Proverbi liguri

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Raccolta di proverbi liguri.

A[modifica]

  • A bellessa a nö fa boggî a pûgnatta.[1]
La bellezza non fa bollire la pentola.
  • A barba canûa, a fantinetta a ghe stâ dûa.[2]
Alla barba canuta la ragazzina ci sta dura.
Allo spasimante con la barba bianca la ragazzina non cede, non si fa convincere.
  • A bella de Torriggia, a g'aveiva 36 galanti, a l'è restâ figgia.[2]
La bella di Torriglia aveva 36 fidanzati, è rimasta zitella.
Chi troppo vuole e non si accontenta, non ottiene nulla.
  • A bella de Torriggia tutti a vêuan, ma nesciûn a piggia.[2]
La bella di Torrigia tutta la vogliono, ma nessuno la prende.
  • A borsa pinn-a a fâ da passaporto.[2]
La borsa piena fa da passaporto.
  • A cavallo giastemmôu, ghe lûxe o peì.[2]
Al cavallo bestemmiato gli riluce il pelo.
Le bestemmie e le maldicenze lanciata contro qualcuno si riflettono e ricadono su chi le ha dette.
  • A Natale, grasso o piccin, tutti portan in töa o sêu bibin.[2]
A Natale, grasso o piccolo, tutti portano a tavola il proprio tacchino.
A Natale, ricco o povero, ognuno porta in tavola il meglio che può.
  • A fænna do diao a va tutta in brenno.[3]
La farina del diavolo va tutta in crusca.
Le azioni del diavolo vanno a finire tutte in malora, le cose fatte per far del male finiscono sempre male per chi le fa.
  • A fin do ratto a l'è d'èse mangiôu da-o gatto.[3]
La fine del topo è di essere mangiato dal gatto.
Destino ineluttabile, alla lunga il più forte vince sul più debole.
  • A gëxa a domanda limöxina a l'öatoiö.[3]
La chiesa domanda l'elemosina all'oratorio.
Il ricco che chiede soldi al povero.
  • A mëgio mëxinn-a l'è o dechêutto de cantinn-a.[3]
La migliore medicina è il decotto di cantina.
Il vino è la migliore medicina.
  • A moî e a pagâ gh'è de longu tempo.[3]
A morire a pagare c'è sempre tempo.
  • A moœ pietosa a fâ i figgiêu rognosi.[4]
La madre pietosa fa i figli rognosi.
La madre che usa pietà per educare i figli li fa crescere senza educazione.
  • A o contadin lè pëgio sûnnaghe o corno che o violin.[4]
Al contadino è peggio suonare il corno che il violino.
Non fa differenza per l'incolto suonare il corno o il violino.
  • A Pasquëta, n'oëta.[4]
A pasquetta, un'oretta.
Il giorno di pasquetta la luce aumenta di un'oretta. Stranamente pasquetta in ligure indica il 6 gennaio, a differenza dell'italiano che indica il giorno dopo Pasqua.
  • A pignatta agguitâ a no bogge mai.[4]
La pentola guardata non bolle mai.
  • A rondaninn-a a teito a teito, porta l'êujo a San Beneito.[5]
A rondinella a tetto a tetto, porta l'olio a San Benedetto.
La rondine annuncia l'arrivo della Primavera, dove la rondinella porta l'omaggio della primavera il 21 aprile, giorno di San Benedetto.
  • A salûte a ghè, la scaggiêua a me manca.[5]
La salute c'è, la grana mi manca.
Il rilievo della parola scaggiêua che deriva dal grano ed indica quelle scorzzete di grano che si staccano dal chicco durante la trebbiatura e ricadono tutt'intorno come una polvere dorata.
  • A salûte senza dinæ a l'è unn-a mëza malattïa.[5]
La salute senza soldi è una mezza malattia.
  • A San Miché træ castagne pè sentë.[5]
A San Michele tre castagne per sentiero.
  • A San Martin mettite o feriôlin.[6]
A San Martino, mettiti la mantellina.
  • A tôa no se ven vëgi.[6]
A tavola non si diventa vecchi.
  • A unn-a donna ben maiä sciûga fito a o sêu bugâ.[6]
A una donna ben sposata asciuga presto il suo bucato.
  • A vegnâ a settemann-a dè tre zêuggie[7]
Lei verrà la settimana dei tre giovedì
Lei non verrà mai
  • Adaxo barbé, che l'ægua a s'ascäda[7]
Adagio barbiere, che l'acqua di scalda
Nei vari passaggi di un lavoro occorre procedere con cautela; in questo caso, usato anche con senso minaccioso ad avvertire che sta aumentando la rabbia
  • Addio do fantin[7]
Addio dello scapolo
