Michel Chion
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Michel Chion (1947 – vivente), critico, compositore, e regista francese.
Citazioni
[modifica]- Fire Walk With Me è il lungometraggio di Lynch con la costruzione più insolita: lo stesso Eraserhead è più lineare. L'articolazione tra il prologo (l'inchiesta senza sbocco sulla morte di Teresa Banks) e il corpo centrale del film, pur avendo una giustificazione logica, rivela volontariamente la sua arbitrarietà, perché viene sovra-significata come una premonizione. (da David Lynch, Lindau, Torino, 1995)
- In Fire Walk With Me si fa grande uso di effetti sonori, così come "suoni a rovescio" preceduti dal loro riverbero e che scoppiano come piccole bolle – sonorità tenute gravi, suoni slittati che danno le vertigini, ecc. Questa attività sonora costante, la cui fronte e la cui natura restano spesso indecifrabili, è uno degli elementi più originali dell'opera. (da David Lynch, Lindau, Torino, 1995)
L'audiovisione. Suono e immagine nel cinema
[modifica]- Con l'espressione valore aggiunto designiamo il valore espressivo e informativo di cui un suono arricchisce un'immagine data, sino a far credere, nell'impressione immediata che se ne ha o nel ricordo che se ne conserva, che quell'informazione o quell'espressione derivino «naturalmente» da ciò che si vede, e siano già contenute nella semplice immagine. (cap 1 – Proiezioni del suono sull'immagine, p. 15)
- [...] tre differenti disposizioni di ascolto, finalizzate a oggetti differenti: l'ascolto causale, l'ascolto semantico e l'ascolto ridotto.
L'ascolto più diffuso è il primo, l'ascolto causale, che consiste nel servirsi del suono per informarsi, quanto più possibile, sulla sua causa. Sia che tale causa ia visibile e che il suono possa aggiungere a essa un'informazione supplementare [...]. Sia, a fortiori, che la causa sia invisibile e che il suono costituisca la nostra principale fonte di informazione su essa. La causa può essere invisibile, ma indentificata tramite un sapere o un calcolo logico.
L'ascolto causale può avvenire a livelli differenti.
Primo caso: riconosciamo la causa precisa e individuale: la voce di una determinata persona, il suono di un oggetto unico.
Secondo caso: non riconosciamo un esemplare, un individuo o un elemento unico e particolare, ma una categoria causale umana, meccanica o animale: voce di un uomo adulto, motore di uno scooter, canto di un'allodola.
Più in generale, in casi ancora più ambigui – e ben più numerosi di quanto si creda – ciò che noi riconosciamo è soltanto una natura di causa, la natura stessa dell'agente: «dev'essere qualcosa di meccanico» (identificato da un ritmo, da una regolarità detta appunto meccanica) [...]. (cap. 2 – I tre ascolti, pp. 37-39)
- Chiamiamo ascolto semantico quello che fa riferimento a un codice o a un linguaggio per interpretare un messaggio: il linguaggio parlato, naturalmente, ma anche i codici come il Morse.
[...] Sentiamo al tempo stesso ciò che qualcuno ci dice e il modo in cui lo dice. L'ascolto causale di una voce, del resto, sta al suo ascolto linguistico un po' come l'esame grafologico di un testo sta alla sua lettura. (cap. 2 – I tre ascolti, p. 40)
- Pierre Schaeffer ha battezzato «ascolto ridotto» l'ascolto rivolto alle qualità e alle forme proprie del suono, indipendentemente dalla sua causa e dal suo senso; e che considera il suono – verbale, strumentale, aneddotico o qualunque – come oggetto di osservazione, invece di attraversarlo mirando ad altro [...].
