Zachar Prilepin

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Prilepin nel 2020

Zachar Prilepin (1975 – vivente), scrittore, politico e giornalista russo.

Citazioni di Zachar Prilepin[modifica]

  • Gli scrittori russi contemporanei sono periferici rispetto all'interesse del lettore occidentale. A dire il vero, è la Russia a essere percepita come una noiosa periferia, anche se molto estesa. Emblematico è il fenomeno dello scrittore Nikolaj Lilin, le cui opere sono accolte trionfalmente in Occidente. Ma la Cecenia e le galere siberiane che racconta mi ricordano le avventure del barone di Münchhausen, capace di mirabolanti frottole: ma tutti, o quasi tutti, gli credono. [...] Ma siamo impazziti? La Russia sarà pure un Paese selvaggio, ma da noi è impossibile immaginare il romanzo di uno scrittore contemporaneo tedesco che racconti di come, nei boschi presso Berlino, si nasconda un reparto di ex SS, che insieme ai figli e ai nipoti, sulle note di Wagner e battendo il tamburo, rapinano i treni in transito. Ed è altrettanto impossibile immaginare che i lettori russi ci caschino e gli editori scrivano in copertina: «Ecco i figli del lupo della steppa, è più forte del Faust di Goethe». Oppure proviamo a immaginare che in Russia arrivi uno scrittore francese di 22 anni e cominci a raccontare di essere stato tiratore scelto in Algeria o guastatore in Iraq, dove è riuscito a catturare uno dei figli di Saddam, e adesso scrive un libro in cui i commandos francesi mangiano rane e compiono prodezze straordinarie. E che gli pubblichino le sue storie dicendo «Finalmente un autore degno di Dumas e di Saint-Exupéry».[1]
  • [Sulla crisi russo-ucraina del 2021-2022] Il problema della minaccia ucronazista non può più essere nascosto, risolto con accordi, risolto a metà. Deve essere affrontato nella sua interezza. Per liberare completamente i nostri territori e la nostra gente.[2]

Da Intervista a Zacharin Prilepin

Mangialibri.com, n.d.

  • La guerra esaspera ogni sentimento. Un codardo o un mascalzone si manifestano inevitabilmente in tutto il loro squallore, ma la vigliaccheria non manca neanche qui, nel mondo. E sono carenti invece l’integrità, lo spirito di sacrificio, l’abnegazione. Non è infatti strano che le qualità umane più sorprendenti e, oserei dire, le più radiose, si possano trovare solo nelle situazioni critiche e tragiche.
  • La guerra fa risparmiare molto tempo, nel senso che ti fa accumulare esperienze. Ma a volte si può risparmiare tempo fino ad annullarlo, così che poi questa esperienza non la puoi più applicare in nessun caso. Perché non esisti più.
  • [Sulla seconda guerra cecena] C’erano assassini e criminali di guerra sia nella fazione russa che in quella cecena. La domanda è: quanto riusciamo a rimanere uomini dopo. E mi sembra che ci riusciamo ancora. Ho degli amici russi che combattevano là, contro me e i miei compagni. Io li ho perdonati tutti. Spero che si sforzeranno di perdonare anche noi.
  • Gli scrittori di nuova generazione - quelli degli anni zero, sono decisamente delusi dei risultati del progetto «liberale». Non dico che in Russia la maggioranza dei letterati siano «sinistroidi», ma è un fatto che da noi praticamente non esistono scrittori che difendono i valori della borghesia. In Russia non è più di moda regolare i conti con il potere sovietico e mostrare al mondo le proprie piaghe. Adesso qui si scrivono molti testi forti, aggressivi ed efficaci.

Da Zachar Prilepin, ridacci oggi

Intervista di Anna Zafesova, Lastampa.it, 3 dicembre 2013

  • [«Cosa è Stalin per un russo di 38 anni come lei?»] È una figura che si contrappone agli errori colossali del neo-liberalismo: 70 milioni di persone gettate in miseria, la guerra in Cecenia, il parlamento preso a cannonate da Eltsin nel 1993. Tutto giustificato perché “con Stalin sarebbe stato peggio”. Alla sinistra è stato chiesto di pentirsi del passato. Stalin diventa il rifiuto del social-darwinismo degli ultimi vent’anni. Ovviamente non significa giustificare le purghe. È un simbolo. Di ordine, di una certa rigidità, di un potere che ha zero edonismo, lui che non ha lasciato nulla, solo un cappotto militare e un paio di stivali. È un riscatto dall’umiliazione. È qualcosa di religioso.
  • Certo, ci vorrebbe una rivoluzione. Un nuovo potere che coltiva una aristocrazia metafisica, un esercito di bambini colti e preparati, bastano 20 anni e il 3% della popolazione. Si tratta di rinunciare alla matrice liberale, all’idea che l’individuo viene prima della società e che la tua libertà finisce dove comincia la libertà del prossimo. Il liberalismo può funzionare in condizioni protette della serra europea. Non funziona in Russia.
  • Ci dicono che continuiamo a girare per una selva invece di prendere la strada maestra, ma perché non dovremmo restare nella selva?
  • Il guaio non è l’autoritarismo putiniano, ma il neo-liberalismo. Putin non è un dittatore, cerca di mostrarsi duro perché sa cosa vuole la gente, e in effetti ci sono i detenuti politici e non si possono creare veri partiti di opposizione. Ma non è un vero duro, solo dall’Europa sembra che passi il tempo a sparare ai giornalisti. Questa è un’élite i cui interessi, i soldi, le case, i figli, i cani, le suocere, sono fuori della Russia. Non è un’élite russa.
  • Oddio, quanto penso a Gorbaciov e a tutta quella generazione di idioti... Stalin risolveva il problema eliminandoli, Dio ce ne scampi però. Forse meglio le elezioni.

