Alberto Asor Rosa

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Alberto Asor Rosa (1933 – 2022), critico letterario, scrittore, politico e docente universitario italiano.

Citazioni di Alberto Asor Rosa[modifica]

  • I grandi classici, sono sempre degli scrittori "radicali", nel senso più proprio del termine, in quanto, appunto, "vanno alla radice delle cose", esplorano, sommuovono le profondità dell'essere, come un aratro che rovescia le zolle e ne mostra il lato a lungo nascosto. Rappresentare l'essere significa necessariamente tornare verso le origini, rimontare all'indietro o scendere in profondità al di là della civilizzazione. In ogni grande classico l'elemento barbarico, primitivo, è almeno altrettanto forte di quello che esprime la civiltà e la cultura. Dioniso sta dietro ad Apollo, ed è da lui che viene la forza primigenia del grande autore: prima di prender forma, prima di assumere l'involucro armonico che più facilmente scorgiamo, c'è uno sconvolgimento tellurico che cambia la forma del territorio e inonda di lava gli ordinati assetti dei letterati comuni, dei prosecutori, dei continuatori e degli esegeti. Chi vede solo Apollo, vede solo una metà del classico, e non sempre quella più significativa. In conclusione, niente è meno imitabile del processo attraverso il quale il grande classico arriva a costruire la sua opera. Secondo la nostra ottica, infatti, grande classico è l'artista che, per costruire un ordine, deve necessariamente spazzarne via molti altri. Di conseguenza, ciò che lui fa è talmente specifico e peculiare da non poter essere mai veramente ripetuto.[1]
  • Il meglio e il peggio della vita vengono sempre da dentro, chi vi racconta il contrario non sa di che parla.[2]
  • [Su Eugenio Scalfari] La sua battaglia è stata tentare di ricondurre l'Italia entro schemi politici istituzionali di un normale paese europeo.[3]
  • La verità è che solo gli scrittori mediocri sono tranquillizzanti. [...] io penso che la nozione di classico – ordine, regolarità, imitabilità – sia stata "inventata" allo scopo di tranquillizzare i lettori, perché in realtà le grandi opere, se lette con abbandono, incutono timore, suscitano paura, e perciò gli uomini o allontanano da loro lo sguardo oppure trovano il modo di sistemarle dentro nicchie rassicuranti. Funzioni sociali specifiche sono state via via costruite a tale scopo: grammatici e critici non hanno fatto per secoli che lavorare a questo fine, e il lettore, nella grande maggioranza dei casi, deve lavorare controcorrente per recuperare il senso originario del classico. Solo superando tale diaframma, si recupera quel "turbamento", che la grande opera, originariamente, ha dovuto produrre per nascere. L'uomo che legga queste opere senza provare tale "sgomento", dimostra di avere una corteccia tanto dura, che quella lettura, comunque, non potrà giovargli affatto.[1]
  • La lettura dei Promessi Sposi è stata, credo, un grande strumento di normazione linguistica e ideologica ed è stato un coefficiente fra i tanti di una unificazione culturale della nazione dall'alto e un grande veicolo di uniformazione a partire da una base ideologica cattolico-moderata. Francamente non vedo che bisogno abbia la nazione di essere unificata linguisticamente e ideologicamente in questa maniera. La sostituzione del Manzoni con altri autori può essere un passo in avanti: naturalmente dipende dai testi prescelti, dalla disponibilità e preparazione degli insegnanti ad affrontare un lavoro diverso. Io vedrei positivamente un allargamento massiccio delle letture dei giovani di quindici anni e oltre: propenderei insomma per un pluralismo linguistico, per una moltiplicazione delle occasioni culturali.[4]
  • Questi autentici e irrimediabili analfabeti che ci governano, — parole poche e sommarie, sintassi intollerabile, anfanare d'insulti e proterve battute — hanno in mente qualcosa di ben preciso, che è la cancellazione di tutta la storia italiana precedente, con le sue categorie, le sue culture, le sue tradizioni, i suoi protagonisti, la sua memoria.[5]
  • Solo menti borghesi di esemplare educazione filistea hanno potuto leggere nell'Orlando Furioso il poema dell'ordine elevato ad "armonia" universale, senza scorgere, dietro la poderosa sistemazione poetica, il corredo immenso d'inquietanti bagliori sotterranei e di dolorose percezioni della tragicità dell'esistenza umana, che quel poema ospita nel suo seno.[1]
  • Una lingua è uno strumento d'informazione, - serve a sapere quanto più si può; ma è anche uno strumento di comunicazione, - serve a trasmettere quanto più si può. Ma è anche uno strumento identitario, anzi lo strumento identitario più possente che esista. Ossia: uno è la lingua che parla. Se non la parla, non la legge e non la scrive più, l'identità va a farsi benedire.[6]
  • [Su Eugenio Scalfari] Un intellettuale meridionale prestato al nord.[3]

