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Sebastiano Timpanaro senior

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Sebastiano Timpanaro (1888 – 1949), saggista italiano.

Scritti di storia e critica della scienza

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  • La nostra bella scienza – è inutile dissimularlo – non è riuscita ancora a fondersi intimamente con la nostra cultura e a diventarne un elemento essenziale. La scienza si studia più o meno largamente in tutte le scuole, ma la nostra cultura rimane ostinatamente filosofico-letteraria. Il fatto è dovuto, tra l'altro, allo stesso progresso scientifico che rende la scienza inaccessibile o quasi ai non iniziati e anche, purtroppo, all'isolamento in cui si compiacciono, in generale, di chiudersi gli scienziati; alla mancanza, nel campo della storia della scienza, di un critico geniale paragonabile al De Sanctis e soprattutto alla scarsissima simpatia che hanno per la scienza i nostri principali filosofi, che sono i veri direttori della nostra cultura. Tutte le teorie della scienza da loro sostenute, da quelle che proclamano che la scienza è tutto a quelle che ammettono che essa è soltanto qualcosa o qualcosa d'inferiore, sono costruite su pochissime nozioni scientifiche di cui il filosofo ha appena una vaghissima notizia; e quindi, se hanno la loro importanza per comprendere il pensiero del filosofo, non possono in nessun modo aiutarci a comprendere, ad amare, a fare la scienza. I nostri filosofi fanno con la più superba sicurezza la teoria della scienza, ma questo non significa minimamente che essi conoscano tutta quanta la scienza; non ne conoscono, e se ne vantano, nemmeno gli elementi. (Introduzione all'antologia «Leonardo», pp. 15-16)
  • Benedetto Croce ha visto chiaramente che, per salvare l'unità dello spirito, è necessario ammettere che in ogni frammento della realtà ci sia tutto lo spirito. Noi potremmo distinguere idealmente nello spirito alcune forme, ma questo non significa che ci possa essere in concreto una forma separata dalle altre. Così si potrebbe distinguere l'arte dalla scienza e dalla filosofia, ma un teorema di matematica o una legge fisica sarebbero sempre insieme arte, scienza e filosofia e altro, se altre forme spirituali si creda di dovere ammettere. (La scienza e il pensiero, p. 43)
  • Quando la filosofia si sarà liberata da ogni residuo di trascendenza e riconoscerà perciò, sul serio, nella positività un momento essenziale dello spirito, vedrà nel mondo scientifico una delle più belle affermazioni del pensiero e diventerà più varia, più concreta, più moderna. Allora anche la scienza uscirà dal rigido isolamento in cui adesso si trova e acquisterà piena coscienza del suo valore, liberandosi dal naturalismo; e la nostra cultura avrà finalmente l'unità e la modernità che le mancano. (La scienza e il pensiero, p. 47)
  • La limitatezza che, secondo qualche filosofo, sarebbe propria degli scienziati non esiste; e nemmeno ci sembra ammissibile l'idea, sostenuta da qualche altro, che lo scienziato sappia senza capire e che invece il filosofo capisca. [...].
    La limitatezza che qualche volta si deve rimproverare allo scienziato non riguarda propriamente lo scienziato, ma il filosofo o meglio il dogmatico che sonnecchia in fondo alla sua mente (e in fondo alla mente d'ogni uomo). Ma come è limitato, superficiale, falso lo scienziato in quanto cattivo filosofo, non meno falso, superficiale e limitato è il filosofo in quanto cattivo scienziato. (Concretezza, p. 51)
  • Secondo Richet, la scienza che già conosciamo si può paragonare a una sfera, quella futura è rappresentata dallo spazio che circonda la sfera, cioè dall'infinito; sicché più la scienza cresce più aumentano le scoperte da farsi immediatamente, restando però sempre trascurabili in confronto di quelle che restano da fare. (Il credo di Richet, p. 58)
  • Negli ultimi anni della sua vita, a quanto dicono, Antonio Pacinotti cominciava la lezione puntualmente, ma, passata l'ora, continuava a parlare con la sua famosa lentezza, come se non dovesse finir più. Gli allievi, approfittando dei momenti in cui il Maestro scriveva una formola o disegnava un apparecchio, se la squagliavano a piccoli gruppi. Quando Pacinotti si accorgeva di esser rimasto solo, senza scomporsi andava via anche lui.
    Un giorno gli studenti, per vedere che cosa succedeva, presero la strana risoluzione di rimanere fermi ad ogni costo. Pacinotti, davanti all'aula rigurgitante e silenziosa, divenne più eloquente, più entusiasta del solito; e chi sa quando si sarebbe fermato se qualcuno non bisbigliava un «si salvi chi può!». Allora tirò fuori di scatto l'orologio e, vedendo che era già mezzogiorno (eran passate, a quanto sembra, due ore), aprendo le braccia per significare che l'aveva fatta grossa, disse lentamente: «Ebbene? Andiamo a desinare». (Gloria di Pacinotti, 231)
  • Quando Pacinotti inventò la dinamo era un ragazzo. Si potrebbe dunque pensare, e molti lo credono, che l'invenzione sia un colpo di fulmine geniale: avremmo l'analogo scientifico-tecnico del caso Rimbaud. Invece è il frutto di una lunga serie di pensieri e di perfezionamenti. (Gloria di Pacinotti, 232)
  • [Antonio Pacinotti] I suoi due primi quadernetti scientifici s'intitolano Sogni, ma non bisogna credere che trattino di scienza romanzata o che abbiano un qualsiasi carattere letterario. «Sogni – luglio 1858. – Sul magnetismo terrestre. – Supponiamo di avere nel piano del meridiano magnetico un circolo che possa girare sul suo centro e che due cilindri di legno...». I quaderni sono tutt'e due su questo tono. «Ero giovane allora ed entusiasta», spiegò più tardi Pacinotti, e sognavo...». Eran progetti di esperienze talmente seri che non ci si può trovar nulla da ridire; ma Pacinotti vi si abbandonava con disinteresse e con gioia, come a sogni. Per lui non erano che sogni. (Gloria di Pacinotti, 233)

