Nasr Hamid Abu Zayd

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Naṣr Ḥāmid Abū Zayd (1943 – 2010), teologo egiziano.

Citazioni di Nasr Hamid Abu Zayd[modifica]

  • Nella genesi coranica i due sessi sono parificati. La divisione dell'anima in una coppia non genera nessuna superiorità di una parte rispetto all'altra. È vero che il Corano cita spesso il nome Adamo, mentre non appare mai quello di Eva, ma nel Corano Adamo non rappresenta "l'uomo maschio", e neppure uno specifico essere umano, bensì tutto il genere umano. Il Corano non distingue tra l'azione religiosa di un uomo e quella di una donna, neppure quando tratta della loro punizione o premio nell'aldilà. (citato in Non sottomessa)
  • Tutto il Corano va seguito, ma non ciecamente. (citato in Non sottomessa)
  • Una società non può svilupparsi correttamente se le donne vengono escluse dai processi di trasformazione. (citato in Non sottomessa)
  • [Parlando della propria madre] Il suo sogno era di imparare a leggere e a scrivere. Credo che sia morta delusa perché non glielo abbiamo insegnato. Quando vivevo negli Stati Uniti per lei era difficile accettare l'idea di non poter leggere le mie lettere e dover sempre ricordare ai miei fratelli di rispondermi. Quando ritardavano nel farlo lei gli diceva sempre: "Insegnatemi a leggere e a scrivere, così potrò rispondergli io". (citato in Non sottomessa)
  • Se, durante una lezione, accennavo a una poesia d'amore, poteva accadere che una diciottenne si alzasse per dire che nell'islam le poesie d'amore erano proibite. (citato in Non sottomessa)
  • I governi dovrebbero distinguere tra i radicali e la maggioranza dei musulmani. Identificarli, individuare le loro relazioni con l'estero, investigare. Gli Stati applichino misura positive di integrazione con la terza generazione, trovino posto nei calendari nazionali per le nostre festività. Infine il sistema educativo dovrebbe enfatizzare la struttura sociale multiculturale, multietnica e multireligiosa. (citato in Non sottomessa)
  • Ricondurre tutti i problemi del mondo musulmano – siano essi politici, economici, sociali o culturali – all'Islam è ciò che io definisco una teologizzazione delle questioni secolari. È questa teologizzazione a rafforzare la rivendicazione fondamentalista. Secondo i fondamentalisti il ritorno all'Islam e alla sua età dell'oro risolverebbe qualsiasi problema. Gli intellettuali laici, al contrario, vogliono identificare cause e ragioni specifiche in cerca di soluzioni. Non va dimenticato, inoltre, che il mondo musulmano non è un'entità monolitica. Le accuse mosse contro l'Islam si fondano sull'assunto secondo cui esso rappresenterebbe un sistema definito, privo di storia e di quella molteplicità di sfaccettature che, invece, lo caratterizzano.
  • La manipolazione dell'Islam è possibile solo quando non esiste libertà di discussione, quando anzi la discussione pubblica è assente e persiste l'oppressione dei diritti individuali. Quando le autorità, per mancanza di legittimità politica, si proclamano sola difesa della fede e reprimono qualsiasi opposizione politica dichiarandola una minaccia per la comunità, l'opposizione, oppressa, non ha altra scelta se non quella di avanzare una rivendicazione simile. Così l'Islam diviene il campo di battaglia per questioni politiche e la sua energia viene completamente consumata come fosse carburante politico. È qui che muore la religione e fiorisce la mostruosità del terrorismo.
  • Tutti sono interessati ad esercitare la propria libertà in ogni sfera della vita, pur volendo agire in rispondenza ai propri valori e alle proprie norme religiose. Per ostacolare il cammino verso la libertà, chi è al potere sosterrà che la libertà stessa potrebbe provocare una violazione delle norme religiose. D'altro canto, i politici islamisti avanzeranno la possibilità che la democrazia possa portare un governo contrario alla Shari'a, eppure, quando sono vittime di persecuzioni, essi non esitano ad appellarsi ai concetti di "libertà" e "diritti umani". Gli analisti dovrebbero fare del loro meglio per smascherare questa procedura di manipolazione in modo da rendere il pubblico consapevole del gioco.
  • Le idee non muoiono mai, esse dispongono di ali proprie per poter volare liberamente.

