Nikolaus Lenau
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Nikolaus Lenau, pseudonimo di Nikolaus Franz Niembsch von Strehlenau (1802 – 1850), poeta austriaco.
Citazioni di Nikolaus Lenau
[modifica]- Ecco l'autunno ora s'accampa mesto, | dove lieta poc'anzi ella [la primavera] fioria. || Oh come tra' cespugli tristamente | soffia gelido il vento e par che piagna! All'intorno sonar della morente | natura odo i sospiri alla campagna. || Irrevocabil sovra il capo mio | un nuovo anno fuggì su ratte penne, | ed il bosco con lento mormorio | par mi chiegga: il tuo cor pace rinvenne? || Come riempi l'animo d'affanno | rumor di frondi secche ed ingiallite! | Seco adduce fedele ciascun anno | aride foglie e speranze appassite.[1]
- M'accompagni fedel, lungo il cammino | del viver mio, Malinconia pensosa; | s'inalzi la mia stella luminosa, | ovver declini, tu mi sei vicino. || Spesso mi guidi su stagliata rupe, | dove l'aquila posa solitaria; | s'ergon gli abeti rigidi nell'aria | e del torrente muggon l'onde cupe. || Penso allora a' miei morti: repentina | lacrima sgorga dalle ciglia, e il volto, | il volto mio, di tetra nube involto, | sovra il tuo sen, Malinconia, si china.[2]
Il canzoniere
[modifica]- Sull'immobil palude il raggio blando | si posa della luna argenteo e queto, | e le pallenti rose va intrecciando | sovra la verde cerchia del canneto. || Vanno i cervi qua e là per l'aura bruna | e guardan nella fosca tenebria, | mentre si tuffa in fondo alla laguna | qualche smarrito augello, e vola via. || Ma, piangendo, io reclino il guardo mio; | mi vien passando in l'alma taciturna | di te un dolce patetico desio | o una mesta ed umil prece notturna. (Canzoni del giuncheto. 5., p. 21)
- O vaga Alpigianina, anco una fiata | nella valle il tuo canto risonò, | e gli echi delle rupi l'invidiata | gioconda tua canzone ridestò. || Odi, fanciulla, qual de' monti in seno | la tua canzone penetrando va. | E come ogni parola in un baleno | di rupe in rupe ripercossa sta. || Ma un giorno, come tutto se ne muore, | co' tuoi canti tu pure svanirai, | sia che t'assalga e ti consumi amore, | o che la morte ti rapisca mai! || Come perdute allora ti staranno | mestamente pensose a riguardar | le solitarie rupi, e ahimè! parranno | Le antiche tue canzoni meditar. (L'Alpigiana, p. 42)
- Co' suoi colpi di tuono la tempesta | commover non mi fa. | Come questa profonda, e sacra, e mesta | del mar tranquillità. || Tu soltanto mi lasci intravedere | le vaghe idee lontan, | la musica serena delle sfere, | o tranquillo Ocean. || Notturno mare, il tuo silenzio è tanto | non turbato così, | che favellar quest'anima l'incanto | del proprio sogno udì. || Che del vorace abisso al tetro aspetto | ch'empie di tema il cor, | questo segreto d'un eterno affetto | scende più addentro ognor. (Calma sul mare, p. 50)
- Come ha un sole la luce che ne suole | de' suoi raggi un ocëano versar, | qual è pel suono il sole | che può un mare di cantici irradiar? (Sole, p. 82)
- Di mezzanotte un carme mio nascea; | batté la squilla allor dodici suoni: – | dodici volte il cor le rispondea | nel roco accento delle mie canzoni | Al roco della squilla rintoccar. – (Unisono, p. 86)
- Tornavan da un feral combattimento | spossati, e a passo lento, a passo lento, | tre cavalier. || Gravi han ferite, | il sangue a fiotti abbonda, | e si riversa, e la sua tepid'onda | bagna i destrier. || Giù lunghesso la sella e lungo il freno | scende, scende, e la polve in un baleno | rigando va. || Cavalcano i destrier languidamente; | il sangue che discorre ognor crescente | lassi li fa. || E i cavalieri anch'essi affaticati | l'uno all'altro serrandosi scorati | alfin posàr. || Mesti nel viso s'affisaro e muti, e sì l'un l'altro presero sparuti | a favellar: || «Vaga fanciulla a me rideva in sorte; | come di questa mia precoce morte | deve soffrir!» || «Ho casa, ho corte, e verde una foresta, | ed ora a me dinnanzi omai non resta | che di morir!» || «Già lo sguardo di Dio nel mondo ho fiso; | ma invano, ché destin ben triste e inviso | la morte m'è!» || Ed ecco che, spïandoli voraci, | passar nell'aria tre condor rapaci | già si scerné, || Che in lor rauca favella hanno gridato: | «Quello a te spetta, a te quell'altro è dato. | E questo a me!» – (I tre, pp. 88-89)
- Duplice nostalgia possede il core | sul precipizio di profondo abisso, | se nella fosca notte guardiam fisso | torbido l'occhio e la guancia infiammata. || Né angustia allora il terrestre dolore | del mondo di lasciare ansie e tormenti, | e il cordoglio del ciel più addentro senti | com'aura mattutina sospirata. || Tal nostalgia ha il cigno quando geme, | ha la nostra di pianto ultima stilla, | nell'ora triste del dolente addio; || e forse è questo imperscrutabil io | solo un raggio fatal della pupilla | in cui due mondi stanno fusi insieme. (Duplice nostalgia, pp. 108-109)
Note
[modifica]Bibliografia
[modifica]- Nicola Lenau, Il Canzoniere, traduzione di Diego Sant'Ambrogio, Edoardo Sonzogno Editore, Milano, 1890.
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