Nicolai Lilin

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Lilin nel 2011

Nicolai Lilin (1980 – vivente), pseudonimo di Nicolai Verjbitkii, scrittore italiano di origine russa.

Citazioni di Nicolai Lilin[modifica]

2010 – 2021[modifica]

Da Intervista a Nicolai Lilin

Intervista di Francesca Colletti, Milanonera.com, 20 settembre 2010.

  • [Su Caduta libera] Volevo raccontare come ci si sente a vivere una guerra, a fare la guerra, a subirla, a studiarla, a goderla, insomma a provare tutte le emozioni che ogni essere umano prova stando nel bel mezzo di un conflitto armato. Ero molto deluso da come nel nostro mondo viene presentata e raccontata la guerra; a volte attraverso il velo di ideologie, interessi, strumentalizzazioni, e alla fine viene vista dalla gente sempre come qualcosa di grottesco, al di fuori della società umana, un evento che molti credono essere creato e mandato avanti da qualche forza estranea a noi, lontana dalla visione abitudinaria dell’etica e della morale. Invece bisogna capire che la guerra è necessariamente organizzata e fatta da uomini in carne e ossa, umani come tutti gli altri.
  • Non sono mai stato sulla scena del primo conflitto Ceceno, ma è stato un conflitto molto contraddittorio, studiato a tavolino da imprenditori, oligarchi e politici corrotti e pieno di intrighi, corruzioni, interessi economici che andavano al di là di quelli politici, territoriali, religiosi o nazionali. Molti militari che ho conosciuto, che avevano partecipato al primo conflitto, lo chiamavano “il teatrino”.
  • [Sulla seconda guerra cecena] Il secondo conflitto è stato un fulmine senza pietà scaricato sul terrorismo islamico internazionale. Siamo entrati ufficialmente in guerra alla fine di agosto nel territorio occupato dalle formazioni terroristiche e l’abbiamo preso sotto controllo totale a dicembre, liberando una difficile regione che si estende tra le montagne del Caucaso. A quel punto gli scontri diretti sono finiti e il nostro lavoro era limitato ad operazioni preventive e di routine di mantenimento dell’ordine e legalità della Federazione Russa sul territorio.
  • Politkovskaya, pace all’anima sua, era una brava giornalista, ma tendeva ad imputare troppe colpe alle persone che non meritano di portare tutto il peso della guerra sulle loro spalle.
  • I militari sono esseri umani che fanno il loro duro e ingrato lavoro, vivendo situazioni estreme, nelle quali spesso il cervello umano cede, e a quel punto chiunque, anche il più devoto moralista e pacifista, diventa capace di compiere le atrocità più incomprensibili che esistano.
  • In guerra, nelle situazioni estreme, l’animo umano passa attraverso una sorta di purificazione, impara ad essere vero e semplice, per questo noi veterani abbiamo problemi a convivere con il mondo per il quale abbiamo sacrificato i nostri anni migliori, le nostre forze e molti di noi anche le proprie vite.
  • Trovo che sarebbe più onesto se gli umani di oggi facessero finta che la guerra non esistesse, la ignorassero completamente, continuando tranquillamente a divertirsi, a godere dei diritti, a studiare e a lavorare, anziché partecipare alle manifestazioni inutili a sostegno della cosiddetta "pace" – termine che ha perso senso oggi, nella situazione attuale in cui si trova il mondo.
  • Io ho partecipato all’operazione antiterroristica e perciò combattevo contro i terroristi islamici. Per me una persona nel momento esatto in cui diventa terrorista perde ogni possibilità di essere trattato come un essere umano, non ha appartenenze razziali o religiose, lui è un nemico pericoloso e deve essere liquidato fisicamente il più presto possibile. Mio nonno, che ha fatto la seconda guerra mondiale ed era un cacciatore siberiano con una grande esperienza, una volta parlando con me del fatto di uccidere, ha detto: "Se ti capita di uccidere un essere umano, fai attenzione a non diventare dipendente, perché la caccia all’uomo è tra le più belle che esistano".
  • Non lo nego, ho lavorato nelle agenzie di sicurezza privata per qualche anno, perché a diciotto anni ho imparato fare il mestiere di soldato e non avevo tante alternative nel mondo civile, che una volta tornato dalla guerra mi ha chiuso in faccia tutte le porte. Spesso il lavoro di contractor viene molto malvisto nella società pacifica, per me sono persone che fanno un impegno utile e legale, non mi sento di parlarne male.
  • [Su Educazione siberiana] Sì, ho partecipato alla scrittura della sceneggiatura, ma non l’abbiamo ancora finita. Io sono molto tranquillo per il destino del mio film, perché è nelle mani di Gabriele Salvatores e della casa produttice Cattleya, persone sensibili e cari amici, con i quali abbiamo stabilito un bel modo di lavorare. Credo che sarà un bel film, fedele alla storia originale.

Da Intervista a Nicolai Lilin

Intervista di Dejanira Bada, Artslife.com, 1 marzo 2011.

  • Sono nato in un paese molto degradato. Quando ero piccolo non avevamo neanche il bagno in casa e dovevamo andare fuori anche a -20. Le persone da noi apprezzavano cose come il gas e la luce, quello era il lusso. Ma non perché la comunità fosse povera, era una decisione degli anziani che influenzava la nostra vita. I nostri vecchi vivevano in un modo scettico, e la povertà veniva portata come una bandiera, una cosa di cui andare fieri. Per esempio ricordo un episodio in cui, a casa della mia famiglia, irruppe la polizia. Iniziarono a rompere tutto e ad un certo punto, spaccando il muro, trovarono dei lingotti d’oro da mezzo chilo, ed erano talmente tanti che mia madre si mise a piangere incredula, perchè nostro papà li aveva messi lì dentro senza dire niente. Probabilmente aveva svaligiato un furgone, ma queste cose non si raccontavano in casa. Insomma, potevamo permetterci di stare meglio ma era una scelta apparire così, una sorta di onestà.
  • Da piccolo passavo tanto tempo con un anziano, un vecchio medico molto educato che è stato in carcere trent’anni durante la dittatura di Stalin soltanto per aver nascosto una famiglia ebrea. Lui mi ha insegnato ad ascoltare l’opera, a leggere poesie e romanzi, ad ascoltare la lingua italiana. Lui leggeva la Divina Commedia in lingua originale e grazie a lui l’Italia mi è entrata nel cuore, perchè l’ho sempre vista come culla della cultura internazionale.
  • Sono nato in un posto dove c’erano tantissime persone tatuate, ma da piccolo non capivo questa importanza, anche perché la tradizione del tatuaggio siberiano esclude la parola, è una cosa che esiste ma non si spiega il perché e che cosa voglia dire. Da piccolo andavo a sbattere contro mio padre, mio nonno, i miei zii che erano tutti tatuati, ma se chiedevi spiegazioni prendevi le sberle, perché per loro era un’offesa chiedere. Poi ho tentato di entrare in questo mondo chiedendo spiegazioni ai vecchi ai quali facevo piccoli favori. Pensa che ad oggi, quando torno al mio paese, vengo deriso, perché sono tatuato e perché è tutto cambiato. Per loro, oramai, sono un pagliaccio, uno stupido che vive in occidente ma che fa finta di essere ancora legato al passato dei nostri vecchi, coloro che, secondo i giovani d’oggi, ci hanno fatto vivere e vedere la povertà come valore. Insomma, sta arrivando la globalizzazione anche da noi ed è una cosa brutta. Io da piccolo invece ho iniziato a studiare questa tradizione dei tatuaggi ed ho capito che era una cosa molto importante.
  • A me la politica non interessa, davvero, però non posso sopportare le persone che diventano cattive e che vogliono il potere a tutti i costi, perché solo Dio ha il potere del mondo, un Dio che ognuno può interpretare come vuole, invece noi umani dobbiamo stare al nostro posto, non rompere le palle agli altri e controllare bene quello che abbiamo sotto i piedi. Questa più o meno è la mia idea politica o esistenziale.
  • Da dove vengo io questo mi hanno insegnato, rimanere sempre degno di me stesso e coerente. Si può anche cambiare idea, magari perchè ci si è informati meglio, allora si può cambiare opinione. Anche ammettere i propri sbagli è una questione di dignità. Molte persone invece la dignità non ce l’hanno, oppure è stata levata loro dal consumismo e sostituita con telefoni, auto, cellulari, con beni che li portano a considerare la cosa più importante non tanto la propria vita, quanto la possibilità di consumare all’interno della propria vita. La gente non teme di morire, ma di non poter andare più al cinema!
  • Una volta mi hanno sparato dritto al cuore – ho ancora una cicatrice orribile anche se avevo il giubbotto antiproiettile – con un fucile AK-47. Mi è andata bene perchè il ragazzo che mi ha sparato aveva finito le cartucce, se mi avesse scaricato addosso il caricatore non sarei qui ora. Lì ho visto la fine, sicuro che sarei morto, i miei ultimi pensieri prima di svenire sono stati: “Ok è andata, è finita, pazienza” e mi sono steso contro il muro. Poi però mi sono risvegliato e una volta sveglio mi sono sentito davvero rinato, è stato come nascere per la seconda volta.
  • Un’altra volta invece, sempre durante la guerra in Cecenia, ci hanno colpito con un lanciagranate ed hanno fatto rovesciare il convoglio in cui mi trovavo. In quel momento stavo dormendo e il colpo è stato talmente violento che due dei nostri autisti sono subito morti. Io invece sono solo diventato sordo dall’orecchio sinistro. Ricordo che quando c’è stata l’esplosione ero in uno stato di dormiveglia in cui ho pensato di nuovo: “Ok, stavolta è finita davvero” e invece no, sono svenuto e sono rinato di nuovo!

