Marcelle Padovani
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Marcelle Padovani (1947 – vivente), giornalista francese.
Intervista di Concetto Vecchio, Repubblica.it, 14 agosto 2021.
- Sono corsa e l’italiano ce lo insegnavano sin dalle elementari. Quando mi sono iscritta alla Sorbona per studiare scienze politiche ho continuato a studiare la vostra lingua. Mi sono laureata con una tesi sulle sinistre francesi e italiane negli anni 1944-47.
- Qui [in Italia] le cose avvenivano prima che nel resto d’Europa, dal terrorismo alla mafia. Lo Stato era alle prese con fenomeni senza eguali e doveva capire come venirne a capo. Tutto questo era terribile, ma anche affascinante per un giornalista. Gli italiani dimenticano troppo in fretta questa loro natura di laboratorio: un luogo cioè dove si mescolano elementi raffinati e complessi che esigono risposte altrettanto raffinate e complesse. Nella lotta contro la mafia e il terrorismo lo Stato alla fine ha vinto nella sorpresa generale.
- Per populismo mi riferisco a quello dei Cinquestelle, perché Matteo Salvini è soltanto un demagogo opportunista che ricorre al populismo quando gli serve.
- Andai a trovarlo a Racalmuto e sua moglie Maria ci preparò la pasta con le sarde. Sciascia parlava della Sicilia, di Parigi, della mafia e di Racalmuto. Non parlava mai dell'Italia. Una cosa che mi colpì moltissimo.
- [Leonardo Sciascia] Alla fine di ogni estate andava a Parigi in treno, alloggiando sempre nello stesso albergo, l'Hotel du Pont Royal in rue de Montalembert: faceva tappa a Roma, scendeva dal treno, dormiva una notte in albergo e ripartiva subito.
- Sciascia mi spiegò subito che il vero siciliano non ama il mare, perché dal mare, da sempre, sono giunti gli invasori. E infatti, in molti paesi siciliani, le case danno le spalle al mare. In Corsica è lo stesso.
- [Giovanni Falcone] Parlava solo di mafia. Non mostrò mai il minimo interesse per la mia vita. Non mi chiese mai da dove venissi, che studi avessi fatto, niente di niente. Era monotematico, da cui è derivata la sua proverbiale efficienza, il suo professionismo.
- Bruno [Trentin] mi disse: "Invitiamo Giovanni [Falcone] a cena, dobbiamo festeggiare". Accettò. Parlammo dell'attualità politica, dell'irredentismo altoatesino, di Mahler che aveva avuto lì una casa, e la figura di Giovanni si rimpiccioliva nella sedia: si annoiava. A un certo punto feci riferimento a una notizia di cronaca che riguardava il figlio di Stefano Bontate e in quel momento si ridestò di colpo, raddrizzandosi sulla sedia
- Falcone viene incensato, senza essere studiato. Chiunque parli di mafia lo cita, spesso a sproposito. Da vivo fu molto solo, si contavano sulle dite di una mano i magistrati che lo sostenevano, i più lo criticavano per il suo presunto protagonismo mediatico.
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