Fuori dall'Occidente[modifica]

  • Chi sta in mezzo ai clamori del mondo perde più facilmente la nozione sia del passato che del futuro.
  • Non importa ciò per cui si combatte, ma se si vince o si perde. Questo è veramente un principio imperiale.
  • Quando sulla scena mondiale c'è chi può decidere ciò che vuole, è il quadro del diritto internazionale che si modifica radicalmente.
  • Se un soldato non può che vincere, non è un buon soldato, è un buon macellaio.
  • Tra il conoscere e l'essere persuasi prevarrà sempre, nella generalità delle persone, la seconda tendenza.

L'ultimo paradosso[modifica]

  • I grandi libri. Ogni grande libro è stato scritto dall'autore per se stesso.
  • Famiglia. La famiglia è una caduta a grappolo verso la morte: invece di precipitare da soli, si precipita in compagnia, stringendosi reciprocamente le mani – per consolazione.
  • La voce del potere. Il potere si assuefà alla propria voce. Quando l'assuefazione è completa, la scambia per la voce di Dio.
  • L'uomo vecchio. L'uomo vecchio ha solo convinzioni (possibile variante: L'uomo è vecchio quando ha solo convinzioni).
  • Mi preme soltanto rammentare che l'ipocrisia dei governanti non ha basi oggettive e che quando essi difendono le loro buone ragioni, in realtà difendono in primo luogo se stessi, cioè il loro potere.
  • Tecniche e tempo. Le tecnologie hanno allungato i tempi della vita e ne hanno accorciato la durata. Al dunque, si vive meno oggi che in passato.
  • Una grandissima parte dell'uomo non può essere detta. La poesia cerca di dire quello che non si può dire. È una scommessa rischiosa, che nessun sistema dell'informazione potrebbe accettare: se lo facesse, verrebbe subito messo in liquidazione. Così, la poesia è mettere in parole quello che, a rigore, non può essere messo in parole, quello che non ha nemmeno «forma di parole».
  • Vecchio e giovane. È quasi più difficile essere un vecchio dignitoso che un giovane di buon senso.

Citazioni su Alberto Asor Rosa[modifica]

  • Alberto Asor Rosa dimostra la cecità consueta a gran parte della cultura di sinistra per i fenomeni più rilevanti, non sto a dire se positivi o negativi, della cosiddetta cultura di massa. (Oreste Del Buono)
  • Nell'Asor [Alberto Asor Rosa] si contempla il fallimento della sinistra pratica e politica, quella di lotta e di governo, ridicola nel suo massimalismo ma anche patetica nel suo decisionismo, finta sinistra che finge di far la destra, dunque doppiamente finta. (Marcello Veneziani)

Note[modifica]

  1. a b c Dal saggio introduttivo presente in Letteratura italiana. Le opere, a cura di Alberto Asor Rosa, Einaudi, Torino, 1992, vol. I (Dalle origini al Cinquecento); citato in Alberto Asor Rosa, È un "classico", come mi inquieta, la Repubblica, 20 novembre 1992.
  2. Da Storie di animali e altri viventi, Einaudi, Torino, 2005.
  3. a b Citato nel saggio introduttivo di Eugenio Scalfari, La passione dell'etica. Scritti 1963–2012, Mondadori, Milano, 2012. ISBN 9788804613985
  4. E subito si formano due partiti, la Repubblica, 25 novembre 1988.
  5. Da Rep.repubblica.it, 13 agosto 2018.
  6. Da Rep.repubblica.it, 27 aprile 2018.

Bibliografia[modifica]

  • Alberto Asor Rosa, Fuori dall'Occidente, Einaudi, Torino, 1992.
  • Alberto Asor Rosa, L'ultimo paradosso, Einaudi, Torino, 1985.

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