Da "Educazione siberiana": intervista a Nicolai Lilin

Intervista di Mariagiovanna Grifi, Corrierespettacolo.it, 16 novembre 2013.

  • [Su Educazione siberiana] Io ho scritto un romanzo, non un saggio storico, anche se ho fatto riferimento a un momento epocale della storia. Non è facile, e neanche opportuno, cercare di distinguere la realtà dal romanzo. Chi cerca di esaltare o di negare la verità del mio libro è comunque un "maleducato". Sta a me scrittore affermare se quello che ho scritto è fondato sull’esperienza vissuta o meno.
  • In Italia tutto deve essere uguale a qualcosa di più grande e importante, è la legge del conformismo: nel mondo consumistico vendere idee diverse è difficile, c’è bisogno di fondarle su un sottosuolo di base uguale ad altri.
  • [Su Educazione siberina] Ho avuto molte proposte, anche più importanti di Salvatores, e magari avrei potuto guadagnare più soldi, ma avrebbero sicuramente stravolto il mio libro, lo avrebbero trasformato in uno splatter pieno di sangue e criminali russi. Ho preferito una persona sensibile, con cui poter lavorare anche di persona (fondamentale il fatto che Salvatores era a Milano, vicino a me).

Da Intervista a Nicolai Lilin: "Il serpente di Dio" e il potere della lettura e della diversità

Intervista di Matteo Bolzonella, Sulromanzo.it, 4 agosto 2014.

  • [Su Il serpente di Dio] Il romanzo nasce qui in Italia, meno di un anno fa: è una sorta di mia reazione alla situazione geopolitica che si sta vivendo. Vivo con dolore il fatto che oggi le diversità vengano sfruttate da diverse fazioni politiche o geopolitiche come delle armi per manipolare le società. Quella diversità che dovrebbe essere la nostra ricchezza, una delle poche cose che aiuta a conoscere veramente il mondo e a rispecchiarsi in esso, oggi viene riproposta spesso, anche da parte dei mass media, come un elemento di cui dobbiamo avere per forza paura e che dobbiamo fronteggiare con molta attenzione, quasi con sospetto: “Se uno è diverso da me, è uno di cui io non devo e non posso fidarmi”; ecco, questo non va bene. Io sono nato in Unione Sovietica e ho il ricordo di un Paese bellissimo, con 183 etnie che vivevano in pace e armonia, senza mai aver avuto sospetti di questo tipo. In modo particolare non sentivamo questa inevitabile divisione tra mondo islamico e mondo cristiano che oggi viviamo, di cui mi dispiace molto. Il mio fratello minore, Dimitri, si è convertito all’Islam e si è sposato con una bellissima ragazza di Daghestan, paese russo con una maggioranza di etnie di religione musulmana. La mia famiglia vive con molta serenità questa situazione ma spesso dall’esterno, anche da alcuni miei amici, questa differenza è stata vista male: tantissimi vedono la scelta di mio fratello come una cosa molto estrema. Il mio romanzo si basa sul valore della diversità nella religione: i protagonisti sono due ragazzi, uno cristiano e uno musulmano che, nonostante la differenza culturale e religiosa, riescono a sviluppare un rapporto fraterno, come viene suggerito dalla loro stessa comunità, quella caucasica. E il Caucaso è storicamente luogo di una convivenza tra comunità non solo pacifica, ma anche fraterna.
  • In Russia una cosa che mi ha aiutato moltissimo e che forma la base della mia espressione narrativa è la narrazione orale, su cui si è formata la cultura siberiana nella quale io sono cresciuto. Mio nonno mi raccontava tantissime fiabe e questo per me è stato fondamentale. D’altra parte ho avuto anche un’educazione sovietica: nelle scuole russe si leggeva molto, moltissimo, tanti classici, russi e stranieri e questo mi ha aiutato ovviamente a elaborare una forma espressiva tutta mia ma che si basa sui libri che ho letto.
  • [Su Gabriele Salvatores] Io amo quest’uomo, a mio avviso è uno dei più importanti e talentuosi registi italiani che hanno fatto la storia del cinema italiano.
  • [Su Educazione siberiana] Il film è sicuramente bellissimo ma già dall’inizio si capisce di trovarsi davanti a una storia parallela: non è un tentativo di ripetere il libro sullo schermo, ma ricrearne la storia prendendone spunto.

Da L’intervista. Nicolai Lilin: "In Ucraina c'è stato un golpe. Ripartire da tradizione e comunità"

Intervista di Mario De Fazio sulla rivoluzione ucraina del 2014, Barbadillo.it, 5 luglio 2014.

  • Ciò che dico viene sostenuto da larga parte della sesta parte del mondo, la Russia. Cose che vengono taciute dai nostri media occidentali, in gran parte corrotti e strumentalizzati. In Ucraina è avvenuto un colpo di Stato, illegale, violento, organizzato da forze esterne. Non rappresenta assolutamente la volontà del popolo ucraino. Se tutto il popolo fosse stato d’accordo non ci sarebbe stata la secessione della Crimea e la guerra civile che c’è adesso.
  • Non dubito che tanti ragazzi di Maidan volevano il bene della loro patria. Ma sono stati strumentalizzati: Lenin chiamava persone del genere "utili idioti". Possono avere tutte i buoni propositi che vogliono ma ammazzano persone civili e partecipano a uno scempio sulla propria terra. Combattono cittadini della loro stessa terra ed è la cosa peggiore che c'è. Un uomo, un guerriero, deve difendere la propria terra dagli esterni, loro si sono messi insieme a gente venuta da fuori, da Washington, per insegnare i nuovi valori, e si sono fatti strumentalizzare e uccidono i loro fratelli, gente che crede nello stesso Dio. Lavorando, in questo modo, per chi crede in McDonald’s e Shell.
  • L’Ucraina aveva già la possibilità di essere indipendente, con Janukovyc. È vero che era costretto ad accettare alcune posizioni russe, e bisogna dire che era un oligarca. Ma rispecchiava bene il popolo ucraino. Ciò che è avvenuto adesso, la rivoluzioni populista, è dovuto al lavoro di agenzie esterne, che hanno strumentalizzato il populismo creando una guerra.

Da Lilin: "Transnistria, un non luogo"

Intervista di Joe Pieracci, Rsi.ch, 26 luglio 2016.

  • In questi giorni sono sommerso di richieste da parte dei quotidiani italiani, mi chiedono di scrivere sulla Transnistria; ma per me è molto difficile rispondere. [...] Io sono scappato, oggi sono un occidentale. E preferisco non prendere posizione
  • Non è vero che la Russia minaccia la Transnistria perché, questo paese, esiste grazie alla presenza delle truppe della Federazione russa... dai tempi dell’Unione sovietica non se ne sono mai andati. [...] Semmai, ad essere minacciate, sono la Moldavia o l’Ucraina occidentale.
  • [La Transnistria] è una regione trasformata da alcuni generali russi in un non luogo, dove poter trafficare e guadagnare.
  • Mi auguro che questa splendida terra non finisca travolta da una sanguinosa guerra fratricida, ma ho paura che i russi facciano lo sbaglio di mettere sotto assedio militare l’intera Ucraina. E a quel punto la Transnistria sparirà. Sarà un’altra Beirut.
  • Siamo tutti fratelli in quella zona e io non saprei come sparare ad un moldavo perché gli voglio bene: è mio fratello.

Da Spie, tatuaggi, armi e poesia – Intervista a Nicolai Lilin

Intervista di Angela Venturini, Futurodaunavita.sm, 2 agosto 2017.

