Teodoro II d'Etiopia

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Ritratto di Teodoro II

Teodoro II (1818 – 1868), negus d'Etiopia.

Citazioni di Teodoro II d'Etiopia[modifica]

  • Conosco la slealtà europea. Quando vogliono conquistare una parte del mondo orientale, mandano prima i missionari; dopo manderanno diplomatici consolari che rinforzerebbero i missionari; infine manderanno il loro esercito d'occupazione. Io non sono un raja indostano che sarebbe ingannato da questa [menzogna europea]. Innanzitutto, vorrei affrontare i loro soldati.
I know European deceit. When they want to conquer a part of the eastern world, first they dispatch missionaries; later they will send consular diplomats who would reinforce the missionaries; finally their army of occupation. I am not a Hindustan Raja who would be hoodwinked by this [European deception]. Before anything else, I would like to confront their soldiers.[1]
  • [Sui preti abissini] Non combattono e non pagano tasse; vivono nelle città, scegliendo le prostitute e le mogli degli altri.[2]

Citazioni su Teodoro II d'Etiopia[modifica]

  • Con un esercito di fedelissimi assetati di bottino almeno quanto lui, questo Napoleone etiopico aveva inghiottito provincia su provincia, il Lasta, il Semien, il Goggiam, il Dembea, tutto l'altopiano ormai era assoggettato e obbediente. La sua carriera era punteggiata di mostruosi saccheggi ed epiche crudeltà. Chi gli resisteva era bestialmente annientato; ma era capace anche di gesti di generosità altrettanto memorabili verso i deboli e gli indifesi. (Domenico Quirico)
  • Era uno di quei soldati di ventura che nel Medioevo etiopico scalavano, con pazienza e ferocia, il potere. La lista dei nemici che aveva soggiogato o ucciso era lunghissima. (Domenico Quirico)
  • L'avvento al trono di Teodoro II (1855) segna la fine della disgregazione dello Stato Etiopico, cui i «Re di Gondar» avevano dato motivo. Teodoro, con mano ferrea, torna ad unificare il paese, combattendo, con severità poi divenuta leggendaria, i grandi feudali e sopprimendo con durissime repressioni le ribellioni ed il brigantaggio che infierivano nelle varie regioni. Ma con Teodoro anche si può dire che prenda fine la letteratura etiopica, se per essa si intende la letteratura dell'antica lingua etiopica (gheez). All'opera unificatrice del Sovrano nel campo politico corrisponde, infatti, nella letteratura, il predominio assoluto dell'amarico, diventato lingua ufficiale. (Enrico Cerulli)
  • Per gli Europei Teodoro non ha mai avuto entusiasmo, ma spesso ne sapeva ammirare l'ingegno e la coltura. (Pellegrino Matteucci)
  • Teodoro, il vero tipo dell'avventuriero, pieno di ardire, di energia e dotato anche di un certo grado di intelligenza, entrò presto nelle simpatie di un popolo, che facilmente si esalta per chi mantiene la guerra e sa condurlo vittorioso alla pugna. Unite le diverse provincie del suo regno e ottenuta la pace, pensò allo sviluppo materiale e morale dei sudditi ed invitò a stabilirsi presso di lui alcuni Europei che conoscessero diverse arti e specialmente quella di fabbricar cannoni e polvere.
    Le idee erano buone ed apprezzabili in un individuo che non era mai uscito dai confini di un paese poco meno che selvaggio, ma la gloria e l'avidità della supremazia gli scaldarono presto il cervello, la sua natura rozza e l'indole in fondo forse cattiva, trovando nella sua posizione mezzo a sfogarsi, non conobbero più freno. Si diede all'ubriachezza, commise nefandità che destano ribrezzo al rammentarle. L'uccidere il prossimo era per lui la cosa più semplice, e credeva quasi averne il diritto e farsene merito. Per punire piccole mancanza od anche solo per il capriccio di un momento faceva metter fuoco ad un intero villaggio obbligando gli abitanti a starsene chiusi nelle rispettive capanne. (Giuseppe Vigoni)
  • Teodoro in Abissinia per lungo tempo ha avuto un gran partito: lavorava in opere gigantesche e ben pagava quanti lo servivano. Col tempo divenne, come Nerone, feroce; si divertiva delle stragi, e spesso per accelerare l'opera della spada faceva bruciare dei villaggi chiudendo lo scampo ai miseri abitatori. Vi sono racconti della sua raffinata crudeltà, che fanno rabbrividire: in un giorno solo, dalle roccie basaltiche di Wogara, mille teste rotolarono nei profondi abissi, sacrificate al suo crudele furore. In Abissinia si va fino ad assicurare che Teodoro ha avuto una larga parte nel grave spopolamento dell'Impero. (Pellegrino Matteucci)
  • Sin dall'inizio del suo regno [...] Teodoro si sforza di riportare l'ordine nel paese devastato da un secolo di guerre e di dargli un assetto più moderno con una serie di riforme sociali e amministrative. Memore delle discordie fra i prìncipi, egli cerca innanzitutto di sostituire i grandi feudatari con governatori di nomina imperiale e ligi al potere centrale. Con la stessa Chiesa copta, che gode di privilegi immensi e sazia, in una terra di miserabili, centinaia di migliaia di chierici e di monaci parassiti, non ha riguardi e presto decide di incamerarne i beni accumulati lungo i secoli. (Angelo Del Boca)
  • Sono tante e tali le nefandità da lui commesse, che per concepirle in un essere umano e per scusare lui, non si può pensare altro che alla pazzia che lo avesse colpito. (Giuseppe Vigoni)