Si rendono conto che parlare di suoni di per se stessi, costringendosi a qualificarli indipendentemente da qualunque causa, senso o effetto, non è compito facile. E i termini analogici abituali rivelano qui tutta la loro ambiguità: questo suono, dite voi, è stridente, ma in che senso? «Stridente» è soltanto un'immagine, o rimanda a una sorgente che effettivamente stride? O è l'evocazione di un effetto sgradevole? (cap. 2 – I tre ascolti, p. 41)
- [...] la situazione di ascolto acusmatica, definita più avanti come quella in cui si sente il suono senza vederne la causa, può modificare il nostro ascolto e attirare la nostra attenzione su caratteri sonori che la visione simultanea delle cause ci nasconde, perché quest'ultima rinforza la percezione di certi elementi del suono e ne occulta altri. L'acusmatico permette davvero di rivelare il suono in tutte le sue dimensioni. [...] staccarsi dalle sue cause o dagli effetti, a beneficio di una considerazione cosciente delle tessiture, delle masse e delle velocità sonore. (cap. 2 – I tre ascolti, p. 44)
- La questione dell'ascolto è inseparabile da quella dell'udire, come quella dello sguardo da quella del vedere. In altri termini, per descrivere i fenomeni percettivi, si è obbligati a tenere conto del fatto che la percezione cosciente e attiva non è che una scelta in un dato più vasto che è presente e si impone. Nel cinema lo sguardo è un'esplorazione, spaziale e temporale al tempo stesso, in un dato a vedere delimitato che si mantiene nel quadro di uno schermo. L'ascolto, invece, è un'esplorazione in un dato a udire, addirittura in un «imposto a udire» molto meno delimitato sotto tutti i punti di vista, con contorni incerti e mutevoli. (cap. 3 – I tre ascolti, p. 45)
- Nel suono vi è sempre qualcosa che ci sommerge e ci sorprende qualunque cosa facciamo. E che, anche e soprattutto quando ci rifiutiamo di prestare a esso la nostra attenzione cosciente, si insinua nella nostra percezione e vi produce i propri effetti. La percezione cosciente può certo esercitarsi con successo a sottoporre tutto al proprio controllo, ma, nella situazione culturale attuale, il suono ha – più facilmente dell'immagine – il potere di saturarla e ci cortocircuitarla.
Le conseguenze di ciò, per il cinema, sono che il suono è, più dell'immagine, un mezzo insidioso di manipolazione affettiva e semantica. Sia che il suono agisca su di noi fisiologicamente (rumori di respirazione); sia che, per mezzo del valore aggiunto, esso interpreti il senso dell'immagine e ci faccia vedere in essa ciò che in assenza di suono non vedremmo, o vedremmo diversamente.
In breve, il suono non viene investito e localizzato nello stesso modo dell'immagine. (cap. 3 – I tre ascolti, p. 46)
- Il flusso del suono di un film si caratterizza per l'aspetto più o meno legato, più o meno insensibilmente e fluidamente concatenato dei differenti elementi sonori, successivi e sovrapposti, o al contrario più o meno accidentato e interrotto da bruschi salti - che interrompono imporvvisamente un suono per sostituirgliene un altro. (cap. 3 – I tre ascolti, p. 58)
- Tati [...] utilizza effetti sonori estremamente punteggiati e delimitati, realizzati separatamente e localizzati nel tempo, la cui semplice successione darebbe luogo a una colonna audio frammentata e procedente a singhiozzo, se egli non utilizzasse come legame il complesso degli elementi d'ambiente continuo [...]. (cap. 3 – I tre ascolti, p. 59)
- Chiameremo logica interna del concatenamento audiovisivo un modo di concatenamento delle immagini e dei suoni concepito per rispondere a un processo organico flessibile di sviluppo, di variazione e di crescita, che nasce dalla situazione stessa e dalle sensazioni che essa ispira: la logica interna privilegia dunque, nel flusso sonoro, le modificazioni continue e progressive, e non utilizza le cesure brusche se non quando la situazione lo richiede. Al contrario, si chiamerà logica esterna (al materiale) quella che risente degli effetti di discontinuità e di cesura in quanto interventi esterni al contenuto rappresentato: montaggio che taglia il filo di un'immagine o di un suono, cesure, sganciamenti, bruschi cambiamenti di velocità ecc. (cap. 3 – I tre ascolti, p. 59)