  • Nella nostra cultura della caccia è così: si uccide solo per poter mangiare. Si uccide ma la bestia va rispettata, non la uccidi per divertimento ma perché sai che lei ti da la vita. È molto diverso da quello che oggi è la caccia... andavano più uomini insieme, ammazzavano un animale, poi dicevano la preghiera e la lavoravano al momento, ne lasciavano una parte al bosco e una parte se la portavano addosso perché una delle regole regole più importanti è che non bisogna cacciare più di quello che puoi portare addosso. Se uccidi un alce ma sei da solo sei una persona stupida: non riuscirai a portare a casa niente e la mangeranno i lupi e questo creerà uno squilibrio nel bosco, perché un lupo che mangia un alce ammazzata da te non uccide poi un animale malato e quindi si rovina l’ambiente naturale. Questa era la nostra educazione.
  • Ricordo il momento in cui mio nonno regalandomi il coltello mi disse: "L’armatura rende un uomo cavaliere del re, ma il semplice coltello rende un uomo cavaliere del popolo." Mi emozionò molto perché sentii di appartenere ad un mondo di persone degne, che avevano un loro codice, non come i delinquenti comuni, quelli che facevano male alla gente semplice, derubando i poveri pari a sé stessi.
  • Quella siberiana è una delle tradizioni più antiche al mondo: la più antica mummia tatuata mai ritrovata ce l’abbiamo noi, ha cinquemila anni, si chiama Principessa Ukok e ha addosso simboli molto complessi che parlano di una cultura già molto antica e molto ricca. Poi questa tradizione si è evoluta. Anche Gengis Khan, che proveniva da dal nord della Mongolia che in realtà era la Siberia, aveva addosso il simbolo del suo clan, il pesce, e questo ci fa capire come il tatuaggio fosse un segno di riconoscimento essenziale, una specie di carta d’identità, che poi piano piano si è trasformato in un linguaggio capace di nascondere tutto quello che riguarda la persona, sia il vissuto che gli aspetti più intimi.
  • Ogni popolo ha una propria concezione dell’amore. Voi italiani e sammarinesi siete bellissimi, avete una visione dell’amore molto romantica e legata alla passione. Noi in Russia abbiamo una visione un po’ diversa, più drammatica: la nostra storia d’amore non deve per forza andare bene e lo vediamo anche nei nostri grandi classici come Dostoevskij, Tolstoj ecc . Da noi l’amore è soprattutto quel sentimento che arriva da Dio, è un dono che l’uomo riceve in un certo particolare momento della propria vita e gli può fare bene o gli può fare male.

Da Un siberiano a Milano: intervista a Nicolai Lilin

Intervista di Steve Fortunato, Labottegadihamlin.it, 29 dicembre 2018.

  • Ho capito che la guerra è un fallimento. È il simbolo del fallimento umano. Terminato il servizio militare ho sentito il bisogno di tornare in Siberia, alla vita povera.
  • La presenza divina agisce attraverso tante forme e mezzi diversi, anche attraverso persone che commettono delle atrocità. Dio nei suoi scenari investe anche sui mostri.
  • Multiculturalismo significa rispettare il nostro prossimo senza chiedersi perché.
  • Sono convinto che se ci fosse l’anarchia totale le persone sarebbero organizzate meglio di quanto lo siano in uno Stato.
  • Vengo da una famiglia di criminali e lo spirito di contrabbandiere mi appartiene per formazione mentale. E in letteratura questa propensione trova uno sbocco naturale e si realizza facilmente.
  • Sicuramente quanto ho vissuto in guerra mi ha reso più consapevole verso i meccanismi che regolano il mondo, meno ingenuo, meno idealista, più anarchico.
  • Ho partecipato alla guerra nel '92 che mi ha cambiato, mi ha fatto sentire adulto, con nuove responsabilità ma al tempo stesso è stata una liberazione.
  • Ancora oggi sono rimasto quello che guarda dritto negli occhi gli altri. La gente rimane imbarazzata, ma per me parlare senza guardare negli occhi le persone significa mancanza di rispetto.
  • Mantengo l’impostazione classica russa nel descrivere approfonditamente scene e particolari che costituiscono i pilastri della letteratura russa. Una impostazione che è attuale ed è presente anche tuttora, addirittura nelle comunicazioni private quotidiane. Le e-mail che mi mandano miei amici russi, sono lunghissime, ricche di particolari, sono dei veri e propri racconti, delle piccole storie. È un modo di raccontare di chi vive in un paese di grandi dimensioni e grandi distanze, dove governa la nostalgia per non poter vedere più spesso persone lontane. La lingua italiana mi ha insegnato ad approfondire concetti che in russo sono decori linguistici, senza importanza. Mi ha dato modo di inserire elementi espressivi, dando una forma di ossimori.
  • Gli individui si ricoprono il corpo di disegni senza conoscerne il significato. Tra i calciatori c'è la moda di farsi tatuare la Tartaruga Maori, senza sapere che si portano addosso il simbolo della fertilità femminile che veniva tatuato sul corpo delle ragazze Maori alla prima mestruazione. A questo proposito mi viene in mente un proverbio siberiano che dice "Quando il cervello non pensa il corpo soffre".

Da Incendi in Siberia, Nicolai Lilin: “Non è ancora finita”

Intervista di Gianluca Vergine sugli incendi in Siberia del 2019, Labottegadihamlin.it, 17 settembre 2019.

  • Il problema principale è appunto il disboscamento selvaggio irregolare e spesso anche illegale delle zone boschive. A questo si aggiunge anche il cambiamento climatico che non aiuta, come i venti irregolari e il clima molto secco. C’è stata poca acqua, poche piogge in questo mese; si è arrivati così alla tragedia, alla catastrofe ambientale delle dimensioni che abbiamo visto quest’estate.
  • Nella più grande regione della Siberia, quella di Krasnoyarsk, che tra l’altro è la stessa regione da cui proviene la mia famiglia, abbiamo un personaggio come Alexander Uss. Quest’uomo è diventato famoso in Russia per la sua frase “spegnere il fuoco nelle foreste è inutile così come inutile lottare contro la neve d’inverno” aggiungendo inoltre che spegnere il fuoco nelle foreste è “economicamente sconveniente”. Questa seconda frase è ancora più criminale e pericolosa.
  • Cosa fanno queste persone: loro arrivano d’inverno, tagliano gli alberi, li puliscono sul posto con grandi macchinari mobili capaci di separare il tronco dai rami direttamente in loco; poi verso primavera, ai primi di maggio, danno fuoco a tutto, lasciando che la zona bruci. Tutto questo per coprire le tracce, in modo da poter dire in seguito che la foresta non è stata disboscata ma bruciata.
  • Io stesso ho pubblicato dei video con orsi e volpi che fermano le macchine lungo le strade chiedendo cibo agli autisti: è una cosa veramente allucinante, bisogna non avere un cuore per non commuoversi davanti a queste immagini. Ecco, il governatore Uss e persone simili a lui delle amministrazioni locali siberiane hanno deciso di risolvere questo problema sterminando questi animali, con squadre apposite di cacciatori.
  • La foresta della Siberia è andata in fumo per via di speculazioni esagerate e criminali, speculazioni sul bosco e sulla natura, create dall’uomo ma dovute al sistema consumistico in cui viviamo. Quando noi andiamo a comprare un mobile che costa 90 centesimi siamo contenti dell’esistenza di un negozio del genere che ci fa risparmiare dei soldi, ma dobbiamo capire che noi in questa maniera stiamo sostenendo questo sistema consumistico, che stiamo distruggendo il nostro pianeta.
  • Dobbiamo scegliere cosa è più importante: consumare ora o sopravvivere e regalare ai nostri figli un futuro migliore?
  • Fino a quando ci sarà il consumismo l’Africa sarà messa a fuoco dalle compagnie private, dalle multinazionali, l’Amazzonia e la Siberia saranno devastate da chi taglia i boschi illegalmente e noi ci avvicineremo sempre di più all’Apocalisse.

Da Nicolai Lilin: "Ecco perché i russi vogliono uno zar"

Intervista di Matteo Carnieletto, Ilgiornale.it, 16 ottobre 2020.

  • Ancora oggi, Rasputin viene considerato la parte sincera - nera, ma allo stesso tempo più vicina a Dio - della Russia. È l'anima contradditoria e ambigua dello spirito russo: di umili origini, riuscì ad entrare nel palazzo dello zar. Senza dubbio era ambiguo. Ma era un vero russo.
  • [Su Vladimir Putin] Da giovane, e anche nei primi anni della sua presidenza, parlava spesso di portare in Russia il modello di democrazia occidentale. Un progetto che ha presto accantonato perché, da vero russo, ha sentito quella corda intima che c'è nella nostra cultura: la richiesta di autoritarismo. [...] Abbiamo ereditato dai bizantini l'idea che siamo la terza Roma e che non ce ne sarà una quarta. Il popolo vuole lo zar e Putin lo ha capito.
  • I servizi segreti, nel suo percorso politico, non sono stati decisivi, ma indispensabili. Putin non è stato scelto da Sobčak perché era del Kgb, ma perché era uno del Kgb con certe peculiarità. Aveva un'incredibile capacità nel creare contatti.
  • Putin parla con gli oligarchi e non può fare altrimenti. In Russia, si può arrivare al potere solo in due modi: ottenendo l'appoggio delle famiglie degli oligarchi oppure facendo come i comunisti, massacrando, giustamente o ingiustamente, milioni di persone.
  • È come se gli oligarchi avessero preso in affitto il Paese: a loro non interessa la politica estera o interna della Russia. A loro interessano solamente gli affari.
  • Alcuni ritengono che Putin voglia ricostruire l'Unione sovietica, ma non è così. Lui non è un sognatore come Gorbačëv (che infatti si è fatto abbindolare da tutti). Putin non è un sognatore, è molto freddo e logico. La sua visione geopolitica si rifà soprattutto agli interessi del sistema economico che lui mantiene e dal quale è mantenuto.
  • Putin ha sbagliato nel condurre una politica interna che ha allontanato la Russia dal binario della democrazia del modello occidentale. Ha scelto la via dell'impero e abbiamo visto com'è finita. Da una parte c'è una setta di ortodossi che l'ha proclamato santo e dipinge icone con la faccia di Putin. Credono infatti che sia stato mandato dal cielo per combattere l'Anticristo. Dall'altra ci sono quelli che dicono che ha rovinato tutto. Io non credo a nessuno dei due. Io ritengo che all'epoca in cui Putin è diventato presidente si dovesse prendere una decisione. Era un momento difficile però lui l'ha fatto.
  • Putin è una cartuccia sparata, non cambierà più. L'unico modo per la Russia di salvarsi, se lui davvero la ama, è quello di cominciare a preparare qualche sostituto, più giovane e più energico. E, soprattutto, meno legato agli olicarchi.
  • Solženitsyn è molto criticato dai sostenitori di Putin perché vedono in lui un traditore della patria che lavorava per gli americani. In Russia, infatti, molti negano ancora il sistema gulag. Per me però è facile parlare dei gulag perché mio nonno li ha vissuti e mi ha raccontato com'era vivere lì dentro.
  • Solženitsyn è una figura emblematica, facile sia da appoggiare sia da odiare. Ha poche sfumature perché scriveva cose concrete. Reali. Chi sostiene il regime comunista lo odia, chi invece ama la democrazia lo rispetta.