L'origine di tale detto risale al 1245, alle nozze tra il nobile Opizzo Fieschi e Bianca dei Bianchi, dove venne data una festa sul sagrato della basilica dei Fieschi a Lavagna, dov'era presente Papa Innocenzo IV, cugino dello sposo che era di passaggio per andare a Lione. Venne fatta una splendida torta, con una particolarità, che doveva essere mangiata in coppia tra un uomo e una donna; è una delle prime testimonianze di festa per l'addio al celibato, che si ripete ancora oggi il 14 agosto a Lavagna
  • Aggiuttâ a barca[8]
Aiuta la barca
Dare una mano
  • Aggiuttâ i tô e i atru se ti pô[8]
Aiuti i tuoi e gli altri se puoi
  • A-i morti, bacilli e stocchefisce no gh'è casa che no i condisce[8]
Ai morti, fave secchi e stoccafisso non c'è casa che non li condisce
  • A-i Santi se veste i fantin, a San Martin grandi e piccin[8]
Ai santi si vestono i giovani, a San Martino grandi e piccolini
Il 2 novembre, ricorrenza di Ognissanti, inizia ad arrivare il fresco, e si deve iniziare a coprire i più giovani, mentre a San Martino, l'11 di novembre, dove arriva il freddo più pesante, anche i grandi e i piccolini. Da notare come la stagionalità è legata al calendario liturgico.
  • Amö vëgio o no fâ rûzze[9]
Amore vecchio non fa ruggine
  • Andà a piggià o mâ da-o Rosso o Cartà[9]
Andare a prendere il male dal Rosso il Cartaio
Leggenda vuole che tale Rosso il cartaio fosse un napoletano, che mentre veniva portato alla ghigliottina, si preoccupava per la strada sconnessa e chiese carta e penna per scrivere un reclamo. In altre parole, non pensare ai proprio mali ma quelli degli altri.
  • Andâ a sentì cantâ e bügaixe[9]
Andare a sentire cantare le lavandaie
Le lavandaie andavano a lavare nel Bisagno, e tendevano cantare. Vicino al fiume sorge il cimitero di Staglieno, pertanto tale modo di dire è relativo a chi è venuto a mancare
  • Andâ de ramma in sambûgo[10]
Andare in ramo di sambuco
Saltare di palo in frasca
  • Andâ in brodo de taggioin[10]
Andare in brodo di tagliolini
Essere felicissimo, gongolare come davanti a un piatto di tagliolini
  • Andâ in Ciambelin pè scïgoe[10]
Andare in Pianbellino per zufoli
Andare a zonzo senza concludere nulla
  • A-o primmo d'Arvi tûtti i scemmi se fan corrì[11]
Al primo di aprile, tutti gli scemi si fanno correre
  • Arrancâ o passo[11]
  • Arrëzise in scë molle[11]
Reggersi sulle molle
Si dici di una persona di salute cagionevole
  • Arrigoeläze o gozzo[11]
Dare un'aggiustatina al gozzo
  • Aspëtâ a balla a-o botto[11]
Aspettare la palla al colpo
Aspettare l'occasione giusta e prenderla al volo
  • Avèi ciû balle che o sciû Giæe[12]
Avere più balle del signor Bietola
Nei proverbi liguri si utilizza la figura del signor Bietola per indicare un tizio un pò tonto, facilone, che in questo proverbio ha delle pretese ingiustificate
  • Avèi ciû corna che cavelli[12]
Avere più corna che capelli
  • Avèi ciû corna che unn-a cavagna de lûmasse[12]
Avere più corna che una cesta di lumache
  • Avèi ciû cû che tre bagasce[12]
Avere più culo che tre bagasce
Avere molta fortuna
  • Avèi ciû famme che o lö rango[12]
Avere più fame che un lupo zoppo
  • Avèi o verme scimonin addosso[13]
Avere il verme scimunino addosso
Dicesi di un bambino irrequieto, mai calmo[13]
  • Avèi un e voxi e l'altro e noxi[13]
Avere uno le voci e l'altro le noci
Che chi si prende la fama di fare le cose, e poi c'è chi ne guadagna i frutti
  • Aveine e stacche pinn-e[13]
Averne le tasche piene
Essere stufo di qualcosa
  • Avverdite da-i segnæ da Cristo, che te ghe o mettan in t'un visto e non visto[13]
Guardati dai segnati di Cristo, che te lo mettono in un visto e non visto
I segnati da Cristo sono per tradizione chi soffre di malattie, come i gobbi, i zoppi, i non vedenti. Un atteggiamento triste e infelice, molto diffuso nel medioevo, dove chi era segnato era dovuto alla giustizia divina che ha visto in questo individuo qualcosa per punirlo.

