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Étienne de La Boétie

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Monumento a La Boétie a Sarlat-la-Canéda, sua città natale

Étienne de La Boétie (1530 – 1563), filosofo, scrittore e politico francese.

Discorso sulla servitù volontaria

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Prima pagina del Discorso sulla servitù volontaria in lingua originale
" Servir a più signori è gran follia
" Ch'un sol sia il re, ch'un sol signor vi sia[1].

Così disse Ulisse in Omero in una publica concione. S'egli altro detto non avesse, se non che: Servire a più signori è gran follia: avrebbe detto a maraviglia bene. Ma in vece di dire, come per parlare ragionevolmente avrebbe dovuto, che la signoria di molti non può esser buona, da che anche l'impero d'un solo, tosto che acquista il titolo di signoria, diventa immantinente irragionevole e ferreo, egli volle anzi soggiungnere tutto al rovescio. Ch'un sol sia il re, ch'un sol signor vi sia.
[Étienne de La Boétie, Discorso di Stefano della Boetie, della schiavitù volontaria, o il Contra uno, traduzione di Cesare Paribelli, Napoli, 1799.]

Citazioni

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  • … vorrei soltanto riuscire a comprendere come sia possibile che tanti uomini, tanti paesi, tante città e tante nazioni talvolta sopportino un tiranno solo, che non ha altro potere se non quello che essi stessi gli accordano, che ha la capacità di nuocere loro solo finché sono disposti a tollerarlo, e che non potrebbe fare loro alcun male se essi non preferissero sopportarlo anziché opporglisi. (2004, p. 4)
  • … quel che avviene in tutti i paesi, ogni giorno, fra tutti gli uomini, ossia che uno solo ne opprima centomila privandoli della libertà, chi potrebbe mai crederlo se ne sentisse soltanto parlare e non ne fosse testimone? Se accadesse soltanto in paesi stranieri e in terre lontane, e ce lo venissero a raccontare, chi di noi non penserebbe che si tratta d'invenzione, di una trovata, e non della verità? Per di più, non c'è bisogno di combattere questo tiranno, né di toglierlo di mezzo; si sconfigge da solo, a patto che il popolo non acconsenta alla propria servitù. Non occorre sottrargli qualcosa, basta non dargli nulla […] Sono dunque i popoli stessi che si lasciano incatenare, perché se smettessero di servire, sarebbero liberi. È il popolo che si fa servo, che si taglia la gola da solo, che potendo scegliere tra servitù e libertà, rifiuta la sua indipendenza e si sottomette al giogo; che acconsente al proprio male, anzi lo persegue. (2004, p. 7)
  • … i tiranni quanto più saccheggiano tanto più esigono; quanto più devastano e distruggono tanto più ottengono, quanto più li si serve tanto più diventano potenti, forti, per tutto annientare e distruggere. Ma se non si dà loro più niente, se non si presta loro obbedienza, senza bisogno di combatterli e di colpirli rimangono nudi e sconfitti, ridotti a un niente, proprio come il ramo che, non ricevendo più linfa e alimento dalla radice, inaridisce e muore. (2004, p. 8)
  • Eppure questo vostro padrone che vi domina ha soltanto due occhi, due mani, un corpo, niente di diverso da quanto possiede l'ultimo abitante del grande e sconfinato numero delle vostre città, eccetto i mezzi per distruggervi che voi stessi gli fornite […] Decidete una volta per tutte di non servire più, e sarete liberi. (2004, pp. 9-10)
  • … credo sia fuori dubbio che se vivessimo secondo i diritti che la natura ci ha dato e conformemente ai suoi insegnamenti, saremmo naturalmente sottomessi ai nostri genitori, soggetti alla ragione, e servi di nessuno […] come possiamo dubitare di essere tutti liberi per natura, dato che siamo tutti uguali? A nessuno può venire in mente che la natura, che ci ha fatti tutti uguali, abbia costretto qualcuno in servitù [...] Ne consegue quindi che la libertà è un diritto naturale, e a mio avviso bisogna aggiungere che siamo nati non solo padroni della nostra libertà, ma anche inclini a difenderla. (2004, pp. 10-12)