Da Ma cos'è lo Sheriff e che storia ha? Lo scrittore Nicolai Lilin racconta questa strana terra (e squadra) moldava

Intervista di Filippo Ciapini, Mowmag.com, 19 ottobre 2021.

  • Siamo un paese che vive sotto un pesante embargo da molto tempo, la comunità internazionale fa finta di non vederci e ci tratta come pericolosi terroristi.
  • Non rientriamo nel programma geopolitico degli Stati Uniti. La Transnistria non è voluta da loro e veniamo trattati come gli ultimi. Noi siamo indipendenti, abbiamo una frontiera fisica, c’è l’esercito, ci sono le strutture, il governo, il popolo, hanno la loro moneta e pagano le tasse. È una cosa oscena perché poi sento la gente dire che dobbiamo aiutare gli africani e chi per loro...
  • L'occidente ha un’ideologia profondamente marcia e ipocrita. Opera con doppi standard. Perché l’africano sì e altri no? Peraltro questi ultimi non chiedono nessun tipo di aiuto, vogliono soltanto essere indipendenti. Mia figlia non può visitare la Transnistria e le nostre origini perché dobbiamo ottenere mille permessi nemmeno fossimo in guerra.
  • La Transnistria è in Europa, è molto prima della Russia, confina con la Romania che fa parte dell’Unione Europea. Questa è la tragedia. Adesso finalmente si inizia a parlare senza termini dispregiativi. Poi sento di dire che il governo laggiù è corrotto, dove non lo è? Parliamoci chiaro, i politici di oggi sono dei pezzi di merda. Il popolo non è cattivo, la cultura esiste.
  • C’è stata una feroce guerra con i moldavi dove, pur perdendola, hanno massacrato due intere città. Intervenne la 14esima armata russa che separò le fazioni e fece il garante di pace e tuttora lo è. Quando nel 1992 la Transnistria è rimasta tagliata fuori da tutto hanno dovuto ricreare un paese da zero. La Sheriff erano tutti rappresentanti di forza (esercito, kgb e militari) e come modello hanno fatto una simbiosi simile a quello cinese, dove c’è un partito che controlla il mercato libero. Era un holding che agiva sugli interessi della Nazione. Quando dicono “ahhh ma questi sono dei mafiosi” è totalmente sbagliato. Questi sono al potere perché all’epoca non c’era nessuna alternativa. Questo era un paese in fiamme e anno dopo anno hanno costruito il loro impero, le strutture, hanno ridato la vita a una situazione drammatica.
  • Il popolo moldavo sono fratelli, ho un sacco di amici, amo i poeti e la letteratura, l’arte. Noi abbiamo molti punti in comune che ci legano e quei pochi che ci hanno visti separati nel 1992 non meritano di esistere.
  • Vorrei solo che un giorno la Transnistria torni a unirsi alla Moldavia, rimanendo un paese con le proprie regole.
  • I moldavi sani di mente capiscono che la Transnistria è un entità legata anche alla loro cultura.
  • [Sulla pandemia di COVID-19 in Italia] Sono di un pensiero abbastanza rispettoso nei confronti del vaccino, nella mia famiglia qualcuno se lo è fatto, però io non sono per l’obbligo. Se una persona non si sente di iniettarsi qualcosa che non è ancora stato sperimentato, ha diritto a non farlo.
  • [Sul Green Pass] Ovviamente totalmente contrario. Non ha niente a che fare con la gestione della malattia. È un modo velato di imporre i limiti dei cittadini sfruttando l’emergenza. Noi sappiamo che anche le persone vaccinate possono ammalarsi e trasmettere il Covid. Hanno diviso la società in due parti e hanno limitato la mia vita da cittadino. Se mi sono vaccinato posso andare alla Scala altrimenti no. Non va bene, anche se ho il Green Pass posso infettare le altre persone. Questo è un dato di fatto, è una vergogna dei politici che stanno giocando su queste cose. Siamo di fronte a un cambiamento del rapporto sociale. È una cazzata.

Da Nicolai Lilin: "Il colore dei tatuaggi era il nero della fuliggine, fuoco sottopelle. Ora l'estetica conta più del senso"

Intervista di Cosimo Curatola, Mowmag.com, 18 dicembre 2021.

  • Il tatuaggio moderno è commerciale, non c’entra niente con quello che faccio io. Io faccio un rituale sciamanico, il tatuaggio è nato dal fatto che gli uomini primitivi cercavano di inserire sottopelle i residui del fuoco, ovvero la fuliggine, perché credevano che il fuoco conservasse un potere magico. All’epoca il fuoco era il massimo della tecnologia, una rappresentazione divina. La fuliggine si trasformava in inchiostro e veniva messo sottopelle, a volte dove una persona aveva qualche dolore. I tatuaggi erano anche curativi.
  • Io detesto le tattoo convention e tutte queste situazioni in cui il tatuaggio diventa merce. Per me è rituale, religione, un rito ancestrale molto importante. Chi viene a tatuarsi da me viene per questo. E sa che nessun altro può farlo così.
  • La brutalità dei nostri tempi, la pochezza dei nostri tempi, è che l’estetica ha preso il sopravvento sul senso. Tanta gente si ricopre di cose belle esteticamente ma non saprà mai spiegarne il significato.
  • Tanti tatuatori che fanno bianco e nero usano il colore bianco per la gamma dei grigi. Io sono molto rigido su questo, utilizzo solo nero. Quando ho bisogno di diluire ed avere una scala di grigi scelgo l’acqua di rose che è quella più adatta, anche se la verità è che si potrebbe fare con un’acqua qualunque. Basta evitare quella del rubinetto perché può contenere calcare e non va bene durante la guarigione.
  • Io tatuo tutti purché mi raccontino le loro storie. Io tatuo chi è disposto ad aprirsi con me, mi racconti la tua storia e io in base alla storia creo un disegno. Funziona così.
  • Io in realtà non la voglio neanche la tomba. Mi piace sapere che ci sono persone che vengono sepolte sotto un albero, vorrei una roba del genere. Poi magari i nipoti si arrampicheranno sull’albero, ci pisceranno sopra e si ricorderanno del nonno.

2022[modifica]

Da Nicolai Lilin, la colpa è di tutti, Biden un guerrafondaio

Intervista di Mauretta Capuano sull'invasione russa dell'Ucraina del 2022, Ansa.it, 25 febbraio 2022.

  • La colpa è di tutti, degli Stati Uniti d'America, di Biden in primis che è un guerrafondaio, una persona veramente sgradevole, un politico poco lungimirante e provocatorio.
  • Spero che non duri a lungo, ma da come si muove l'esercito russo, hanno già circondato l'Ucraina, i punti nevralgici vengono presi abbastanza in fretta, dovrebbe essere così. Per fortuna non trovano la resistenza perché per la gran parte degli ucraini combattere per questo governo e politicanti non è importante. I militari si arrendono in massa, i civili stanno nelle case e aspettano la fine.
  • Noi dobbiamo liberarci dall'influenza statunitense. L'America deve capire che la sua egemonia è finita. Adesso c'è il dragone cinese, i russi e la vecchia Europa deve essere lasciata in pace.

Da Guerra in Ucraina, Nicolai Lilin: "Putin sbaglia, ma l’Occidente deve cambiare visione"

Intervista di Enrico Chillè sull'invasione russa dell'Ucraina del 2022, Teleambiente.it, 4 marzo 2022.