Guglielmo Massaia[modifica]

  • Finché ebbe pane e carne da mantenere l'esercito, Teodoro fu potente: ma non dandone il Beghemèder, né trovandone altrove, né avendo più la forza ed il coraggio di assalire popoli lontani, presto scese dal piedestallo, su cui erasi elevato. Abbandonato dalla maggior parte dei soldati, inviso ai popoli vicini, odiato ed esecrato dai lontani, si ritirò in Magdala, dove, come nel resto dell'Abissinia, morivasi di fame. E sopreso là dagl'Inglesi, obbrobriosamente vi perdette la vita. Se almeno si fosse umiliato alla potenza europea, forse non avrebbe perduto con la vita l'impero; e se non egli, probabilmente i suoi discendenti sarebbero rimasti sul trono etiopico.
  • La potenza del suo ingegno era grande: nuovo Napoleone africano, avrebbe potuto formare dell'Abissinia e degli altri confinanti regni etiopici un grande e florido impero: ma invece sembra che Dio l'avesse mandato per distruggere il paese, che gli aveva dato i natali. Ecco le principali sue doti: parola vibrata che incantava i soldati, ed alla quale nessuno osava opporsi; silenzio e mistero rispetto alle imprese che intendeva compiere, cosicché centomila uomini dovevano seguirlo, senza sapere che volesse e dove mirasse; marciate a gran corsa da giungere all'improvviso ed in un'ora od in un giorno dove prima si arrivava in due; disegni di guerra grandiosi e mirabili, e strategie sino allora ignote; imperturbabilità di animo nei cimenti, nei pericoli, nelle vittorie, nelle disfatte, e nell'applicare i rigori della sua ira contro i vinti. Tolte queste qualità, proprie di un celebre conquistatore, in fatto di Governo non valeva nulla, e nulla fece per riordinare l'Abissinia, e godere delle vittorie riportate e delle conquiste compite. Grande nel concepire ed eseguire un disegno; raggiunto l'intento, mandava a male con le sue stranezze ogni cosa.
  • Oggi né in Abissinia, né in Ifagh si trova un bicchier di vino; perché la coltivazione della vite venne totalmente abbandonata sotto il regno di Teodoro. Questo Principe, divenuto padrone di quei paesi, volle per sé tutto il vino che produceva Carròda, e giunta la stagione della raccolta, vi mandava uno sciame di guardie, per invigilare il frutto, e poscia portarne via tutto il prodotto. I poveri paesani adunque non solo dovevano faticare senza aspettarsi alcun compenso, ma per maggior fastidio erano costretti a mantenere le guardie, e soffrire tutte le vessazioni e sfrenatezze, di cui quegl'indisciplinati soldati si rendono bene spesso colpevoli. Per liberarsene, fecero in maniera che le viti a poco a poco assecchissero, e così si perdette totalmente quell'industria. Quasi lo stesso avvenne del grano, che le popolazioni coltivavano, e l'Imperatore raccoglieva per isfamare i suoi soldati, talmenteché negli ultimi anni del suo dominio, l'Etiopia era afflitta da una grande carestia.
  • Ora, sembra incredibile, in tempo di Teodoro, tante vittime umane furono mietute dalle guerre, e tanti animali perirono per fame, o perché abbandonati, da non trovarsi un numero sufficiente di jene, di lupi e di avoltoj da divorarli e distruggerli!

Note[modifica]

  1. Citato in Ghelawdewos Araia, The Great Unifier: Emperor Tewodros II of Ethiopia, Institute of Development and Education for Africa (IDEA), Inc., 2006
  2. Citato in Angelo Del Boca, Gli italiani in Africa orientale I. Dall'unità alla marcia su Roma, Oscar Mondadori, 2015, p. 9

Voci correlate[modifica]

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