Da Prima del gulag

Jolanda Bufalini, Ilfoglio.it, 12 giugno 2017

  • [Su Il monastero] Questo non è un libro sul gulag. Il gulag nasce dopo le Solovki. Ciò che hanno descritto Solgenitsin e Šalamov non sono le Solovki. Nel mio romanzo c’è la storia della prima fase del sistema penitenziario sovietico. C’era una qualche verità-non verità, c’era l’idea di forgiare l’uomo nuovo. È fallita. Hanno perso. Hanno prodotto solo una poltiglia sanguinolenta. Ma per me era importante capire dove fosse l’inizio, come tutto ciò succeda un passo dopo l’altro. Piena di illusioni la gente marcia verso l’inferno. È questo che trovo interessante.
  • Le Solovki sono un monastero, una prigione, ma sono anche un luogo nel quale più tardi, alla fine degli anni Trenta, si formavano i ragazzi russi che combatterono nella Seconda guerra mondiale, per salvare il mondo dal nazismo. In questo senso (e solo in questo senso), le Solovki sono specchio della Russia, non nel senso che la Russia intera sia un’enorme carcere, come piace ad altri in occidente sostenere, deducendone che loro, invece, vivono e sono sempre vissuti nella libertà.
  • Mi sono dato, per il mio lavoro, un compito semplice: a differenza di Aleksandr Solgenitsin, io ho avuto il vantaggio di poter lavorare sui documenti dei gulag, senza forzatamente basarmi solo sul racconto dei reclusi, non sempre confermati, anzi molto spesso smentiti dai documenti. A me interessava mostrare il gulag con gli occhi del recluso ma anche con quelli del carceriere, del čcekista.
  • Vasilij Grossman è molto popolare in occidente e per questo spesso ci si riferisce a lui, ma c’è un sostanzioso numero di forti scrittori russi che hanno combattuto nella Seconda guerra mondiale e che, per qualche motivo, non corrispondono ai parametri degli editori occidentali: un romanzo in cui ci sono comunisti ma non c’è il tema ebraico ha due volte meno probabilità di essere pubblicato. Juryj Bondarev, ad esempio, combatté e ha scritto dei romanzi capolavoro sulla guerra ma non viene tradotto da almeno 25 anni. Ci sono troppi bravi sovietici nei suoi libri. Avrebbero dovuto essere un poco peggiori.
  • Gli intellettuali di Kiev sono temporaneamente usciti di senno, visto che hanno deciso di liberarsi di un governo corrotto in compagnia di gruppi apertamente fascisti, ottenendo, per altro, di sostituire un governo corrotto con uno ancora più corrotto. Io non posso far altro che dolermene.

Da Stati di eccezione

Raissa Raskina, Leparoleelecose.it, 21 novembre 2018

  • Un romanziere russo ha detto che, per comporre i primi romanzi, lo scrittore non può che depredare la propria giovinezza. E nella mia giovinezza non ho fatto altro che imbracciare le armi e partecipare a manifestazioni politiche radicali.
  • Oggi, scrivere del regime socialista è l’occasione per una confessione piena di aculei, talvolta per una indolenzita presa di coscienza, non più per una denuncia al commissariato dello spirito. Degli anni Novanta russi, invece, nessuno è riuscito a scrivere in modo adeguato. Forse l’infamia di quel decennio è stata talmente smaccata da inibire qualsiasi slancio narrativo. Eppure, non fu un’epoca avara di "fatti": guerre sanguinose in alcune ex-repubbliche sovietiche, esodo di milioni di persone dalle loro città di origine. Tutto ciò non è stato raccontato.
  • La cultura russa è molto ricettiva, ma non mimetica. Si nutre dell’esperienza europea, ma la manomette e la altera. Che male c’è, del resto, nel concepire una forma di universalità basata sull’introiezione trasformatrice, anziché sulla riproduzione allargata di un uomo medio globalizzato, cioè di un americano?
  • Da un lato, la Russia professa i valori del conservatorismo di sinistra, legati a un ideale di stato sociale forte; dall’altro, resta borghese, oligarchica, discriminatoria. Una parvenza di stato sociale persiste soltanto grazie al petrolio. Se questa risorsa si esaurisse, a essere spolpati sarebbero i poveri, non certo i ricchi.

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