  • L’Occidente ha la colpa di interpretare il mondo con una superiorità ingiustificata, noi occidentali ci crediamo superiori e ci rapportiamo agli altri in modo errato. Poi usiamo i doppi standard: siamo capaci di manifestare vicinanza ai bambini colpiti in un Paese e ignoriamo altri bambini colpiti dalla guerra in un altro Paese, solo perché lì la guerra la facciamo noi o i nostri partner.
  • Quando parliamo di Putin, dobbiamo essere chiari: è un dittatore autoritario che da oltre 20 anni è al potere, è lontano dall’ideale politico occidentale. Per lui, e per chi lo sostiene, un cambio di presidenza ogni quattro anni è un segno di debolezza politica.
  • Voglio ricordare un mio caro amico, intellettuale ucraino: Oles Buzina, grande antropologo e patriota, una persona libera che non era d’accordo con alcuni meccanismi poco democratici che vide dopo il 2014. I neonazisti, vicini a Poroshenko, gli hanno sparato in testa sulla porta di casa. E ci sono battaglioni neonazisti che sono stati integrati nell’esercito ucraino come se niente fosse, hanno ancora le mostrine delle divisioni delle SS.
  • I russi temono l’Occidente, hanno visto cosa ha fatto in Iraq, in Afghanistan, in Siria e nel Nord Africa e sanno che gli Stati Uniti sono il Paese che ha bombardato più Paesi al mondo dalla Seconda guerra mondiale a oggi. Purtroppo, questa differenza di posizioni viene sfruttata dalla politica, che gioca sui contrasti ideologici e sulla paura.
  • La Russia è uno dei Paesi più corrotti al mondo ed è sotto gli occhi di tutti. Il flusso di denaro dalla Russia ha fatto comodo a lungo all’Occidente, ora le sanzioni hanno stravolto il mercato tra l’Europa e la Russia. La situazione attuale fa comodo soprattutto agli Stati Uniti, che stanno realizzando il loro progetto di mantenere l’egemonia economica e militare in Europa. Per loro la Russia è un pericolo, non è un partner e lo vorrebbero come un vassallo. George Bush Sr. ed Helmut Kohl dettavano la linea a Gorbaciov, loro vorrebbero tornare a quella epoca. Vladimir Putin invece non vuole essere un vassallo e questo a loro non va bene. Anche qui, se pensiamo che gli oligarchi possano rovesciare Putin, sbagliamo la nostra visione: da occidentali, pensiamo erroneamente che la Russia sia un Paese europeo. La simbologia è tutto, l’aquila bicefala rappresenta la natura della Russia, che da un lato guarda all’Occidente e dall’altro guarda all’Asia.
  • Per come la vedo io, l’Italia dovrebbe allontanarsi dalla Nato e sviluppare una autonomia energetica investendo nell’eolico e nel fotovoltaico, per fortuna vento e sole qui non mancano. Poi dovremo anche ripensare la nostra tendenza al consumo sfrenato. Se non compreremo più il gas russo, ci sarà un contraccolpo per Mosca, ma ci sono già Paesi come la Cina che lo stanno facendo al posto nostro.

Da Putin, Russia, Ucraina e russofobia. Intervista a Nicolai Lilin

Intervista di Giacomo Zamboni sull'invasione russa dell'Ucraina del 2022, Themillennial.it, 6 marzo 2022.

  • Il conflitto attuale ha il suo inizio dai massacri che l’esercito ucraino con l’aiuto delle milizie nazionalistiche ha compiuto verso le popolazioni filorusse delle regioni del Donbass, territori industriali, dove c’è da sempre una forte identità del movimento operaio. Secondo l’Osce questi eventi hanno provocato tra i 14mila e 16mila morti. La Russia si è sentita isolata e minacciata, nel colpevole silenzio dell’Occidente, fino ad arrivare al tragico momento attuale.
  • In Siberia ancora oggi ci sono persone che vivono senza gas nelle case. È una società più brutale, primitiva, sono quindi molto più influenzabili dalla propaganda. I discorsi di Putin hanno un linguaggio diretto alle persone delle periferie, usa spesso lo slang di strada e il gergo criminale. Sono riferimenti culturali che vengono dall’infanzia vissuta nell’allora Lenigrado in mezzo alla criminalità giovanile. La sua vera forza deriva dalla Russia profonda.
  • Nella comunità russa italiana c'è forte preoccupazione, paura di esser licenziati perché russi, paura per i bambini che vengono discriminati, paura per le proprie attività lavorative perché boicottate. Vi sembra normale che mia figlia tornata a casa da scuola mi chieda preoccupata se è vero che "noi russi siamo cattivi?". Mia figlia non sa neanche chi sia Putin.
  • I miei pensieri sono tutti per i civili che stanno soffrendo per una guerra crudele; se mi chiedi però di fare una valutazione geopolitica non posso non notare che è da qualche anno che il mondo va sempre di più verso oriente, verso la Cina. Gli Stati Uniti non hanno più l’egemonia di un tempo, credo sia poco saggio forzare la mano con la Russia di Putin. Siamo a un cambio totale della politica mondiale, l’Ucraina è purtroppo una moneta di scambio.

Da Lilin: "Reclute spedite in guerra alla cieca, come me"

Intervista di Matteo Sacchi sull'invasione russa dell'Ucraina del 2022, Ilgiornale.it, 26 marzo 2022.

  • Questo conflitto è anche un modo di addestrare a prezzo di altissime perdite un gran numero di personale. Alla fine hanno fatto così anche con la Cecenia. Mandano i giovani con una percentuale di soldati esperti che gli insegnino il mestiere... Spietato ma funzionale.
  • [Su Vladimir Putin] Il modello a cui si rifà è un modello imperiale, messianico, il suo modello è Alessandro III. Forse all'inizio ha pensato di avvicinarsi alle democrazie occidentali, non certo a un vero Stato liberale, ma si muoveva in quel senso. Poi ha prevalso l'idea di tornare all'Impero, si è trasformato quasi in un personaggio shakespeariano
  • Sono moltissimi quelli che non la penseranno come Putin. E i più dovranno pernsarlo in silenzio. Ma non si può pensare che Putin cada per una rivoluzione, i russi hanno già provato le rivoluzioni e temono più di tutto il caos. Se ci sarà un cambiamento partirà all'interno del sistema.
  • [Sugli oligarchi russi] Non sono come i capitalisti occidentali, Non sono come Elon Musk che è per molti versi un oligarca ma deve i soldi a se stesso. Putin li usa come portafogli per mettere dei soldi. Il portafoglio si rompe? Tu lo cambi.

Da Parla lo scrittore russo Nicolai Lilin, autore di "Putin, l'ultimo zar"

Intervista di Federica Sabiu, Lavocedinewyork.com, 28 marzo 2022.

  • [Su Vladimir Putin] In lui c’è stato un cambiamento incline anche verso il male, il potere non ha migliorato quest’uomo, sicuramente lo ha danneggiato dal punto di vista umano.
  • Diciamo che sono diventato in maniera accidentale uno scrittore, anche se non avevo, a dire il vero, l’ambizione di fare questo lavoro.
  • [«Quali autori ti hanno formato maggiormente?»] Sono figlio della letteratura russa, quindi comincerei con Tolstòj, Tolstoyevski, Pasternak ecc. , sono gli autori che per me sono stati illuminanti, quelli che hanno formato il mio modo di pensare, il mio modo di esprimermi, in qualche modo hanno influenzato anche la mia scrittura.
  • A me personalmente non piacciono i premi letterari perché non si può definire un libro meglio dell’altro, tutti i libri sono diversi in quanto sono i prodotti delle idee e delle espressioni di persone differenti e non si può dire che una persona si esprima meglio dell’altra.
  • Sicuramente lo scrittore che mi ha formato come narratore e Nikolaj Gogol, il grande scrittore russo che ha creato il vero romanzo russo, la novella russa.
    Lui per me è stato fondamentale perché ha plasmato la mia espressione umana e letteraria, il suo libro più bello a mio avviso si intitola "le anime morte".
  • Noi in Siberia abbiamo una delle più antiche tradizioni di tatuaggi al mondo dove in poche parole il tatuaggio è un modo codificato di raccontare l’esperienza di vita di una persona, una specie di curriculum che le viene scritto sulla pelle.

Da Nicolai Lilin educazione alla guerra in Ucraina

Intervista di Paolo Massimo Guerzoni, Ilbullone, 22 aprile 2022.

  • Quando qualcuno ci dice che dobbiamo odiare una persona in base alla sua appartenenza, è solo perché è interessato a sfruttare, manipolare una situazione e poi dopo ci distruggerà.
  • Fin dall’asilo la propaganda ti inculca l’idea che un uomo deve servire la propria patria, e così inizi inconsciamente a identificarti come un difensore del Paese. Esiste anche una festività, il 23 febbraio, in cui questo ruolo viene celebrato. A scuola studiavamo un manuale per imparare le tecniche militari. Allo stesso modo, già in addestramento non credevo a quello che ci raccontavano. Conosco bene l’Islam, mio fratello è musulmano, ma loro strumentalizzavano il racconto, per portarci a odiare, a giustificare la guerra.
  • [Su Gino Strada] Lui era contro la guerra, perché l’ha vissuta. E anche io sono così.
  • Il problema è che ci sono persone che pensano ancora che la guerra risolva le cose. La guerra è una cattiva madre. Ci sono persone che ci guadagnano con la guerra. Ho vissuto 5 conflitti e posso dire che le guerre finiscono tutte con un accordo. Per evitare i massacri usiamo la diplomazia, non le armi!
  • Siamo in guerra ora, ma questo va avanti da anni. Perché non abbiamo iniziato a muoverci prima a livello diplomatico? Perché ci vuole volontà e la capacità di applicare potere su scala internazionale. La tragedia dell’Europa è che non abbiamo politici forti, né indipendenza. Non parlo solo della dipendenza energetica dalla Russia, ma anche culturale, dall’egemonia statunitense. Siamo tra incudine e martello.

