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Angelandrea Zottoli

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Angelandrea Zottoli (1879 – 1956), critico letterario italiano.

Citazioni di Angelandrea Zottoli

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  • [Giacomo Casanova] Chi nel mondo non vede altro bene che la propria vita, non dovrebbe mai invecchiare; a lui la vecchiezza toglie infinitamente più che agli altri uomini, perché gli toglie il contatto con la sua stessa ragione di esistere.
    Una sola gioia per lui c'era nel mondo: abbandonarsi a quell'impulso cieco e violento che lo spingeva avanti senza saper dove, tutto dimenticare, tutto travolgere per la soddisfazione dei propri desideri del momento, magari lasciarsi trascinare, pur di aver l'illusione d'imporsi; ma ora che quell'impulso ha perduto la capacità di spingerlo, ora che la febbre del movimento ha finito di stordirlo, egli sente di non vivere più, ma di sopravvivere a se stesso.[1]

Citazioni su Angelandrea Zottoli

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  • Continuando nei suoi studi manzoniani A. Zottoli ci ha dato ora, nell'interpretazione del personaggio di Don Abbondio, un altro assai notevole saggio della sua capacità di porre e sviscerare non facili quesiti di morale e di psicologia. E l'arte? La vede, l'ammira alquanto vagamente; ma la rilega di là dal campo, che ha segnato alle sue indagini. Tutti sappiamo che, nella rappresentazione del romanzo, Don Abbondio vive; lo Zottoli, col suo acuto e tagliente bisturi, lo ammazza. Lo tagliuzza in tanti pezzettini, e questi trasporta fuori del posto loro, lontano, a fornire addentellati, illazioni, documenti, prove alle proprie argomentazioni astratte.
    L'analisi, oltre che lunga, è certamente ingegnosa; ma conduce a una conchiusione per lo meno, a quanto mi pare, discutibile. Ci fu chi scoprì l'uomo Manzoni sotto le fattezze di Don Ferrante, e chi lo scorse rannicchiato in fondo alle perversità dell'Innominato. Mi rincresce che a questa tendenza, che finisce col negare l'autonomia e la forza originale della fantasia, abbia ceduto lo Zottoli, quando s'è lasciato cadere dalla penna che «in Don Abbondio Manzoni vedeva una parte di se stesso», vale a dire «i propri difetti». Quali? (Francesco Torraca)
  • Più volte mi è capitato, leggendo libri dello Zottoli, di voler comprendere la sua figura di critico in qualche corrente o in qualche gruppo dei tempi nostri e devo confessare che non mi è venuto fatto. Da qualcheduno egli è stato avvicinato al Momigliano e insieme con lui fatto discendere dal De Sanctis; ma io credo che, caratterizzando a questa maniera, si sia caduti in un grosso equivoco. Questi due critici poco o nulla hanno tra loro di comune. Se io volessi fissare la discendenza ideale del Nostro penserei più al Sainte-Beuve che al De Sanctis. Ritrovo in lui la curiosità psicologica del grande critico francese ed anche quell'interesse sociologico che non fu estraneo al primo fiorire della critica romantica. Naturalmente però questi sono soltanto degli schemi, poiché lo Zottoli dal suo temperamento è portato sopratutto a concentrarsi sopra alcuni problemi d'indole morale e a prescindere da quelli più strettamente letterari ed espressivi. [...] La migliore definizione che forse si possa dare di lui è che egli è un moralista. (Giambattista Salinari)

Note

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  1. Da Casanova invecchia, in Nuova Antologia, vol. CDXXXIII, fascicolo 1729, gennaio 1945, p. 19.

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