Prigione di Evin
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Citazioni sulla prigione di Evin.
- A volte, a Evin, le ragazze venivano chiamate per essere interrogate a tarda notte e riportate in cella molto presto al mattino, senza segni visibili di tortura. Se conoscevamo la ragazza, le chiedevamo: "Dove sei stata stanotte?". E lei avanzava una scusa, tipo: "Mi hanno portata a un interrogatorio e non è successo nulla". Ovviamente era una bugia. Nessuno parlava di ragazze stuprate a Evin, ma sapevamo che succedeva, sotto silenzio. (Marina Nemat)
- La porta della cella si apre tre volte al giorno per fornire cibo e per andare in bagno. C'è sempre una luce artificiale accesa. C'è una finestrella sulla porta da cui le guardie controllano le prigioniere. Questo spioncino crea molto stress alle detenute. In isolamento, cercano di fare pressioni affinché si confessino cose non commesse, usate poi nei processi farsa. (Shirin Ebadi)
- La mia esperienza risale a molti anni fa ma non credo che le cose siano cambiate. Evin è un carcere matrioska: un grandissimo palazzo di sei piani e poi un'infilata di prigioni-satellite contrassegnate da numeri. Le celle di isolamento sono larghe un metro e mezzo e lunghe tre, con una latrina e senza materasso. Si dorme sul cemento fra il viavai di topi e scarafaggi. Chi è fortunato trova una coperta piena di pidocchi. (Fariborz Kamkari)
- Mi hanno fermato con un libro di Gramsci in tasca. Per punizione sono stato spedito nella sezione adulti ed è stata la mia fortuna, perché nel reparto minorile si veniva stuprati nelle prime ventiquattro ore. Hanno comunque trovato il modo di torturarmi anche lì. Purtroppo a Evin è la prassi. [...] In base a cosa vogliono da te, si va dalle sevizie fisiche alla massiccia somministrazione di droghe per farti dire cosa vogliono sentire. A me è capitato il trattamento del pollo arrosto. Nudo, legato mani e piedi a un palo che gira come uno spiedo, sospeso in aria e frustato. (Fariborz Kamkari)
- Sono stata nel carcere più famoso d'Iran, Evin. Ma era il 2016, per quanto la mia esperienza sia stata brutale, non credo ci sia paragone con quello che succede oggi. [...] Ero tornata in Iran per far visita alla mia famiglia, mi hanno portata in carcere e tenuta per quattro mesi. Mi hanno interrogata più di 30 volte, mi torturavano psicologicamente, volevano che piangessi ma io non piangevo. Una volta, hanno preso il mio cellulare e hanno fatto partire la canzone del funerale di mio marito. Cercavano tra le mie cose quello che poteva farmi più male, e l'hanno trovato. (Homa Hoodfar)
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