Putin – L'ultimo zar[modifica]

Incipit[modifica]

Sta accadendo per davvero: la guerra è tornata prepotentemente e insopportabilmente vicino a noi. Dentro l'Europa? Appena fuori dall'Europa, sotto il naso di un paese che sogna gli antichi fasti? È proprio questo uno dei motivi del contendere. Stavolta, la guerra, non è più un'idea da salotto. Non una possibilità, o una minaccia velata; è una realtà che entra nelle nostre case, nelle immagini strazianti che arrivano: missili che colpiscono palazzi in cui vivono uomini, donne e bambini. Sparatorie in strada, esplosioni nelle città, abitanti che al suono delle sirene si riversano, come formiche impazzite, nelle cantine, nei rifugi improvvisati, nelle fermate della metropolitana, nei vagoni fermi. Centinaia di morti, non solo tra i soldati, sangue sulle strade, code ai confini con la Polonia per grandi esodi di massa. Professionisti, operai, universitari che corrono ad arruolarsi per difendere il loro paese. File di carri armati, file di molotov pronte, file di trincee fisiche e immaginarie, file di persone davanti ai negozi, file di volontari pronti a dare il sangue per i feriti. Poi il coprifuoco e il silenzio totale. Il silenzio della paura. Il rumore della guerra. La guerra della Russia di Putin contro l'Ucraina di Zelenskij.

Citazioni[modifica]

