Pietro Cavallini
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Pietro Cavallini, o Pietro de' Cerroni (1240 circa – 1330 circa), pittore e mosaicista italiano.
Citazioni su Pietro Cavallini
[modifica]- Allievo forse dei Cosmati[1], Pietro Cavallini seppe infondere alle sue figure quel profondo sentimento classico che si ritrova nelle statue dei maestri marmorari, e conservò loro quella nobiltà di portamento e quella eleganza di drappeggi quale poteva solo derivare da chi si trovava in contatto continuo con l'antica bellezza. Così sul finire del XIII secolo egli arrivava allo stesso punto in cui era arrivato Giotto, e infondeva all'arte della pittura una vita nuova, che pur essendo personalissima si riallacciava ancora alle tradizioni romane. (Diego Angeli)
- [Sulla raffigurazione pittorica degli angeli] Bisogna giungere al Cavallini per trovare indizio di miglioramento di forme, d'attitudini. E come le vesti si adattano con maggiore verità a' contorni delle membra, così le carni, ora illanguidite, dovettero splender di colorito vivace. (Guido Menasci)
- E molto di ammirazione e di lode bisogna dare a Pietro Cavallini romano, che intorno al 1364[2], vedendo Giotto lavorare nella detta nave [di San Pietro], fu il primo e per vari anni il solo ad uscire dalle tenebre che gl'ingegni della sua patria offuscavano; conciossiaché egli riuscisse uno de' più valenti discepoli che mai avesse il dipintor fiorentino, e da lui principiasse la prima luce della pittura romana. (Ferdinando Ranalli)
- Era già stata Roma anni più di seicento non solamente priva de le buone lettere e de la buona gloria dell'armi, ma eziandio di tutte le scienze e di tutte le virtù e d'ogni buono artefice; pure quando Dio volse le diede uno che l'ornò grandemente. Costui fu dipintore e chiamossi Pietro Cavallini Romano, perfettissimo maestro di musaico, la quale arte insieme con la pittura apprese da Giotto nel lavorare che aveva fatto con esso lui nella nave del musaico di San Pietro, e fu il primo, che dopo lui illuminasse questa arte. (Giorgio Vasari, Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti)
- Nel 1291, quando Pietro Cavallini lavorava i musaici di Santa Maria in Trastevere, un gran progresso dovette essere avvenuto nella sua maniera, [...]. Non si vedono più figure piatte su fondi d'oro, ma scene aventi rilievo e gareggianti con la pittura, vesti a colori schiariti e svaniti nelle parti avvivate da bianche luci, intensi gradatamente nelle ombre. L'oro, non steso più ne' manti come su lastre metalliche, s'intesse ne' broccati e nelle tele, trae dalle penne del pavone il suo splendore per raggiare nell'ala dell'angiolo dell'Annunciazione, filetta i contorni, sparge di moschette o alluciola i panni per mettere all'unisono il fondo con le figure sovrapposte, che sembrano intagliate nelle onici o nelle gemme. (Adolfo Venturi)
- Niente ci consiglia di ritenere che egli dipenda da Giotto, come più volte è stato imprudentemente sostenuto: la limpida immagine [del Giudizio universale][3] che ora abbiamo di fronte è senza precedenti, ha la forza di un isolato segnale che indirizza la rotta, senza errore, con sicurezza. (Vittorio Sgarbi)
- Nonostante le affinità che si devono riconoscere tra i due maestri, Cimabue è più plastico, poderoso e massiccio, il Cavallini più grandioso e monumentale; Cimabue modella con insistenza le figure, come se dovesse formarle nel bronzo, il Cavallini dà loro slancio potente; Cimabue elabora tipi bizantini rendendoli grifagni, Cavallini è più libero dalla convenzione bizantina e più classico; Cimabue prepara gl'intonachi con una tinta nerastra, il Cavallini di rosso. (Adolfo Venturi)
- Pietro Cavallini con il suo Giudizio[3], dove gli Apostoli e le schiere di angeli sembrano chiamati ai loro ranghi nell'alto consesso del cielo, scavalca d'un tratto l'intera tradizione bizantina e la terragna fantasia di Cimabue, non sappiamo per quale sovrumana capacità d'intendere e restituire l'umano. (Vittorio Sgarbi)
Note
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