry Kissinger, L'arte della diplomazia, Sperling, 2004, p. 282)
  • Possiamo fare solo quello che possiamo; ma questo dobbiamo farlo, nonostante le difficoltà. (da Il legno storto dell'umanità, traduzione di G. Ferrara degli Uberti, Adelphi, 1996, p. 40)

Il fine della filosofia[modifica]

  • È un'ipotesi ragionevole credere che tra le principali cause di errore, malcontento e paura figurino, quali che ne possano essere le radici psicologiche e sociali, la cieca adesione a idee consunte, la diffidenza patologica per qualsiasi forma di autocritica, gli spasmodici sforzi per evitare di analizzare razionalmente, a qualsiasi livello, ciò per mezzo di cui e con cui viviamo.
  • Gli uomini non possono vivere senza cercare di descriversi e di spiegarsi l'universo.
  • Il compito della filosofia, spesso difficile e doloroso, è districare e portare alla luce le categorie e i modelli nascosti in base ai quali gli esseri umani pensano [...]; rivelare ciò che in essi vi è di oscuro e contraddittorio; discernere quelle incompatibilità tra i modelli che impediscono la costruzione di modi più adeguati per organizzare, descrivere e spiegare l'esperienza.
  • Il fine della filosofia è sempre il medesimo, aiutare gli uomini a capire se stessi e quindi a operare alla luce del giorno e non paurosamente, nell'ombra.
  • Il mondo di un uomo che crede che Dio lo abbia creato con un preciso scopo, che lo abbia dota­to di un'anima immortale, che ci sia un'altra vita in cui dovrà scon­tare i propri peccati, è radicalmen­te diverso dal mondo di un uomo che non crede in alcuna di queste cose; e i motivi d'azione, i codici morali, le idee politiche, i gusti, i rapporti personali del primo saranno profondamente e sistematicamente diversi da quelli del secondo.
  • [Platone] Tentò di comporre un proprio sistema della natura umana, dei suoi attributi e dei suoi fini, seguendo uno schema geometrico, poiché riteneva che questo avrebbe spiegato tutto quan­to esisteva.

Note[modifica]

  1. Da La libertà e i suoi traditori, Adelphi, Milano, 2005. Citato in Dino Colafrancesco, Sottrarre de Maistre alla retorica liberale, huffingtonpost.it, 30 maggio 2021.
  2. Metafora usata da Berlin per descrivere due tipi opposti di filosofia. (citato in Marcello Veneziani, Imperdonabili, Venezia, 2017, p. 379. ISBN 978-88-317-2858-4)

Bibliografia[modifica]

  • Isaiah Berlin, Il fine della filosofia, a cura di Henry Hardy, traduzione di N. Gardini, Edizioni di Comunità, 2002.
  • Isaiah Berlin, Libertà, a cura di Henry Hardy, traduzione di G. Rigamonti e M. Santambrogio, Feltrinelli, 2002.

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