  • Ebbene […] quale sventura ha potuto snaturare tanto l'uomo […] e fargli perdere il ricordo del suo stato originario e il desiderio di riacquistarlo? […] Certamente tutti gli uomini, almeno finché hanno in sé qualcosa di umano, per lasciarsi assoggettare hanno bisogno o di esservi stati costretti o di essere stati ingannati. (2004, pp. 13-14)
  • Per sua natura l'uomo è e vuole essere libero; ma la sua natura è anche fatta in modo tale da prendere facilmente la piega che le viene data dall'educazione. Diciamo allora che tutte le cose diventano naturali per l'uomo quando vi viene educato e vi si abitua, ma che gli è propriamente connaturato solo ciò a cui lo colloca la sua indole semplice e non alterata. Quindi la causa prima della servitù volontaria è l'abitudine. (2004, p. 19)
  • In effetti questa è la tendenza naturale della plebaglia […] Non vi è uccello che si lasci più facilmente prendere nella pania, o pesce che per ingordigia del verme abbocchi all'amo più prontamente di quanto tutti i popoli si facciano adescare dalla servitù, solo che ne abbiano il minimo sentore. È sorprendente come cedono sull'istante alla minima lusinga. Teatri, giochi, commedie, spettacoli, gladiatori, animali esotici, medaglie, esposizioni di dipinti e altre droghe di questo genere costituivano per i popoli antichi l'esca della servitù, il prezzo della libertà, lo strumento della tirannide. Con questi mezzi, questi sistemi, questi allettamenti, gli antichi tiranni stordivano i loro sudditi sotto il giogo. Così quei popoli inebetiti, trovando gradevoli simili passatempi, divertiti dai vani piaceri che venivano fatti balenare davanti ai loro occhi, si abituavano a servire in modo sciocco. (2004, p. 24)
  • Non sono gli squadroni a cavallo né le schiere di fanti, né le armi a difendere il tiranno. Da principio si fa fatica a crederlo, ma è così […] È accaduto sempre che cinque o sei uomini siano diventati i confidenti del tiranno, o perché si sono fatti avanti da soli o perché sono stati chiamati da questi per diventare complici delle sue crudeltà, compagni dei suoi piaceri, ruffiani della sua lussuria, soci nello spartirsi i frutti delle sue ruberie. […] Questi sei profittatori ne hanno altri seicento sotto di loro, che si comportano nei loro riguardi come essi fanno col tiranno. A loro volta i seicento ne hanno sotto di loro altri seimila […] Dietro costoro la fila prosegue interminabile, e chi volesse divertirsi a dipanare questa matassa vedrebbe che non sono seimila, ma centomila, milioni le persone che rimangono legate al tiranno con questa fune e si mantengono ad essa […] Insomma, tra favori e vantaggi, protezioni e profitti ottenuti grazie ai tiranni, si arriva al punto che quanti ritengono vantaggiosa la tirannia sono quasi altrettanto numerosi di quelli che preferirebbero la libertà. (2004, p. 30)
  • Così il tiranno assoggetta gli uni servendosi degli altri, e viene difeso da uomini da cui dovrebbe difendersi, se valessero qualcosa […] Eppure, vedendo questi individui che servono il tiranno per trarre vantaggio dal loro potere e dalla servitù del popolo, spesso mi stupisce la loro malvagità e talvolta mi fa pena la loro stupidità; perché, a dire il vero, avvicinarsi a un tiranno cos'altro significa se non allontanarsi dalla propria libertà e afferrare, per così dire, a due mani e abbracciare la propria servitù? […] Non è sufficiente che gli obbediscano, devono compiacerlo rompendosi le ossa, tormentandosi e distruggendosi per curare i suoi interessi; devono amare ciò che egli ama, sacrificare i propri gusti ai suoi, violentare la propria indole sino a spogliarsi della propria personalità […] Quale condizione è più miserabile del vivere così, senza avere nulla di proprio, dipendendo da un altro per il proprio benessere, la propria libertà, il proprio corpo, la vita stessa? (2004, pp. 31-32)
