Ittero

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Caso di ittero

Citazioni sull'ittero.

  • Amo quella bile che tinge il bulbo oculare, | non immagini il brivido che mi dà. (Caparezza)
  • Del pari è molto noto quel morbo che talora è chiamato arquato, altre volte regio; circa il quale Ippocrate disse che se sviluppasi al settimo giorno della febbre non sia pericoloso, purché gl'ipocondrii si conservino cedevoli; Diocle sostenne che l'itterizia sia anche utile se manifestasi dopo la febbre; ma se la febbre sopravviene all'itterizia, allora uccide l'infermo. Questa malattia è resa manifesta dal colore soprattutto degli occhi, in cui la parte bianca si fa gialla. Ordinariamente vi si aggiugne la sete, il dolor di capo ed il frequente singhiozzo, non che una certa durezza all'ipocondrio destro, e quando il corpo esegue un moto veemente si manifesta la difficoltà di respiro, e l'infiacchimento degli arti; ed inoltre quando la malattia si prolunga tutta la superficie del corpo diviene in certo modo di bianco pallido. (Aulo Cornelio Celso)
  • Il morbo regio è cosa mirabile, specialmente quando vien negli occhi; che certo è gran maraviglia come fra tanta sottigliezza e densità di pannicoli si soppiati il fiele. Ippocrate insegnò che la febbre dopo il settimo giorno è segno mortale. Ma noi abbiamo veduti di quei che avean questo segno, e non son morti. Viene ancora senza febbre, e lo guarisce, come dicemmo, la centaurea maggiore in bevanda, la bettonica, non che tre oboli d'agarico in un bicchiere di vin vecchio, ovvero la foglia di verbenaca in un'emina di vin caldo per quattro giorni. (Plinio il Vecchio)
  • L'itterizia è quella malattia che può essere diagnosticata dai propri amici. (William Osler)
  • – Temo che Fry abbia perso troppo succo, ha sviluppato l'itterizia dei Simpson.
    – Ciucciami il calzino!
    – La sua sola speranza è un trapianto di fegato, tu sembreresti compatibile. (Futurama)

Areteo di Cappadocia[modifica]

  • Esso non deriva solo, come opinano alcuni dei medici; da un vizio del fegato; ma e il ventricolo e la milza, e i reni e le intestina tenui vi sono immischiate. Imperocchè se il fegato sia attaccato da flemmone e da scirro, non è però sempre impedito nel suo officio di creare la bile, ne la cistifella in lui riposta lascia di segregarla e raccoglierla. Ma se i meati, che conducono questo umore al duodeno, sono obliterati per flemmone o per scirro, la bile trasuda ed è indietro respinta: si mescola allora col sangue, il quale irrigando lutto il corpo, e portandosi seco l'umore, lo diffonde per tutte le membra, e cosi ne viene quel coloramento in giallo, che caratterizza la malattia. Le materie fecali sono bianchicce simili all'argilla, perché mancano di essere irrorate e colorate dalla bile.
  • Manifestissimo è il giallore che si genera nell'albuginea degli occhi: e nella fronte verso le tempia, sopra quelli di bianca carnagione, al più leve grado della malattia, apparisce assai notabile il colore itterico. In quelli che sono affetti dalla itterizia nera, nelle medesime parti scorgerai il colore atro-verdastro. Questi si raffreddano, sono languidi, inerti, tristi, di animo avvilito, ed esalano un disgustoso fetore: ogni sapore sente loro di amaro: respirano con molestia: sentono un dolore, un morso allo stomaco: i loro escrementi sono porracei, neri, aridi, stentati. Le urine sono assai colorale, e quasi fuliginose. Quindi paiono indigestioni, inappetenze, vigilie, tristezza, melanconia.
  • Quando per tutto il corpo, dal viscere che ne è il secretore, si disperda una bile gialla, o ranciata, o crocea, o nericcia, o verdognola; questa malattia dai Greci si chiama Ictero, dai Latini Morbo Regio o anche Arquatus e Auriga. Anche ne' mali acuti questo fenomeno è sempre grave; perocché non solo comparendo avanti il settimo, ma anche dopo, moltissimi condusse a morte: e rare volte fu buon segno verso gli estremi della febbre, e non si ottenne che di rado con facilità la sua scomparsa.

Ippocrate[modifica]

  • Gli itterici non sono molto flatulenti.
  • Negli itterici il fegato sclerotico è pericoloso.
  • Nelle febbri, se l'ittero sopravviene al settimo, al nono, all'undicesimo o al quattordicesimo giorno, è un buon segno, a meno che l'ipocondrio destro non diventi duro: altrimenti è un cattivo segno.
  • Quando l'ittero sopravviene nelle febbri prima del settimo giorno, è un cattivo segno, a meno che non vi siano scariche acquose dagli intestini.

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