Aulo Cornelio Celso

Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.
Aulo Cornelio Celso

Aulo Cornelio Celso (25 a.C. – 50 d.C.), enciclopedista e medico romano.

De medicina libri octo[modifica]

Incipit[modifica]

Come l'Agricoltura porge alimenti a' corpi sani, del pari la Medicina prometti agli infermi la sanità. E dessa trovasi così costantemente per tutto, che anche le genti ignorantissime conobbero alcune erbe, e qualche altro ovvio rimedio, da apprestarsi in soccorsi delle ferite e de' morbi. Nondimeno appo i Greci venne un cotal poco più che in altre nazioni coltivata; e neppue appo questi fin dalla prima origine, sibbene pochi secoli innanzi la nostra età, tal che Esculapio viene celebrato come Autore antichissimo. Il quale perché con alquanto d'ingegno più sottile coltivò questa scienza ancora rozza o volgare, venne nel numero degl'Iddii ricevuto.

Citazioni[modifica]

  • Il primo fra tutti gli uomini memorandi che avesse separato la medicina disciplina dallo studio della sapienza è stato Ippocrate di Coo, discepolo di Democrito, a sentenza di alcuni; uomo e per arte e per eloquenza insigne. (libro I, prefazione, p. 76)
  • I dolori articolari poi, sia che avvengono alle mani, sia a' piedi, sia in qualunque altra parte, in modo che vi succeda la contrazione de' tendini; ovvero cotale arto si stanca ad ogni lieve cagione, ed è al pari tormentato dal caldo e dal freddo, si può prognosticare la podagra, o la chiragra, o altro vizio nell'articolazione nella quale siffatti incomodi dolori si provano. (libro II, capitolo VIII, p. 110)
  • [Riferito alla gotta] L'urina densa poi con sedimento bianco, dà indizio soffrirsi alle articolazioni o ai visceri, ed esservi timore di malattia. (libro II, capitolo VIII, p. 111)
  • Il singhiozzo frequente, ed oltre l'usato continuo, è indizio d'infiammazione del fegato. (libro II, capitolo VIII, p. 111)
  • Se soffrivansi emorroidi fluenti e queste in un tratto si sopprimono, si può andar soggetto all'idropisia ed alla tabe. (libro II, capitolo VIII, p. 112)
  • Anche nella tisi potrà salvarsi colui che avrà uno sputo bianco, omogeneo, di colore uniforme e senza pituita; e della stessa natura conviene che sia quello che dal capo distilla nelle narici. (libro II, capitolo VIII, p. 114)
  • Del pari l'epilessia che cominciò prima della pubertà, non è difficile che abbia fine; e quando la sensazione del prossimo accesso (aura epilettica) parte da un punto del corpo, è migliore se ha principio dalle mani o da' piedi, quindi se lo ha da' fianchi, e pessimo è quello che viene dal capo. (libro II, capitolo VIII, p. 115)
  • E neppur la dissenteria è pericolosa, quando si evacua sangue e raschiatura d'intestini senza febbri, e senza gli altri fenomeni, che sogliono accompagnarle; così che in questo caso anche una gravida può non solo superare il morbo, ma perfino evitare l'aborto. È circostanza favorevole in questo morbo se l'individuo sia alquanto attempato. (libro II, capitolo VIII, p. 115)
  • Fra' vini è più sostanzioso quello raccolto in un suolo benigno che in un terreno leggero; più quello di un clima temperato, che quello raccolto in un luogo umido, o troppo secco, troppo freddo, o troppo caldo. (libro II, capitolo XVIII, p. 134)
  • I segni poi dell'infiammazione sono quattro, il rossore, ed il tumore, il calore, ed il dolore.[1] (libro III, capitolo X, p. 157)
  • I brividi di freddo precedono soprattutto quelle febbri, che hanno un periodo definito e rimettono compiutamente e però sono più sicure e danno più luogo all'azione de' rimedii. (libro III, capitolo XII, p. 158)
  • Bisogna innanzi tutto esaminare se coloro che sono preoccupati da un'idea dominante, sieno tristi o allegri; perché nel primo caso giova purgarli coll'elleboro nero, nel secondo conviene provocare il vomito coll'elleboro bianco, e se ricusano di prenderlo in bevanda si riunisce al pane, perché più facilmente sieno gabbati. Imperocché ove questi rimedii produrranno un'evacuazione abbondante il morbo ne sarà in gran parte alleviato. E però anche se la prima volta l'elleboro avrà poco giovato, bisogna ripeterlo dopo qualche tempo. (libro III, capitolo XVIII; p. 166)
  • La terza specie è la più pericolosa di tutte, ed è chiamata da Greci tisi. Ha origine quasi sempre dal capo, indi la distillazione passa al polmone, e ne segue l'ulcerazione di quest'organo, dal che sorge una leggera febbretta, la quale, anche cessando, ricomparisce, si manifesta tosse frequente, e vi è espettorazione marciosa e talvolta ancor sanguigna, e talvolta ancora sanguigna. Se la materia espettorata si pone sul fuoco esala un cattivo odore; e perciò coloro che dubitano della natura della malattia fanno uso di questo segno. (libro III, capitolo XXII, p. 174)
  • Fra' morbi conosciutissimi avvi anche quello chiamato comiziale o maggiore. L'uomo che n'è sorpreso in un subito stramazza; caccia schiuma dalla bocca; e quindi dopo qualche tempo ritorna in sé, e si rialza da lui solo. Esso travaglia più spesso gli uomini che le donne. In genere suol essere cronico, e durare fino alla morte, senza essere pericoloso per la vita, comunque talvolta quando è recente possa anche uccidere: e spesso, quando i rimedii non lo guariscono, questo morbo viene dissipato ne' giovinetti dal primo uso de' venerei diletti, e nelle donzelle dalla comparsa de' mestrui. (libro III, capitolo XXIII, p. 177)
  • Del pari è molto noto quel morbo che talora è chiamato arquato, altre volte regio; circa il quale Ippocrate disse che se sviluppasi al settimo giorno della febbre non sia pericoloso, purché gl'ipocondrii si conservino cedevoli; Diocle sostenne che l'itterizia sia anche utile se manifestasi dopo la febbre; ma se la febbre sopravviene all'itterizia, allora uccide l'infermo. Questa malattia è resa manifesta dal colore soprattutto degli occhi, in cui la parte bianca si fa gialla. Ordinariamente vi si aggiugne la sete, il dolor di capo ed il frequente singhiozzo, non che una certa durezza all'ipocondrio destro, e quando il corpo esegue un moto veemente si manifesta la difficoltà di respiro, e l'infiacchimento degli arti; ed inoltre quando la malattia si prolunga tutta la superficie del corpo diviene in certo modo di bianco pallido. (libro III, capitolo XXIV, pp. 178-179)