  • Colui che tanto vi domina non ha che due occhi, due mani, un corpo, non ha niente di più dell'uomo meno importante dell'immenso ed infinito numero delle nostre città, se non la superiorità che gli attribuite per distruggervi. Da dove ha preso tanti occhi, con i quali vi spia, se non glieli offrite voi? Come può avere tante mani per colpirvi, se non le prende da voi? I piedi con cui calpesta le vostre città, da dove li ha presi, se non da voi? Come fa ad avere tanto potere su di voi, se non tramite voi stessi? Come oserebbe aggredirvi, se non avesse la vostra complicità? Cosa potrebbe farvi se non foste i ricettatori del ladrone che vi saccheggia, complici dell'assassino che vi uccide e traditori di voi stessi? Seminate i vostri frutti, affinché ne faccia scempio. Riempite ed ammobiliate le vostre case, per rifornire le sue ruberie. Allevate le vostre figlie perché abbia di che inebriare la sua lussuria. Allevate i vostri figli, perché, nel migliore dei casi, li porti alla guerra e li conduca al macello, li faccia ministri delle sue bramosie, ed esecutori delle sue vendette. Vi ammazzate di fatica perché possa trattarsi delicatamente nei suoi lussi e voltolarsi nei suoi piaceri sporchi e volgari. Vi indebolite per renderlo più forte e rigido nel tenervi la briglia più corta. E di tutte queste indegnità, che neanche le bestie potrebbero accettare o sopportare, voi potreste liberarvi se provaste, non dico a liberarvene, ma solo a volerlo fare. Siate decisi a non servire più, ed eccovi liberi. Non voglio che lo scacciate o lo scuotiate, ma solo che non lo sosteniate più, e lo vedrete, come un grande colosso al quale è stata tolta la base, piombare giù per il suo stesso peso e rompersi. (2014, p. 36)
  • Impariamo dunque una buona volta, impariamo a far bene, leviamo gli occhi al cielo, sia per il nostro onore, sia per amore della virtù, sia ancora, volendo parlare con cognizione di causa, per l'amore e l'onore di Dio onnipotente, fedele testimone delle nostre azioni e giusto giudice delle nostre colpe. Dal canto mio sono convinto, e non credo di sbagliare, poiché non vi è cosa più contraria all'infinita liberalità e bontà di Dio della tirannia, che laggiù all'inferno egli riservi qualche pena particolare per i tiranni e i loro complici. (2004, p. 37)
  • Ma l'astuzia dei tiranni nell'abbrutire i propri sudditi si dà a vedere nel modo più chiaro in quel che Ciro fece ai Lidi [...] escogitò un grande espediente per assicurarsela: fece aprire bordelli, taverne e sale da gioco, emanando un'ordinanza che obbligava gli abitanti a frequentarli. (2016, p. 52)

Note

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  1. Iliade lib. II. vers. 204.

Bibliografia

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  • Étienne de La Boétie, Discorso di Stefano della Boetie, della schiavitù volontaria, o il Contra uno, traduzione di Cesare Paribelli, Napoli, 1799.
  • Étienne de La Boétie, Discorso sulla servitù volontaria, traduzione di Carla Maggiori, Liberilibri, Macerata 2004, ISBN 8885140599
  • Étienne de La Boétie, Discorso sulla servitù volontaria, traduzione di Vincenzo Papa, Edizioni Immanenza, Napoli 2014, ISBN 9788898926046
  • Étienne de La Boétie, Discorso della servitù volontaria, traduzione di Enrico Donaggio, Universale Economica Feltrinelli, Milano 2014, ISBN 9788807900822
  • Étienne de La Boétie, Discorso sulla servitù volontaria, Feltrinelli, 2016.

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