B[modifica]

  • Bäsigâ unn-a personn-a[14]
Altalenare una persona
Tenere sull'altalena una persona, tenerla in ballo
  • Beive comme unn-a terrazza[14]
Bere come una terrazza
Bere in maniera esagerata
  • Buffâ e scriorbì non se pêu[14]
Sbuffare e succhiare non si può

C[modifica]

  • Caläse e braghe[14]
Calarsi i pantaloni
Significatto allegorico di chi perde una causa e viene sottomesso, usato nel gergo popolare
  • 'Cangiâ e carte in t a[14]
Cambiare le carte in tavola
  • Cantâ e portâ a croxe[15]
Cantare e portare la croce
Non si possono fare due cose nello stesso tempo, come appunto cantare, cioè gioire, e portare la croce, cioè soffrire
  • Cäo costa l'aggio[15]
Caro costa l'aglio
Quando qualcosa costa molto cara, o che si ottiene solo a carissimo prezzo
  • Carne che cresce[15]
  • Cattivo segnu quando a barca vëgia refûa peixe e stoppa[15]
Cattivo segno quando la barca vecchia rifiuta pece e stoppa
Riferito a chi non ce la fa più, che non regge nemmeno più gli aiuti
  • Çento mezûa e un taggio solo[15]
Cento misure e un taglio solo
Prendere bene le misure, essere sicuro di quello che si fa prima di agire
  • 'Cercâ o mâ comme i mëghi[15]
Cercare il male come i medici, cioè andarsi a cercare il male e i danni
  • Chi à di çeppi pêu fä buscagge.[16]
Chi ha dei ceppi può fare delle schegge
Chi ha molto può distruggere tutto e restargli molto poco
  • Cha à a mussa à pan, cha à o belin stende a man[16]
Proverbio piccante e popolare che riveste una forma di saggezza popolare, che constata una situazione più facile nei confronti del gentil sesso, che nei confronti del sesso forte.
  • Chi a tempo n'aspëte tempo[16]
  • Chi arröba a un ladron, ha çent'anni de perdon.[17]
Chi ruba ad un ladrone – ha cento anni di perdono.
  • Chi aspëta l'aggiûtto di parenti i ghe n'à scinn-a che no ghe cazze i denti[16]
Chi aspetta l'aiuto dei parenti ne ha fino a che non gli cadono i denti
  • Chi ben særa, ben arve'[16]
Chi ben chiude ben apre
  • Chi dâ a mento a tûtte e niuë, no se mette in viaggio[16]
Chi guarda tutte le nuvole non si mette in viaggio
  • Chi de vinti no sa, de trenta no n'à[16]
  • Chi vêu vive e stâ san da-i parenti stagghe lontan.[18]
Chi vuole vivere e stare sano dai parenti stia lontano.

F[modifica]

  • Frevâ o cûrto e l'è pezo che un tûrco.[19]
Febbraio il corto è peggio di un turco.