  • [Sull'apoplessia] Se tutt'i membri sono fortemente paralizzati il salasso o uccide o sana; ed ogni altro genere di cura quasi mai non reintegra la sanità, spesso non facendo altro che differire la morte, rende penosa la vita. Dopo il salasso se non ritornano il movimento e la intelligenza, non vi è più speranza; ma se ritornano, può anche aspettarsi la guarigione perfetta. (libro III, capitolo XXVII; pp. 180-181)
  • La tosse poi, la quale si contrae in varii modi, quando è provocata da esulcerazioni delle fauci è quasi sempre molesta; ma cessa appena queste sono guarite. Inoltre suole talvolta per propria natura riuscir dannosa, e quando è invecchiata diffìcilmente si toglie. Essa talvolta è secca, altre volte provoca espettorazione di pituita. (libro IV, capitolo X, pp. 193)
  • Innanzi tutto convien ricordare il colera, il quale può riguardarsi come morbo comune allo stomaco ed agl'intestini. Imperocché avvi contemporaneamente scioglimento di ventre e vomito, ed inoltre vi è rigonfiamento per i fiati, e tormini intestinali, la bile esce fuori con impeto dalla parte superiore e dall'inferiore, in sul principio simile all'acqua, indi come se in essa siesi lavata la carne, talvolta è bianca, non di rado nera, o anche di svariato colore. E perciò dalla bile appunto i Greci chiamarono questo morbo coléra. Oltre a' segni de' quali sopra ho discorso, spesso ancora si aggiungono le contrazioni alle gambe o alle braccia, una sete ardente, ed i deliquii: né sorprende se concorrendo questi segni tutti, l'infermo muore in breve tempo. (libro IV, capitolo XVIII, p. 202)
  • La diarrea è malattia ancor più leggiera quando è recente. In essa le dejezioni del ventre sono più liquide e più frequenti del solito, talora accompagnate da tollerabile dolore, ed altre volte con dolore più intenso, il che la rende più grave. Ma la diarrea che dura un giorno solo spesso è in vantaggio della sanità; e talvolta giova anche quella di più lunga durata, quando non vi è febbre, e quando cessa fra sette giorni. (libro IV, capitolo XXVI, pp. 208-209)
De medicina
  • [Sull'isterismo] Le donne poi van soggette a violento male che loro viene dall'utero, il quale al pari dello stomaco o infermasi esso stesso, o fu infermare tutto il corpo. Ed arriva talvolta fino ad abbattere in modo da stramazzare l'inferma come se fosse sorpresa da morbo comiziale. Tuttavia queste due affezioni presentano tale differenza, che in questo caso né gli occhi travolgonsi, né esce schiuma dalla bocca, né avvi convulsione; ma soltanto assopimento. Questo stato ritornando frequentemente presso alcune donne rimane per tutta la vita.
  • Più frequenti poi e poi più ostinati sono i vizii delle articolazioni dei mani e piedi, che sogliono avvenire nella podagra o nella chiragra. Esse raramente si sogliono manifestare ne' castroni, ne' giovanetti prima di usare il coíto e, nelle donne, nelle quali non siensi soppressi i mestrui. Apena cominciano a sentir gl'indizi del male convien usar il salasso; poiché questo mezzo quando è eseguito sollecitamente fin dal principio, spesso rende l'infermo libero dal male per un anno, e talora anche per tutta la vita. Alcuni parimenti, essendosi alimentati di solo latte asinino, si liberarono da questo male per tutta la vita. Alcuni altri, ottenero di star tranquilli per sempre, usando temperanza per un anno intero dal vino, dal vino melato e dalla venere. (libro IV, capitolo XXXI, p. 213)
  • Il cavalcare è anche nemico a' podagrosi. (libro IV, capitolo XXXI, p. 214)
  • Dalle lesioni prodotte da cagione esterna, bisogna passare a quelle che nascono dall'interno per corruzione di qulache parte del corpo. Tra le quali non avvenne alcuna peggiore del carboncello. I suoi caratteri sono: si presenta un arrossimento sul quale appariscono pustule poco elevate, soprattutto nere, talvolta lividastre o pallide, le quali sembrano contener sanie; il colore sottoposto è nero, e l'ambito del luogo affetto è arido e più duro del normale con all'intorno una specie di crosta cinta da infiammazione; la cute della parte affetta non può distaccarsi, ma sembra quasi aderente a' sottoposti tessuti; apparisce la sonnolenza, non di raro si manifestano orripilazioni o febbre, ovvero gli uni e l'altra. (libro V, capitolo XXVIII, p. 266)
  • La scabbia poi è una scabrosità della cute, di color rosse, dalla quale nascono delle pustole alcune umide ed altre secche. Esce da alcune della sanie, la quale produce una diffusa esulcerazione pruriginosa, che in taluni serpreggia rapidamente. Inoltre in alcuni il male cessa interamente in altri ricomparisce in un certo tempo dell'anno. (libro V, capitolo XXVIII, p. 278)
  • Una terza malattia dell'ano è quella che i Greci chiamano emorroidi, e consiste in alcuni rigonfiamenti delle estremità delle vene, che estuberano come capezzoli, e spesso gemono sangue. [...] In taluni la soppressione del flusso emorroidario non è senza pericolo, perché avviene senza risentirne debolezza e quindi è da ritenersi come una purga, e non come un morbo. Per tal ragione alcuni guariti dalle emorroidi, non avendo più esito il sangue questo si getta sul petto o su' visceri, e vi produce istantanee e gravissime malattie. (libro VI, capitolo XVIII, p. 314)
  • Fa d'uopo che il Chirurgo sia giovane o prossimo alla gioventù; che sia di mano pronta, ferma e non mai tremante, e che abbia l'attitudine di servirsi non solo della destra, ma anche della sinistra mano; che abbia vista penetrante e chiara; che sia d'animo intrepido, e tanto pietoso quanto basti ad essere spinto a salvare colui che prese in cura, e non tanto da farsi commuovere in modo da usare maggiore precipitazione di ciò che conviene, ovvero di tagliare meno di quanto fa bisogno; ma tutto faccia come se non ricevesse alcuna impressione del pianto altrui. (libro VII, capitolo I, p. 318)