- È celebre l'aforisma di Bresson secondo cui il cinema sonoro ha introdotto il silenzio, e questa formula chiarisce un giusto paradosso: è stato necessario che vi fossero dei rumori e delle voci perché le loro sospensioni e interruzioni scavassero quella cosa che si chiama silenzio, mentre nel cinema muto tutto suggeriva, al contrario, il suono. (cap. 3 – Linee e punti, p. 71)
- [...] quell'elemento zero – ameno in apparenza – della colonna audio che è il silenzio non è per nulla semplice da ottenere, neppure a livello tecnico. Non basta infatti interrompere il flusso sonoro e inserire al suo posto qualche centimetro di nastro vergine. In questo caso si avrebbe la sensazione di una interruzione tecnica [...]. Ogni luogo ha il suo silenzio specifico [...]. (cap. 3 – Linee e punti, p. 71)
- Il silenzio [...] non è mai un vuoto neutro: è il negativo di un suono che si è sentito prima o che si immagina; è il prodotto di un contrasto. (cap. 3 – Linee e punti, p. 72)
- [...] è difficile immaginarsi la meraviglia che potevano suscitare nel 1927, per via del loro stesso sincronismo, i primi film con suono e immagine sincroni. Che il suono e l'immagine volteggiassero come una coppia di ballerini in perfetto accordo, costituiva di per sé uno spettacolo. (cap. 3 – Linee e punti, p. 80)
- In generale, più il suono è riverberato, più è espressivo del luogo che lo contiene. Più esso è «secco», più è suscettibile di rimandare ai limiti materiali della sua sorgente – mentre la voce rappresenta un caso particolare, poiché, al contrario, è quando essa viene privata di ogni riverbero e sentita da vicino che nel cinema è suscettibile di essere al tempo stesso la voce che lo spettatore interiorizza in quanto propria, e quella che prende totalmente possesso dello spazio diegetico: a un tempo completamente interna e invadente tutto l'universo. È ciò che abbiamo chiamato la Voce-Io [...]. La voce deve questo statuto particolare al fatto di essere per eccellenza il suono che ci riempie provenendo da noi stessi. (cap. 4 – La scena audiovisiva, p. 96)
- Ogni musica presente in un film (ma più facilmente le musiche da buca) è in grado di funzionare in esso come piattaforma girevole spazio-temporale; ciò vuol dire che la posizione particolare della musica è di non essere soggetta a barriere di tempo e spazio, contrariamente agli altri elementi visivi e sonori, che devono essere situati in rapporto alla realtà diegetica, e non a una nozione di tempo lineare e cronologica.
Nello stesso tempo, la musica nel cinema è l'«attraversamuri» per eccellenza, capace di comunicare istantaneamente con gli altri elementi dell'azione concreta (per esempio, di accompagnare dall' off un personaggio che parla nell' in), e di oscillare istantaneamente dalla buca allo schermo, senza tuttavia rimettere in questione la realtà diegetica o colpirla con l'irrealtà, come farebbe una voce off che intervenisse nell'azione. Nessun altro elemento sonoro del film può disputare a essa questo privilegio. (cap. 4 - La scena audiovisiva, p. 98)
- In un suono, gli indizi materializzanti sono quelli che ci rimandano all'intuizione della materialità della sorgente e al concreto processo dell'emissione del suono. Essi sono in grado, tra l'altro, di darci informazioni sulla materia (legno, metallo, carta tessuto) che causa il suono, così come sul modo in cui esso è ottenuto (sfregamento, colpi, oscillazioni disordinate, andate e ritorni periodici ecc.). (cap. 5 - Il reale e la resa, p. 136)
- Gli indizi sonori materializzanti consistono frequentemente in diseguaglianze nell'uso del suono, le quali denotano una resistenza, una difficoltà, un sobbalzo nel movimento o nel processo meccanico... In una voce può essere la presenza di respiri, di rumori di bocca o di gola, ma anche alterazioni del timbro (che si incrina, devia, stride, ecc.) (cap. 5 - Il reale e la resa, p. 137)
- Spesso, nei film di Tarkovskij, il suono è così: esso richiama un'altra dimensione, è altrove, svincolato dal presente. Può anche mormorare come il brusio del mondo: vicino e al tempo stesso inquietante. (cap. 6 – L'audiovisione vuota, p. 147)
- Il suono e l'immagine non vanno confusi con l'orecchio e la vista. Lo dimostrano i cineasti che possono essere definiti degli uditivi dell'occhio.