  • Putin è un serpente, è un meditativo, non si fida delle persone, prende le sue decisioni da solo. Prende le informazioni che gli servono da chi gli è attorno. Ma ultimamente, a causa del sistema obsoleto della burocrazia che gli è vicina, l'informazione viene filtrata in modo ambiguo. (p. 6)
  • [Sulla guerra del Donbass] Da otto anni non si affrontano le questioni di fondo della vita delle persone oppresse nel Donbass (circa 14.000 morti), che sono a maggioranza russa. L'Occidente si comporta in maniera ipocrita, mostrando le immagini dei civili morti per l'attacco russo all'Ucraina. Negli anni precedenti, però, è stato miope e inattivo nella guerra nel Donbass. (p. 8)
  • Le mancanze del governo ucraino appaiono evidenti. Dopo l'indipendenza non c'è stato un rinnovamento della classe politica. La nomenklatura ha cambiato semplicemente abito. È passata dal comunismo a uno status di neo-oligarchia che ha approfittato delle ricchezze ucraine senza preoccuparsi del benessere del paese. (p. 9)
  • Con il suo nome, in Russia, è designato uno dei più lunghi e dinamici periodi della storia contemporanea. Putin è santificato da milioni che vedono in lui il messia sceso in Terra con il compito di portare rimedio ai mali del mondo, mentre altri milioni lo detestano e lo temono come se fosse un tizzone d'inferno. Di certo, è stato il primo uomo politico dopo Stalin a meritare, presso il popolo russo, la nomea di "zar". E quando ti chiamano in questo modo nel paese più vasto del mondo, dove l'intera dinastia regnante è stata affogata nel sangue e che per settant'anni è stato poi dominato dalla rigida dottrina comunista bolscevica, questa semplice parola di tre lettere assume una tale dimensione mastodontica, che solo a pensarla viene un capogiro. (p. 15)
  • In quasi tutti i suoi discorsi pubblici, parlando ai russi con quella sua aria familiare, con quel suo lessico intriso del gergo di strada che arriva dritto al cuore di ogni cittadino, Putin espone infaticabilmente la propria visione della democrazia; oppure, da abile oratore, dipinge per i propri interlocutori magnifiche visioni di quella forma di democrazia alla quale, secondo lui, si ispira la Russia moderna nel proprio percorso storico. Ciò che conta per Putin è chiamarla sempre e comunque "democrazia": che poi nei fatti si tratti di una sua versione piuttosto autoritaria... be', non è detto che questo dispiaccia ai suoi cittadini. (p. 19)
  • Ovviamente, nell'URSS non esistevano ufficialmente i ceti sociali, perché il comunismo non ne riconosceva soltanto uno: il proletariato. Ma nella realtà quotidiana le cose andavano diversamente: qualcuno stava meglio degli altri, i più ricchi cercavano la compagnia dei propri simili, frequentavano i locali più cari e raffinati, si potevano permettere anche una certa apertura culturale, mentre i lavoratori semplici, quelli che sgobbavano nelle fabbriche per uno stipendio medio, vivevano nel loro mondo. Nonostante l'ideologia, insomma, anche durante il periodo sovietico il reddito era uno dei criteri che definivano la posizione dell'individuo nella società. Tuttavia, se non altro, lo stato cercava di organizzare la vita dei cittadini in modo da evitare la formazione di ghetti, perciò era normale che nello stesso stabile abitassero il direttore della fabbrica e i suoi lavoratori. (pp. 21-22)
  • Putin non è una persona finita per caso ai vertici della politica, non è un miracolo da Eltzin, da Berezovskij o da altri oligarchi. È arrivato alla sua posizione facendosi strada con i denti, i pugni e i gomiti, passando sulle teste e calpestando senza pietà gli avversari sconfitti, rispettando negli altri la forza e la lealtà, disprezzando la debolezza e il tradimento, come può fare solo chi ha imparato egregiamente gli insegnamenti che offre la strada. (p. 46)
  • Ma se le discipline di lotta tradizionali, e specialmente le arti marziali provenienti dall'Oriente, si fondano su una solida integrazione tra l'aspetto comportamentale, la filosofia, l'etica e la morale, il sambo sotto questi aspetti era decisamente carente e non poteva nemmeno rifarsi a qualche nobile tradizione, a radici affondate in qualche cultura millenaria e che rimandassero a correnti religiose, artistiche, letterarie o filosofiche. Si trattava di uno sport bello e molto efficace, certo, ma gli mancava quell'elemento ancestrale e romantico che tanta presa ha sui giovani e sui loro animi sensibili e affamati di scoperte. Diciamo che praticando il sambo i ragazzi potevano acquisire una preparazione atletica e un orientamento che risultavano preziosi a chi poi (o contemporaneamente) si dedicava a un'arte più ricercata come appunto il judo. (p. 54)
  • Bisogna sapere che all'epoca di Eltzin, uomo debole fisicamente quanto moralmente, per ottenere una concessione di vendita di una fabbrica statale, o il permesso di aprire una nuova miniera sul territorio nazionale o di svendere sottobanco le centinaia di migliaia di tonnellate di petrolio, metalli preziosi e altre ricchezze accumulate dall'URSS nel corso di decenni, era sufficiente presentarsi armati di racchetta da tennis a uno dei suoi appuntamenti sportivi e lasciarsi sconfiggere da quel lento e scoordinato individuo che per qualche motivo credeva di essere un tennista talentuoso. Tra gli oligarchi circolava la battuta secondo cui, per avere successo negli affari in Russia, la cosa più difficile era perdere a tennis con "l'alcolizzato", come era soprannominato (da tutto il paese!) il presidente. (p. 55)
  • Mentre circa il settanta per cento delle abitazioni era carente di acqua potabile, i sovietici si concentravano sulla conquista dello spazio e inviavano la più grande nave rompighiaccio al mondo a propulsione nucleare a esplorare l'Artico. Nella zona degli Urali e in quella dell'immensa Siberia non esistevano strade decenti, ma enormi quantità di denaro pubblico venivano spese in ricerche e tecnologiche finalizzate allo sbarco sulla Luna. Il novantacinque per cento del budget del paese era destinato all'industria bellica, tecnologie nucleari comprese. Tutte le grandi opere, a cominciare dalle grandi autostrade che tra enormi difficoltà verso la metà degli anni Settanta collegarono decentemente le regioni di quell'enorme territorio, per finire con le centrali idroelettriche, termoelettriche e nucleari, furono realizzate in larga misura grazie all'impiego di forza lavoro gratuita: quella dei militari, degli studenti volontari e dei detenuti nelle strutture di rieducazione. (pp. 59-60)
  • [Sulla dissoluzione dell'Unione Sovietica] Improvvisamente la componente ideologica era svanita, come se non fosse mai esistita, e le masse si trovarono non solo senza leader capaci di indicare una strada e garantire i più basilari diritti sociali, ma anche, e d'improvviso, senza l'intero sistema che per tutti aveva rappresentato l'unico modello di vita possibile. La corsa al modello occidentale, interpretato, copiato e applicato con frenesia senza comprenderne la complessità, come se si trattasse semplicemente di cambiare il colore alle pareti di casa, creò i presupposti per una crisi tale da far pesare le sue conseguenze negative ancora oggi, a distanza di trent'anni. Il senso d'idiozia che scosse il paese socialista si racchiude benissimo nella metafora che circolava tra le masse, una sorta di perfetto slogan del suicidio collettivo in atto: «L'acqua della fontanella sovietica è gratuita e di tutti, però la Coca-Cola ha lo zucchero e le bollicine». (pp. 91-92)
  • [Sul putsch di agosto] In quei giorni, le emittenti televisive e radiofoniche smisero di dare notizie. Tutti i canali trasmettevano solo programmi culturali: in tv mandavano in loop il balletto, in radio si ascoltavano opere e musica classica. «Ha vinto Chaikovskij!» scherzava la gente... (p. 103)
  • [Sulla guerra di Transnistria] La guerra civile nella mia Transnistria, nel 1992, fu il primo conflitto armato su scala militare, il cui obiettivo era una vera e propria pulizia etnica ai danni dei russi, di chi culturalmente apparteneva al mondo russo e di tutti coloro che erano rimasti fedeli alle idee del mondo sovietico. Anch'io vidi montare quell'odio. I miei ricordi d'infanzia sono quelli di una scuola (e di una comunità) multietnica; noi bambini non avremmo mai chiesto a un nostro compagno: «Di che razza sei?». Non ci passava proprio per la mente. Anzi: avere amici di altre etnie, tanto più se di altre religioni, era un valore aggiunto, perché alle tue feste comandate si aggiungevano le loro, e quindi c'erano più occasioni per fare baldoria. Per i ragazzi era divertente. Poi cominciarono i pregiudizi antirussi e in Moldavia prese piede un partito nazionalista, ben sovvenzionato dall'Occidente. Volevano entrare nella NATO, pensavano che con l'aiuto degli Stati Uniti il paese sarebbe diventato una specie di paradiso fiscale: fantasie del genere. Ma soprattutto tanti moldavi, giustamente stanchi della vita condotta negli ultimi anni sotto il regime sovietico, davano la colpa delle loro miserie ai russi. Successe la stessa cosa in diverse piccole repubbliche e regioni etniche (Cecenia, Kazakistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Ossezia, Armenia...): l'odio nei confronti del "sistema" si trasformò in nazionalismo, sfogo naturale per coloro che così potevano dare una spiegazione al disastro che stavano attraversando. (pp. 121-122)
  • [Sul disastro di Černobyl'] Il popolo sovietico per generazioni ha sgobbato disperatamente, vivendo la sua misera vita escluso dal resto del mondo, mentre il Comitato centrale destinava quote enormi del bilancio alle spese militari. La retorica comunista spiegava ai cittadini che dovevano stringere i denti, lavorare sodo e resistere nelle difficoltà perché avevamo bisogno di costruire sistemi sofisticati per difenderci dai missili statunitensi ed evitare l'apocalisse nucleare sul nostro territorio, ma alla fine l'apocalisse l'ha causata un gruppo di imbecilli altolocati. (p. 124)
  • Eltzin era arrivato al potere sull'onda dell'euforia che accompagnava il crollo dell'URSS, e i cittadini si attendevano da lui il benessere e la miracolosa trasformazione della società in qualcosa di simile al modello occidentale. Ma il brusco crollo dell'economia aveva spazzato via quella classe media sovietica che nonostante tutto conduceva una vita relativamente agiata, e trasformato la maggior parte dei cittadini in miserabili, esposti alle minacce del nuovo mondo, privi delle sicurezze sociali alle quali l'URSS li aveva abituati, indifesi di fronte alle speculazioni delle nuove élite politiche ed economiche che razziavano il paese. Il contrasto tra la miseria delle masse e l'osceno arricchimento degli oligarchi che si comportavano come feudatari medievali, abbassò drasticamente la popolarità del presidente Eltzin, dei suoi programmi politici e del suo concetto di democrazia. Il popolo voleva un cambiamento, e in varie parti del paese pericolose tendenze estremiste mandavano segnali preoccupanti. (pp. 134-135)
  • [Sulla seconda guerra cecena] A differenza della prima guerra cecena di pochi anni precedente, poco popolare e spesso duramente criticata dai russi, il secondo conflitto godette di un grande consenso. La lotta contro il terrorismo fu, lo si può dire con certezza, il primo progetto a livello nazionale a dare a Putin un'incredibile popolarità, trasformandolo in un idolo di fronte alla schiacciante maggioranza degli elettori. (p. 141)
  • Putin non era un grande riformatore, non lo è mai stato. Sfruttò con abilità quel che nel paese era già stato fatto prima di lui, creando però una nuova (e, dal punto di vista politico, curiosa e contraddittoria) simbiosi tra il capitalismo, l'economia liberale d'ispirazione occidentale, e l'impronta autoritaria dello "stato forte". I mali del paese, dunque, migrarono semplicemente nel nuovo secolo: in primis l'oligarchia con le sue ovvie conseguenze quali la corruzione, il cinismo delle élite finanziarie che distruggevano la morale (e il morale del popolo), l'assenza di libertà primarie come quella di parola, schiacciata sotto il peso dei mass media soggiogati alle regole del mercato. Certo, non si può incolpare Putin per non aver cambiato il sistema: sarebbe come pretendere che una persona cambi lo sgabello sul quale sta in piedi, con le mani legate e la corda al collo. Putin, per quanto autoritario e forte possa apparire, è pur sempre legato a un certo tipo di economia che non potrà mai rivoluzionare, perché ciò metterebbe in difficoltà lui e il potere che rappresenta. (p. 161)
  • Un'altra grave mancanza è che Putin non ha mai davvero provato a risolvere il problema della corruzione. Durante il primo periodo della sua presidenza era ovvio che le priorità fossero diverse: bisognava sconfiggere il terrorismo in Cecenia, impostare il lavoro del governo per realizzare i programmi di politica interna ed estera, affrontare i problemi ereditati dal precedente governo, che in meno di dieci anni aveva sepolto il paese. Però, con il passare degli anni, mentre i problemi interni venivano risolti e sembrava che nulla più impedisse al presidente di iniziare un programma di lotta contro i politici e gli amministratori corrotti, Putin aveva sempre qualcosa di più importante da fare. Forse le ragioni di questa "distrazione" sono nascoste nel suo passato, o forse il presidente teme di svegliare un vespaio pericoloso persino per lui. (p. 164)
  • La corruzione, indubbiamente, sarà tra i fattori principali con cui gli storici futuri descriveranno il periodo del "putinismo". I nostri discendenti ci ricorderanno come una società soggiogata da una lobby di oligarchi e governata da politici in simbiosi con la finanza corrotta. La cosa più preoccupante è che ormai tutto ciò viene percepito come normale. (p. 166)
  • La prima guerra cecena fu una dura prova, e la dimostrazione che la macchina bellica del grande paese non era in grado di risolvere nemmeno una situazione locale. Una struttura ingombrante, mal organizzata, con enormi problemi logistici e corrotta fino al midollo: così si presentava l'esercito russo in quei primi anni Novanta. (p. 168)
  • La Chiesa ortodossa russa ha una lunga storia di rapporti con lo stato repressivo sovietico, tanto che i rappresentanti di altre Chiese ortodosse la considerano una deviazione infamante. (p. 172)
  • Il patriarca Kirill, persona di grande cultura, con la spiritualità cristiana ha poco a che fare, tant'è vero che nel giro di pochi anni dalla nomina cominciò a comportarsi pubblicamente come uno degli oligarchi della cerchia del presidente, spesso mostrando con piacere ai giornalisti i suoi lussuosi orologi e lasciandosi fotografare mentre scorrazza in mare sulla sua barca di lusso. Comunque, i rapporti tra lui e Putin negli ultimi anni sono peggiorati, in parte perché appunto Kirill non si comporta come un "papa russo" e in parte perché i suoi appetiti sono aumentati eccessivamente, e le sue continue richieste di ogni genere al governo hanno talmente infastidito i "piani alti" che persino uno dei più fidati uomini di Putin, Dmitrij Medvedev, quando era ancora premier, proibì ai propri collaboratori di rispondere alle sue telefonate. (p. 173)
  • L'unica cosa importante che le élite al governo in Russia sembrano non capire è che non si può proporre per due decenni lo stesso identico programma solo perché questo, vent'anni fa, era popolare. Sembra che il tempo non scorra, all'interno delle prestigiose mura del Cremlino: le persone che lavorano in quel luogo sembrano non cambiare, non evolvere, non accorgersi che il pasese che governano (così come il resto del mondo) è mutato radicalmente. Le masse sono stanche dei rendiconti in stile nordcoreano che arrivano dalle faraoniche riunioni del partito Russia Unita, non ne possono più dei notiziari impostati sulla linea editoriale "lui, sempre lui". La gente non riesce a capire perché di nuovo, come durante gli anni dell'URSS, si debba vivere sotto la costante pressione ideologica che insegna che il resto del mondo è nemico, che tutti ci odiano perché siamo il paese più ricco e più bello al mondo – stranamente, però, pur esportando gas a migliaia di chilometri di distanza, abbiamo ancora il settanta per cento delle case e delle infrastrutture in Siberia (patria di quel gas) che si scaldono con la legna. (p. 179)
  • Amata da tutto il paese, negli ultimi anni Tereshkova si è avvicinata al partito di Putin, Russia Unita, con il quale è stata eletta a deputato. In realtà, la sua attività è pari a zero: è solo una delle figure storiche dell'URSS "acquistate" dal potere per essere impiegate nella propaganda. Prima del suo discorso alla Duma, l'unica volta in cui l'ex cosmonauta si era esposta pubblicamente fu all'inaugurazione di un ponte nei pressi della città di Yaroslavl', peraltro crollato miseramente dopo pochi mesi. (p. 183)
  • Il fatto è che, a differenza degli oppositori del passato, come Boris Nemtzov, che aveva tutte le doti del politico, Aleksey Navalny è invece un uomo lontano dalla politica seriamente strutturata e non è in grado di rappresentare un modello alternativo al governo in carica. È senz'altro un bravo comunicatore, che abilmente sfrutta la rete e denuncia coraggiosamente alcuni scandalosi casi di corruzione all'interno dell'apparato governativo. A volte riesce a stuzzicare qualche pezzo grosso, suscitandone l'ira, ma il suo lessico politico è costruito in gran parte su concetti fondamentalmente populisti, riduttivi dal punto di vista intellettuale, limitati soprattutto per quello che riguarda le implicazioni relative agli aspetti amministrativi. La sua visione è poi totalmente carente di linee guida nella politica estera, nemmeno un accenno. E la politica estera, per un paese come la Russia, specialmente nell'attuale situazione geopoilitica, è di importanza vitale, per non dire assoluta. (p. 195)