Citazioni sull'opera[modifica]

  • Per qual ragione è bello il Trattato di Celso, ch'è un trattato di medicina? Forse perché ha ornamenti poetici o rettorici? Anzi, prima di tutto, perché ne manca onninamente e perché ha quel nudo candore e semplicità che conviene a siffatte opere; poi perché è chiaro, preciso, perché ha una lingua ed uno stile puro. (Giacomo Leopardi)

Citazioni su Aulo Cornelio Celso[modifica]

  • C'imbattiamo finalmente in un uomo sovranamente benemerito della scienza, e degno del nome di medico; e questi è Aulo Cornelio Celso. (Angiolo Del Lungo)
  • È osservabile che in Celso nel quale è singolarmente notata e lodata la semplicità e facilità dello stile, per le quali si sarà discostato meno degli altri dal latino volgare, sono frequentissime e moltissime frasi, costruzioni, usi di parole, locuzioni ec. ed anche parole assolutamente, o prette italiane o che si accostano alle italiane io dico di quelle che comunemente non s'hanno per derivate dal latino né per comuni alle due lingue ma proprie della nostra, e che trovandole non presso Celso ma presso qualche scrittore latino moderno, le stimeressimo poco meno che barbarismi, anche presentemente, cioè non ostante che in effetto si trovino appresso Celso eccetto se non ci ricordassimo espressamente o ci fosse citata l'autorità di lui. (Giacomo Leopardi)

Note[modifica]

  1. I quattro segni elencati da Celso: rubor (rossore), calor (aumento della temperatura), tumor (gonfiore) e dolor (dolore) costituiscono ancora oggi i segni cardinali dell'infiammazione acuta. Ad essi è stato aggiunto però un quinto segno, la functio laesa, l'inibizione della funzionalità dell'area colpita.

Bibliografia[modifica]

Altri progetti[modifica]

Opere[modifica]