Che cosa significa allora la parola «uditivo», se non si tratta di una sensazione che si rivolge all'orecchio?
[...] laddove quel globo pigro, a ventiquattro immagini al secondo, crede di vedere qualcosa di continuo (non è difficile!), l'orecchio necessita di un tasso di campionamento assai più elevto. E laddove l'occhio si lascia rapidamente superare quando l'immagine gli mostra uno spostamento ultrabreve, accontentandosi - come inebetito - di constatare la presenza di un movimento senza poter analizzare il fenomeno, l'orecchio ha invece avuto il tempo di riconoscere e disegnare nettamente, sullo schermo percettivo, una serie complessa di tragitti sonori o fonemi verbali...
All'inverso, una certa rapidità data dall'immagine pare rivolgersi all'orecchio che si trova nell'occhio, per essere convertita nella memoria in impressioni sonore. (cap. 6 – L'audiovisione vuota, pp. 159-160)
- Esiste l'inverso degli uditivi dell'occhio, ossia i visivi dell'orecchio? Forse autori come Godard, nella misura in cui egli ama montare i suoni come se si trattasse di piani, cut, e ama far risuonare tali suoni, voci o rumori, in uno spazio riverberato e concreto, facendoci sentire dei muri e un interno [...]. Ora, questi effetti acustici di suoni riverberati e prolungati lasciano spesso, nel ricordo che ne conserviamo, una traccia non sonora ma visiva. (cap. 6 – L'audiovisione vuota, p. 160)
- Di tutti gli sport mostrati dal piccolo schermo, il tennis è per eccellenza lo sport acustico. [...] Ai tradizionali rumori della pallina che viene colpita, e che sono la firma sonora di questo sport (colpi che diffondono un'eco secca, che l'orecchio saggia, soppesa come un indizio per valutare i limiti dello spazio), si aggiungono ora eventi lievi e sottili, che la banda passante del suono televisivo trasmette perfettamente: rapidi fruscii prodotti dal gioco di gambe degli atleti sul terreno, respirazione affannata e talvolta grida, quando la fatica li obbliga a fare più sforzo. Tutta una storia acustica, ma con il flou narrativo caratteristico dell'universo dei rumori [...]. (cap. 8 – Televisione, clip, video, p. 187)
- Resta il fatto che, nel dramma del tennis, ogni momento significativo è punteggiato da un suono particolare, e ogni palleggio è un dramma acustico che si organizza intorno a un passo falso sonoro: l'assenza del «plonk» che indica la palla colpita e rinviata – sia che un giocatore l'abbia mandata in rete, sia che l'altro abbia fallito la risposta. Ma questo vuoto sonoro, questa pausa, questo punto di sincronizzazione evitato nella partitura alternata dei giocatori si vede immediatamente riempito, come un recipiente, dal fiotto di un rumore: quello – dalle infinite sfumature, dalle inesauribili peripezie e dall'imprevedibile decremento – emesso dal pubblico: applausi, «oohh...» di delusione, fischi. È reagendo all'assenza di un suono che il pubblico interpreta nell'insieme la propria parte sonora e ritmica. (cap. 8 – Televisione, clip, video, p. 188)
- Perché dire «un suono», quando si può dire «un crepitio», «uno sgocciolio» o «un tremolio»? Utilizzare questi termini più rigorosi e specifici consente di confrontare le percezioni le une con le altre, e di progredire nella loro definizione e nella loro collocazione. Il solo fatto di dover cercare nella lingua ciò cdi cui già si dispone crea un atteggiamento mentale che spinge a interessarsi più da vicino ai suoni. (cap. 10 – Introduzione a un'analisi audiovisiva, p. 218)
Bibliografia
[modifica]- Michel Chion, L'audiovisione suono e immagine nel cinema, traduzione di Dario Buzzolan, Lindau, Torino, 2017. ISBN 978-8867086870
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