Scritti liberisti

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  • Non è che la scuola debba essere più facile, come ritengono gli sgomenti del surmenage o più difficile come quelli che credono di poter preparare i giovani a vincere le difficoltà della vita rendendo la scuola difficile come la vita. La scuola non è né difficile né facile: è assurda e perciò è inutile tentare di riformarla con criteri quantitativi. La riforma dev'essere radicale. Della scuola di oggi non deve rimanere più traccia. Bisogna che all'istituto di erudizione coercitiva si sostituisca un centro libero di cultura. La scuola attuale è fatta per sviluppare il superficialismo chiacchierone dei gazzettieri che parlano di libri che non banno letto e discutono teorie che non hanno studiate. Non s'insegna nelle nostre scuole la storia della letteratura senza la letteratura sicché si è costretti a parlare di autori che nemmeno i compilatori del libro di testo hanno letto, e non solo di autori di secondo ordine ma di geni come Leonardo, Galileo, Vico? (L'imitazione degli uccelli, pp. 4-5)
  • L'azione della nostra scuola si potrebbe paragonare a un idiota che perdesse i giorni a imparare in un enorme catalogo il numero delle sillabe delle singole parole, senza pensare che potrebbe acquistare molto di più, senza fatica e senza perdita di tempo imparando semplicemente a contare. La nostra scuola, per continuare l'immagine, fa imparare con mezzucci mnemonici il numero delle sillabe d'un esercito di parole, ma non insegna a calcolare il numero delle sillabe di tutte [le] parole reali e possibili. (L'imitazione degli uccelli, p. 5)
  • Per salvare la scuola, occorre eliminare i programmi stereotipati e imposti dal difuori e dare invece modo a ognuno di sviluppare il meglio possibile la propria mentalità e la propria iniziativa. Forse così non avremo più i dottori in una scienza sterminata ma avremo specialisti che nel loro campo, sia pur minimo, saranno dominatori e coscienti. Invece del dottore in matematica ci sarà il dottore in geometria analitica delle coniche, ma questo minuscolo dottore non dovrà arrossire se gli domanderete cosa siano i postulati, l'infinito matematico, che valore abbia l'opera di Cartesio; e vi dimostrerà i teoremi con procedimenti razionali e non con balbettii meccanici. (L'imitazione degli uccelli, pp. 5-6)

Bibliografia

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Altri progetti

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