Explicit[modifica]

Siamo entrati nel nuovo secolo ancora troppo giovani, ma già con un enorme bagaglio di esperienze alle spalle. L'inizio della presidenza di Vladimir Putin per molti di noi ha coinciso con il momento in cui dovevamo decidere cosa fare della nostra vita. La sua figura e la sua retorica politica per molti di noi rappresentavano l'unico reale modello di comportamento politico, l'unica speranza per un futuro migliore. Negli anni abbiamo imparato a rispettarlo, abbiamo cercato di capirlo e soprattutto abbiamo creduto ciecamente nella sua visione del futuro, nella sua voglia di migliorare la vita della nostra patria.
Però. Però sono passati vent'anni, oggi siamo quarantenni, abbiamo famiglie, viviamo le nostre quotidianità spesso banali, a volte complicate, e la linea politica di Putin rimane sempre la stessa, immutabile, disperatamente stagnante mentre il mondo attorno cambia drasticamente, ogni giorno sempre di più.
E a volte, quando guardo i notiziari della tv russa, mentre la conduttrice con voce angelica racconta dell'ennesimo missile nucleare che abbiamo costruito, ancora una volta più potente e più distruttivo di quelli degli altri paesi, ennesima dimostrazione della nostra supremazia, i miei occhi leggono il testo del messaggio che scorre nella striscia in basso sullo schermo: dice che un bambino in qualche regione sperduta della nostra grande patria sta morendo di una terribile malattia che la nostra medicina non è in grado di affrontare, quindi viene richiesto un aiuto, un sms, per portare quel bambino negli Stati Uniti, oppure in Germania, dove potrà essere curato. E allora sento qualcosa rompersi dentro di me, come se in quel momento, e ogni volta, prendessi coscienza di appartenere a una generazione di persone usate, derise e tradite dai rappresentanti del potere che governa la loro patria.

Citazioni su Nicolai Lilin[modifica]

  • Gli scrittori russi contemporanei sono periferici rispetto all'interesse del lettore occidentale. A dire il vero, è la Russia a essere percepita come una noiosa periferia, anche se molto estesa. Emblematico è il fenomeno dello scrittore Nikolaj Lilin, le cui opere sono accolte trionfalmente in Occidente. Ma la Cecenia e le galere siberiane che racconta mi ricordano le avventure del barone di Münchhausen, capace di mirabolanti frottole: ma tutti, o quasi tutti, gli credono. [...] Ma siamo impazziti? La Russia sarà pure un Paese selvaggio, ma da noi è impossibile immaginare il romanzo di uno scrittore contemporaneo tedesco che racconti di come, nei boschi presso Berlino, si nasconda un reparto di ex SS, che insieme ai figli e ai nipoti, sulle note di Wagner e battendo il tamburo, rapinano i treni in transito. Ed è altrettanto impossibile immaginare che i lettori russi ci caschino e gli editori scrivano in copertina: «Ecco i figli del lupo della steppa, è più forte del Faust di Goethe». Oppure proviamo a immaginare che in Russia arrivi uno scrittore francese di 22 anni e cominci a raccontare di essere stato tiratore scelto in Algeria o guastatore in Iraq, dove è riuscito a catturare uno dei figli di Saddam, e adesso scrive un libro in cui i commandos francesi mangiano rane e compiono prodezze straordinarie. E che gli pubblichino le sue storie dicendo «Finalmente un autore degno di Dumas e di Saint-Exupéry». (Zachar Prilepin)

Paolo Bianchi[modifica]

  • Il romanzo [Educazione siberiana] sembra I ragazzi della via Pal in versione splatter, con i coltelli al posto delle fionde e gli sbudellamenti all'ordine del giorno.
  • Se Nico avesse commesso tutto quello che racconta [in Educazione siberiana], sarebbe un soggetto ad alta pericolosità sociale, invece oggi è un cittadino italiano, vive a Cuneo ed esercita l'inquietante professione di tatuatore. Ma guai a dubitare della sua parola.
  • Venendo al dunque, cioè alle critiche che gli abbiamo sommessamente rivolto, il tatuatore siberiano (che però è cresciuto a tremila chilometri dalla Siberia) si è reso conto che la sua credibilità di delinquente rischiava d'indebolirsi e ha assunto quello che nelle intenzioni forse voleva essere un atteggiamento da criminale incallito, ma che è sembrato più lo scatto di nervi di un teppistello colto sul fatto.

Elena Černenko[modifica]

  • Ho chiesto a Nikolai Lilin-Veržbickij che cosa pensa dei commenti dei suoi ex amici [su Educazione siberiana]. Lui ritiene che siano invidiosi: "Si sentono offesi e inferiori. Io sono riuscito ad andarmene e a ottenere qualcosa, e loro no." Però chiacchierando con me – a differenza che nelle interviste ai giornalisti occidentali – ha sottolineato ripetutamente che il suo libro non è un'autobiografia e che a collocarla come tale sono i suoi editori occidentali. Mentre lui non c'entra niente.
  • L'autore insiste che il libro [Caduta libera] è basato sulla sua esperienza personale di combattente in Cecenia. Nell'intervista a Ogonëk ha detto di aver partecipato alla seconda guerra cecena, ma si è rifiutato di dare dettagli. E le fonti del Ministero della Difesa affermano che in Cecenia non c'è mai stato un soldato di nome Lilin o Veržbickij.
  • Se si uniscono i dati [di Educazione siberiana], delle sue interviste sulla stampa occidentali e dei suoi interventi alle fiere librarie, prima dei 23 anni l'autore ha fatto in tempo a: finire due volte in carcere in Transnistria ed essere processato in Russia, militare per tre anni come cecchino in Cecenia e un altro paio d'anni in Israele, Iraq e Afghanistan. A 24 anni ha fatto il pescatore su una nave in Irlanda, poi si è trasferito in Italia, dove si è sposato, ha aperto un salone di tatuaggi, ha scritto un bestseller e per poco non è diventato vittima di un attentato con motivazioni politiche.

Anna Zafesova[modifica]

  • Bendery è una città piccola, 80 mila abitanti dove tutti si conoscono. Conoscono anche Nicolai (anche se all'epoca portava un altro cognome), si ricordano i suoi genitori e il nonno Boris, «grande persona, ha lavorato fino all'ultimo», dice un coetaneo dello scrittore. Si frequentavano quando erano ventenni, è stato anche a casa sua: «Non c'erano icone, né armi, nessun oggetto "siberiano". Lui era uno curioso, leggeva molto». Nulla di criminale? «Mai sentito che fosse stato in galera, anzi si diceva che a un certo punto si fosse arruolato nella polizia».
  • Secondo Lilin, gli Urca sarebbero una minoranza etnica «discendente degli antichi Efei» che viveva di caccia e rapina e che dalla Siberia venne deportata in Transnistria negli anni '30, quando era parte della Romania (sarebbe stata annessa all'Urss nel 1940, nella spartizione dell'Europa tra Stalin e Hitler). Così i comunisti avrebbero popolato «l'impero romeno», come lo chiama lo scrittore, di criminali russi sconfiggendo le cosche locali. «Assurdo», ride Pavel Polian, storico russo che da 25 anni studia le deportazioni di comunismo e nazismo: «Si deportava in Siberia, ma non dalla Siberia, meno che mai in Moldova. E gli Efei non sono mai esistiti».
  • Secondo Lilin l'esistenza stessa degli Urca era un segreto del regime. Una comunità quasi estinta, che aveva lasciato un segno profondo, vincendo da sola la guerra del 1992, quando la Moldova in preda a bollenti spiriti postsovietici ha invaso la provincia separatista. In Educazione siberiana si narra del trionfo dei «siberiani», riusciti a far esplodere uno dei due cinema di Bendery pieno di militari. Marian Bozhesku, ricercatore ucraino autore di Transnistria 1989-1992, lo studio più esaustivo sul conflitto, dice di non averne mai sentito parlare. «Per noi il ricordo della guerra è ancora vivissimo, abbiamo combattuto disperatamente, dire che sono stati i criminali a vincerla è ridicolo», s'indigna Denis Poronok, che ha la stessa età di Lilin, 31 anni, e contesta la «versione di Nicolai»: «Il cinema esploso è una fiaba, e nel '92 a Bendery c'erano quattro sale, non due».

Bibliografia[modifica]

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