Una vita con l'islam[modifica]

Incipit[modifica]

Mio padre era ottimista e così mi diede il nome Nasr. Aveva scommesso con i suoi amici che gli alleati avrebbero vinto la seconda guerra mondiale. Come la maggior parte degli egiziani anche i suoi amici speravano nella vittoria delle potenze dell'Asse, cioè in fondo speravano che l'Inghilterra perdesse la guerra visto che in quegli anni stava occupando l'Egitto. Si pensava che con una vittoria della Germania l'Egitto si sarebbe potuto liberare. Circolava anche la voce che Adolf Hitler si fosse convertito all'Islam e che il suo vero nome fosse Muhammad. Più veloce del vento questa voce si diffuse anche nel nostro villaggio, e gli amici di mio padre accolsero con entusiasmo l'idea che il mussulmano Muhammad Hitler avrebbe potuto liberare l'Egitto dalle mani dei colonialisti. Solo mio padre puntò sulla vittoria degli inglesi e così mi diede nome Nasr che in arabo significa vittoria.

Citazioni[modifica]

  • I poveri lavoravano presso i ricchi, ricevendo in cambio non soltanto un salario, ma anche cibo, vestiti e qualche volta anche la somma necessaria per le spese scolastiche dei figli. Oggi mi è chiaro che sono state le concezioni religiose a garantire questo livellamento sociale e a impedire per esempio che qualcuno nel nostro villaggio potesse soffrire la fame. (p. 26)
  • Dopo che l'alunno aveva scritto i versetti, lo shaykh lo teneva stretto tra le ginocchia per recitarglieli. Il bambino doveva quindi ripeterli. A ogni errore riceveva una bacchettata sulla testa; un colpo leggero che doveva servire a fargli capire che aveva commesso un errore e che doveva ripetere il versetto daccapo. Se faceva un altro errore, riceveva un'altra bacchettata; allora il versetto veniva ripetuto per la terza volta. Lo shaykh non correggeva l'errore se non alla terza bacchettata. È ovvio che uno non potrà mai scordarsi una correzione che gli è costata tre bacchettate sulla testa. (p. 33)
  • Il significato del Corano si dischiude veramente soltanto nella recitazione. Se ci si limita alla sua forma scritta si trascura l'aspetto rituale, lasciandosi così sfuggire quella che potrebbe essere definita la conoscenza estetica o sensibile della Rivelazione. In colui che legge sorge una voce interiore che si distingue dalla voce concreta di chi recita e questo vale per ogni testo, in ogni religione. Una religione senza esperienza fisica del rituale non è molto di più di una costruzione intellettuale. (p. 34)
  • Mi sembra che proprio nell'importanza rituale della recitazione, che travalica i confini della comprensione razionale, vada ricercata una delle ragioni per le quali i mussulmani si attengono rigorosamente al testo coranico e hanno paura di uno studio critico-letterario. (p. 36)
  • Nel mondo arabo questo linguaggio seducente, che non vuole persuadere razionalmente, ma solo suscitare emozioni, è tuttora molto diffuso. (p. 44)
  • Sapevo che il mio preside era copto, e tuttavia per il fatto che stavo digiunando mi perdonò il ritardo. Era una scuola cristiana che io, alunno della scuola coranica, stavo frequentando; dove il mio professore di arabo era mussulmano e si chiamava Gesù; e dove i mussulmani avevano una propria stanza per pregare. (p. 46)
  • Il mondo mussulmano trovò una spiegazione della propria sconfitta, tanto semplice quanto fatale: la causa della debolezza fu individuata nell'Islam. Ecco la trappola nella quale sono caduti tutti i pensatori. L'accusa europea [...] secondo la quale l'Islam era colpevole della situazione di miseria in cui versava il mondo mussulmano, non fu contestata, ma implicitamente accettata. Invece di dire che l'Islam aveva poco o nulla a che vedere con la crisi, essi capovolsero semplicemente l'accusa, dicendo: non è l'Islam la causa della nostra debolezze, ma la nostra concezione dell'Islam, il nostro abbandono del vero Islam. (p. 73)
  • Il legame tra stato e religione non è obbligatorio, anzi esso si rivela pericoloso per il singolo fedele. (p. 78)
  • Per contrastare e combattere l'islamismo non serve la violenza ma, al contrario, servono più libertà, apertura e democrazia. (p. 80)
  • [...] qual è infatti il senso della vita di un professore, se non il dialogo con gli studenti? (p. 135)
  • Fare proprie alcune abitudini del partner è segno di affetto. (p. 167)
  • Il sufi è una persona molto povera. Ma allo stesso tempo è anche molto ricco perché sente di non aver bisogno di nulla. (p. 202)
  • Tutto fa venire il mal di testa, soprattutto la libertà. (p. 209)
  • La mistica è la parte intima di tutte le religioni. Il contenuto dell'Islam si svela in tutta la sua complessità nel sufismo. (p. 214)

Bibliografia[modifica]

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