I[modifica]

  • In bocca sarà n'intran de mosche, chi no se fa avanti nisciun o conosce.[20]
In bocca chiusa non entrano mosche, chi non si fa avanti nessuno lo conosce.
Tacere, restare defilati può risultare vantaggioso.

L[modifica]

  • L'è megio avei e braghe sgoarœ 'nto cû, che o cû sgoaròu inte brâghe.[21]
È Meglio avere le braghe rotte al sedere, che il sedere rotto nelle braghe.

N[modifica]

  • Natale a-o barco, Pasqua a-o tisson.[22]
Natale al balcone, Pasqua al tizzone.

O[modifica]

  • O parroco de Nasche: i câsci in to cû i piggiava pe frasche.[23]
Il parroco di Nasche: i calci nel sedere li prendeva per frasche.

P[modifica]

  • Pe conosce un bôxardo bezêugna fâlo parlà trae votte.[24]
Per conoscere un bugiardo bisogna farlo parlare tre volte.

S[modifica]

  • Se Zena a l'avesse a cianûa, de Milan ne faievan unn-a seportûa.[25]
Se Genova avesse una pianura, di Milano avrebbero fatto (facevano) una sepoltura.

V[modifica]

  • Voto da mainâ presto o se scorda, passâ a buriann-a ciû o no se ricorda.[26]
Voto di marinaio: se lo dimentica presto, passata la buriana non se lo ricorda più.

Note[modifica]

  1. Citato in Barbara Frale, In nome dei Medici. Il romanzo di Lorenzo il Magnifico, Newton Compton Editori, p. 179.
  2. a b c d e f Citato in Bertone.
  3. a b c d e Citato in Bertone, p. 14.
  4. a b c d Citato in Bertone, p. 15.
  5. a b c d Citato in Bertone, p. 16.
  6. a b c Citato in Bertone, p. 17.
  7. a b c Citato in Bertone, p. 18.
  8. a b c d Citato in Bertone, p. 19.
  9. a b c Citato in Bertone, p. 20.
  10. a b c Citato in Bertone, p. 21.
  11. a b c d e Citato in Bertone, p. 22.
  12. a b c d e Citato in Bertone, p. 23.
  13. a b c d e Citato in Bertone, p. 24.
  14. a b c d e Citato in Bertone, p. 26.
  15. a b c d e f Citato in Bertone, p. 27.
  16. a b c d e f g Citato in Bertone, p. 29.
  17. Citato in Dario G. Martini e Divo Gori, La Liguria e la sua anima, storia di Genova e dei Liguri, ECIG, 1985, p. 367.
  18. Citato in Riccardo Schwamenthal e Michele L. Straniero, Dizionario dei proverbi italiani e dialettali, 6.000 voci e 10.000 varianti dialettali, Rizzoli, Milano, p. 161, § 1815.
  19. Citato in Zazzera, p. 239.
  20. Citato, con traduzione, in Zazzera, p. 201.
  21. Citato in In nome dei Medici. Il romanzo di Lorenzo il Magnifico, p. 180.
  22. Citato in Miguel Correas Martínez e José Enrique Gargallo Gill, Calendario romance de refranes, Edicions Universitat de Barcelona, Barcellona, 2003, p. 133. ISBN 88-8338-394-2
  23. Citato, con traduzione, in Zazzera, p. 157.
  24. Citato in Autori Vari, Dizionario delle sentenze latine e greche, Rizzoli, Milano, p. 272.
  25. Citato in Piero Raimondi, Proverbi genovesi, Martello-Giunti, 1975, p. XII.
  26. Citato in Schwamenthal e Straniero, p. 272, § 3226.

Bibliografia[modifica]

  • Giorgio Bertone, Antichi proverbi e detti in genovese, Le Mani, Genova, 2005. ISBN 88-8012-307-6
  • Sergio Zazzera, Proverbi e modi di dire napoletani, La saggezza popolare partenopea nelle espressioni più tipiche sul culto della famiglia e dell'ospitalità, sull'amicizia, sull'amore, sul lavoro, sulla religione e la superstizione, Newton & Compton editori, Roma, 2004. ISBN 88-541-0119-2