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Leonard Woolley

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Leonard Woolley, 1912

Sir Charles Leonard Woolley (1880 – 1960), archeologo britannico.

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  • Se quello che abbiamo trovato a Tell el Amarna, può farci evitare l'esagerazione che fa di Ekhnaton un santo e un profeta e indurci a vederlo in una più giusta prospettiva, il lavoro compiuto sarà servito a qualcosa. Nulla può cambiare il fatto che egli fu una figura importante della storia e un personaggio interessantissimo, ma se egli fosse stato tutto ciò che alcuni hanno preteso, sarebbe effettivamente difficile spiegare come mai ciò che egli rappresentò sia finito con lui. Alla sua morte, la sua sfarzosa capitale fu abbandonata, come un palcoscenico dopo che è calato il sipario sull'ultimo atto; ma molto prima che i muri di fango si fossero sgretolati, il suo insegnamento era uscito dall'animo degli uomini e veniva ricordato solo per essere maledetto. (da Prime esperienze: Inghilterra, Nubia, Egitto, pp. 44-45)
  • Ricordo che un giorno a Teano, mentre con un italiano si stava contemplando il superbo panorama, feci qualche osservazione sul fatto che tutte le rovine romane sono situate nelle fertili piane della valle, mentre i castelli medioevali sono appollaiati sulle nude colline. – Già, – commentò il mio compagno, – all'età delle aquile era successa quella degli avvoltoi –. Era un'ottima sintesi; e dello stato di anarchia e di violenza seguito alla caduta di Roma imperiale il rifugio per il bestiame nella valle del Sabato era un'eloquente testimonianza. (da Italia meridionale, p. 48)
  • Il presente di ogni paese ha in larga misura le radici nel passato e il modo migliore per capire il passato è apprezzare il presente. Sono più che sicuro che un archeologo che sia insensibile all'ambiente, allo spirito, cioè, della terra nella quale opera, non potrà mai arrivare ad un effettivo successo nel suo lavoro. La verità di questo risultava con evidenza immediata nelle cittadine e nei villaggi dell'Italia meridionale; passato e presente là erano strettamente congiunti. (da Italia meridionale, pp. 51-52)
  • [Sulle genti dell'Italia meridionale] La loro religione era solo un sottile strato di cattolicesimo romano sovrapposto a un fondo di antico paganesimo; i loro santi erano gli antichi dèi sotto nomi diversi, e alla festa della primavera, in chiesa, essi flagellavano con le ortiche l'immagine del santo esattamente come i loro antenati avevano flagellato la statua del dio degli orti, Priapo, per impetrare un buon raccolto. I loro costumi erano quelli di un mondo primitivo e senza leggi; i loro modi erano quelli incantevoli di una razza libera e fiduciosa di sé. In contrasto con i contadini egiziani, i cui pensieri non andavano mai più in là del denaro, questa gente generosa e schietta era di piacevolissima compagnia, e quanto più si conoscevano tanto meglio si riusciva a comprendere il lato umano del mondo antico, di cui l'archeologo deve interpretare i resti materiali. (da Italia meridionale, p. 52)
  • [...] l'archeologia è una scienza profondamente umana. Attraverso l'oggetto l'archeologo deve risalire all'uomo che l'ha creato e da questo alla società in cui viveva. Chiunque può scavare oggetti, ma solo attraverso l'osservazione e l'interpretazione si può disseppellire il passato. (da Nota dell'Autore, p. 110)
  • La scienza misura il tempo a milioni di anni e prolunga lo spazio all'infinito; però questa più vasta visuale non diminuisce affatto il nostro interesse per le cose dell'oggi e del domani e sembra interferire assai poco nella nostra attività pratica; eppure questa nuova visuale esiste, elemento della nostra stessa coscienza; e quanto più ampia è l'esplorazione del reale tanto più profonda è la comprensione di noi stessi. L'archeologia, se pure in un campo più limitato, sta facendo la stessa cosa: essa si occupa di un periodo di tempo che non va oltre alcune migliaia di anni e il suo oggetto non è l'universo e neppure la razza umana, ma l'uomo moderno. (da A guisa d'introduzione, p. 112)
  • Oggi noi siamo in grado di vedere che l'uomo moderno non ha cominciato la sua carriera nel 500 a. C., forse nemmeno nel 5000 a. C.; dall'età aurea della cultura attica noi possiamo risalire indietro e scoprirne le radici che arrivano molto lontano e producono germogli perenni, se pur diversi a seconda della natura del suolo e del modo in cui sono stati coltivati, ma tutti derivati da un solo ceppo; e alla luce di questa conoscenza noi possiamo giudicare e controllare meglio lo sviluppo presente e quello futuro. (da A guisa d'introduzione, p. 113)
  • [...] è certo che l'archeologo non desidererebbe di meglio che tutte le antiche capitali fossero state sepolte dalle ceneri di un vulcano opportunamente situato nelle vicinanze. Non è senza un'invidia acuta che chi scava in altri luoghi visita Pompei e osserva lo stato di meravigliosa conservazione degli suoi edifici, e le case ancora in piedi sino al secondo piano, gli affreschi sulle pareti e tutto il mobilio e gli oggetti casalinghi ancora al loro posto come i proprietari li lasciarono al momento della fuga. In mancanza di un vulcano, la miglior cosa che può capitare ad una città, archeologicamente parlando, è di venir saccheggiata e completamente incendiata dai nemici. (da A guisa d'introduzione, p. 120)
  • [...] l'archeologo opera generalmente con l'appoggio di un'istituzione che è ansiosa di assicurarsi nuovi esemplari per le vetrine del museo: ed è certamente un fine encomiabile dato che non v'è nulla di più efficace, per risvegliare l'interesse intorno ad una nuova scienza, del richiamo visivo: «vedere è credere» e i musei sono un mezzo potente di educazione. (da L'inizio di uno scavo, pp. 127)

Bibliografia

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  • Leonard Woolley, Il mestiere dell'archeologo, traduzione di Giuliana Lenghi Balestra, Edizione CDE, Milano, stampa 1985.

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